Arese Shopping Center: il futuro del retail?

Inaugurato giovedì 14 aprile l'Arese Shopping Center, il più grande centro commerciale d'Europa. Nel primo weekend di apertura, traffico intasato sulle autostrade, code chilometriche e ore di attesa di fronte ai negozi. Ma cosa rappresenta questo nuovo spazio per il nostro Paese e nello scenario dei mall? Ne parliamo con Luca Pellegrini, professore ordinario di Marketing all’Università Iulm di Milano e presidente della società di analisi e consulenza TradeLab

Da pochi giorni ha aperto il nuovo centro commerciale di Arese. Cosa ne pensi da esperto di distribuzione?

Un centro commerciale davvero molto grande per il nostro Paese e per ora direi un pezzo unico. Con alcune novità rilevanti per il formato del centro, per alcune insegne e per l’estesa presenza di servizi oltre al retail. 

Quali sono le attrattive per i consumatori?

La dimensione, anzitutto. Se il consumatore deve andare in un centro commerciale tende ad andare dove l’offerta è più ampia e diversificata e in questo caso lo è davvero: Arese ripolarizzerà a suo vantaggio l’assetto che preesisteva e per i centri commerciali più deboli nella sua area di attrazione saranno guai. E, di nuovo, la presenza di alcune novità, anzitutto Primark, di cui si è parlato moltissimo, ma anche Lego. I marchi del fast fashion ci sono davvero tutti. 

Quali i vantaggi che il centro dovrà giocarsi per fare utili?

Dare continuamente vivacità all’offerta, comunicando molto e tenendo viva l’attenzione del consumatore con molte attività di animazione per convincerlo a visitare il centro con una certa frequenza. Quando l’alimentare, l’iper, non è più centrale il rischio è una riduzione della frequenza. Ma in questo caso le premesse per un successo ci sono. 

Come si colloca questa apertura in una distribuzione in crisi sul format ipermercato, che ritorna ai negozi di vicinato con le superette?

Ad Arese l’ipermercato conta relativamente poco: mentre nei tipici centri commerciali italiani c’è l’iper e poi anche altro, nel caso di Arese l’equilibrio si rovescia: qui c’è molto altro e c’è anche un ipermercato. È un formato molto più anglosassone, molto vicino a un mall all’americana

Cosa c’è di nuovo oggi e nel medio termine nella distribuzione in Italia?

Per cercare di elencare tutte le novità ci vorrebbe davvero molto spazio. Il retail sta profondamente cambiando, con una generalizzata attenzione all’esperienzialità d’acquisto, all’ibridazione tra retail, somministrazione ed entertainment e più in generale all’offerta di servizi finali. E poi, naturalmente, la diffusione di modelli di business omnichannel.  

Cosa è in e cosa out in termini di format e offerta?

È out tutto ciò che è statico, che non si muove e non rinnova l’interesse del consumatore, che non lo diverte. Quindi Zara e Eataly come paradigmi che si combinano e si generalizzano. 

C’è ancora spazio per il classico commerciante e come?

Lo abbiamo dato per morto per decenni e invece riesce sempre a trovare qualche nuova strada per riproporsi. Tendiamo a dimenticare che le botteghe in Italia sono 750mila (senza contare gli ambulanti) e anche sette anni di crisi non hanno ridotto di molto questo numero. In un mercato come quello di oggi le nicchie si moltiplicano e gli spazi, per chi non dorme, ci sono. 

Shopping offline e online, una guerra o un’alleanza?

Mi sembra che ormai la contrapposizione non abbia più senso. La tendenza all’omnicanalità è ormai chiara. Naturalmente una cosa è capire dove si vuole arrivare e un’altra è farlo. Ma la direzione mi pare segnata: vince chi ha una forte integrazione verticale (e quindi i suoi prodotti da Amazon non si trovano) e riesce a costruire un’offerta fisica e virtuale ben tarata per un consumatore che usa entrambe. 

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