Il Gruppo di lavoro CreaInnovazione di Manageritalia Roma ha messo in piedi un’iniziativa di cui vi vogliamo parlare.
Nell’ultimo anno sono state coinvolte imprese e organizzazioni in un progetto chiamato Creatività per l’innovazione.
Il progetto aveva un obiettivo preciso: verificare i risultati scaturiti dall’adozione di metodi e processi creativi in azienda, con un nuovo modo di lavorare e lo sviluppo di nuove competenze.
Il bilancio di questa iniziativa è decisamente positivo e ha confermato che le tecniche di creatività in percorsi guidati da consulenti esperti generano un forte impatto sia nella gestione delle risorse umane sia nell’approccio manageriale all’innovazione di prodotti e servizi.
Parliamo dunque di un modo concreto ed efficace per declinare il concetto di creatività e vogliamo raccontarvi attraverso una serie di interviste ai nostri referenti delle undici aziende che hanno aderito al progetto le storie di successo legate a questo percorso.
Ci confrontiamo oggi con Laura Arabelli, ex direttore marketing Beiersdorf.
Perché avete intrapreso un percorso di innovazione?
Per cercare mezzi, metodi e processi alternativi volti a generare idee nuove e sviluppare capacità di lavorare sugli stimoli esterni. Un altro obiettivo era instaurare una cultura dell’apertura mentale, allenando le persone ad essere ricettive agli stimoli esterni. Spesso infatti, nel lavoro d’ufficio, si tende a pensare con modalità operative. A noi serviva un modo per creare una sorte di abitudine a catturare, recepire e valorizzare gli stimoli esterni. La genesi quindi è partita dal tema di dare una marcia in più al gruppo di marketing, fornendo strumenti per affrontare in modo più strutturato e rigoroso il processo creativo per fare innovazione.
Quale era l’obiettivo?
Individuare un processo che permettesse di affrontare le sfide in maniera strutturata ma con un approccio creativo. Nella mia visione in un contesto creativo, si può sviluppare innovazione. A me interessava dare gli strumenti per incanalare la creatività.
Ci racconti le fasi del percorso.
Abbiamo seguito tre fasi. La prima è stata un corso di “formazione teorica” nel quale la consulente in due giornate ci ha presentato un excursus sulle tecniche di approccio alla creatività. Il team del marketing, diviso in gruppi, ha sviluppato con la consulente tematiche inerenti a come si affrontano e si demoliscono le barriere alla creatività, la grammatica e la sintassi della creatività, la creatività come forma di intelligenza: divergente e convergente, il ruolo fondamentale della bellezza nel processo creativo, come si può trasformare la propria creatività spontanea in metodo da applicare a sfide innovative nel proprio ambito di discrezionalità.
Partendo dalle idee iniziali avete subito fatto dei ragionamenti sulla loro possibile applicazione pratica?
Sì, la seconda fase ha infatti contemplato l’applicazione del metodo a problemi reali, l’individuazione di progetti-sfide su cui lavorare. Lanciare la sfida, cioè presentare i termini e gli obiettivi della sfida e infine definire i criteri di valutazione degli output e i vincoli di budget, risorse, tempi, regole aziendali. Il gruppo lavorava un mese o due con il supporto e confronto esterno della consulente. In funzione della sfida si produceva un’elaborazione della proposta e la successiva presentazione. L’azienda decideva quindi se portarla avanti o meno. Tutte le idee generate sono andate avanti.
Infine siete giunti alla realizzazione e alla misurazione di questi stimoli?
Certamente. L’apprendimento più importante è che si possano tirar fuori tante idee e incanalandole in un metodo si possono realizzare. Nelle prime due fasi siamo sempre stati seguiti dalla consulente di creatività per l’innovazione, Raffaella Pederneschi, nella prima fase con la formazione, nella seconda con interventi mirati alla progettazione e conduzione di team creativi. La terza fase ha riguardato l’autogestione del processo, attraverso una formazione al ruolo di facilitatore di due tre persone all’interno dei team, in modo che il processo creativo diventasse autonomo e parte integrante dei processi aziendali. Le tre sfide che i gruppi hanno affrontato hanno comportato differenti innovazioni di processo: elaborazione di un nuovo modello aziendale di pubbliche relazioni; trovare un approccio di marketing idoneo a un target di consumatrici maturo; individuare nuove modalità per rendere la marca Eucerin come “la più consigliata dai farmacisti”.
È stata una sfida difficile?
Se la sfida viene lanciata nel modo corretto si definiscono i criteri di valutazione. Il gruppo deve sapere a priori quali questi siano, insieme ai vincoli; se vengono rispettati automaticamente la cosa è realizzabile.
Queste competenze di creatività per l’innovazione è bene che diventino interne o possono rimanere esterne tramite un consulente?
Sono convinta che le competenze di creatività per l’innovazione debbano diventare parte del capitale intellettuale dell’azienda che può e deve proseguire con le proprie gambe.
Immaginate la possibilità di creare processi creativi continuativi in azienda?
Anche nell’azienda presso la quale lavoro ora, Galderma Italia, sto cercando di replicare l’esperienza fatta in Beiersdorf. Applicare questo approccio è indipendente dal mercato in cui opera l’azienda, dai prodotti, dai canali distributivi utilizzati.
I risultati ottenuti sono stati soddisfacenti?
Dai progetti elaborati si sono visti subito i vantaggi. Per Eucerin, ad esempio, per fare formazione ai farmacisti e promuovere il prodotto, avevamo deciso di realizzare un mega camper che andasse in giro per l’Italia sostando davanti alle farmacie. In alcuni casi sono state generate idee per risolvere sfide nel breve, in altri casi le soluzioni identificate sono state realizzate e gestite per anni.