Robotizzazione dei contenuti
«Can algorithms write your content?» Si chiede Futurecontent in un breve saggio. Sì, no, forse.
Ho provato Articoolo, il robot giornalista (un software, dai) della startup israeliana che aiuta a generare contenuti sul web, su un tema semplice semplice: l’annata 2017 del tennista Roger Federer. Ho ricevuto il pezzo di 500 battute in 5 secondi netti.
Non mi attendevo il livello di un Gianni Clerici, ma neanche un noioso resoconto senza verve. Bocciato. Ma intanto è lì che andiamo a parare. L’intelligenza artificiale è in voga, e i contenuti automatizzati in pieno mainstream.
Spaventano e gasano ma intanto gli editori sono contenti: i contenuti automatizzati sono rapidi, economici e largamente efficaci, tagliano i posti e riducono i costi, meno giornalisti e più bot che non costano un tot.
Poi il marketing e le aziende: Automated Insights produce oltre tremila articoli al trimestre per clienti come Microsoft e Yahoo. Molti stimano che nel 2030 il contenuto scritto da algoritmi costituirà il 90% dell’informazione sul web. A voi il gradimento.
E-commerce vs A-commerce
Se i consumatori esternalizzano, o meglio, delegano i loro comportamenti e decisioni alle macchine, è tempo di parlare di commercio automatizzato, o più suggestivamente del passaggio da e-commerce ad a-commerce? Forse sì.
C’è un po’ di tutto. Magazzini automatizzati, consegne predittive, applicazioni che assistono la ricerca, la scelta e la negoziazione dei prodotti o della gestione finanziaria, assistenti digitali e vocali che ci affiancano nella shopping experience, nel disegno personalizzato del prodotto e tanto altro ancora.
Le implicazioni di questa tendenza sono e saranno infinite! In futuro la maggior parte dei consumatori pretenderà che i loro punti vendita online siano realmente e intelligentemente automatici (e di conseguenza anche quelli fisici). Automated convenience, vera comodità automatizzata.
Il cambiamento appare profondo e sì, suona ancora strano, ma sarà proprio così: in futuro venderete sia agli umani sia agli algoritmi. Cosa vuol dire? Lo scoprirete, strada facendo.
Imperialismo cognitivo
Ogni contenuto che consumiamo consuma anche i nostri dati. Per dire: ogni click, ogni “mi piace”, rivela qualcosa su di noi. Chiunque legga qualcosa su “Kindle” viene letto anche da “Kindle”. Stesso discorso per Netflix. Per non parlare di WeChat, che conosce gli utenti molto meglio di Paypal, Uber o dello stesso Facebook, grazie alla concentrazione di contenuti e servizi erogati.
Insomma, gli algoritmi, gli analytics delle mega piattaforme ci conoscono sempre meglio, il che ci porta all’inevitabile monopolizzazione. Facebook, cosi come Google e Alibaba, investono pesantemente (bilioni!) nel settore dei media (streaming, video, musica ma anche pagamenti) con l’obiettivo di controllare l’erogazione mirata di contenuti e business commerciali.
Non solo: se chiedi ad Alexa di Amazon Echo un volo aereo, diventa irrilevante sapere quale fonte o applicazione Alexa stia usando. Ovvero: i fornitori di contenuti e applicazioni perdono il loro potere (se Amazon cambia i fornitori da un giorno all’altro, l’utente potrebbe anche non notarlo). Fonti attendibili? Irrilevanti quando domina un’interfaccia vocale.
Accontentarsi di chatcontent
L’informazione giornalistica come simulazione di un dialogo in tempo reale. È solo una finta (con possibilità di reazione attraverso risposte predefinite) ma l’effetto chat è garantito, anche graficamente.
Il “newsbot” della tedesca Novi (che ho provato) dà un’idea di come può funzionare un’interazione ludica con i contenuti giornalistici in versione Messenger che si adatta agli interessi del lettore. È vero: si gioca con le notizie, le foto, i video e tutto è gestito da software. Ma anche questa è una notizia: arrivano le chatnewsroom.