Digitalizzazione anno zero: appuntamento il 10 maggio

La digitalizzazione ci renderà superflui? Non facciamoci prendere dal panico. Settori e business non vengono ribaltati da macchine che prendono il nostro posto ma da uomini non soggetti a una certa miopia

Dormivi sonni tranquilli e intanto
il digitale è arrivato anche nell’ultima riserva indiana dell’offline: la stanza da letto, vero baluardo del mondo reale. Qui si dorme, fine del discorso. 

Invece no, da Iot (internet of things) a Iod (internet
of dreams) il passo è breve. All’ultimo Ces (Consumer  electronics show) di Las Vegas la digitalizzazione sotto forma di app, sensori, device e materiali intelligenti è entrata nei materassi, cuscini, coperte, pigiami e accessori vari. 

Dal materasso “biometrico” Sleep Number che si adatta in modo proattivo
alle caratteristiche personali, alla maschera per dormire Naptime della startup cinese Entertech, che monitora le fasi di sonno e ci sveglia solo al momento giusto (sonno leggero) fino a Muzo, curioso device scherma chiasso di Celestial Tribe che neutralizza i rumori con un campo di contro vibrazioni

Se invece eri ben sveglio, beh allora avevi già fatto da tempo i conti con il
nuovo ordine mondiale della digitalizzazione. Stampa digitale, musica digitale, commercio digitale, domotica digitale, produzione digitale, socializzazione digitale, sesso digitale, trainer digitale, moneta digitale, banca digitale, logistica digitale, agricoltura digitale, leadership digitale (gestione di uno sciame di dipendenti) e sì, anche l’impiegato digitale (come nella versione della “bella” Amelia di IPsoft, oppure la vecchiaia digitale (intesa come abitudine di monitorare e/o hackerare tramite strumenti digitali l’età che avanza per vivere oltre i limiti o in controllo). Insomma, dite una parola a casaccio e vi ritrovate la copia dell’originale o un gadget che digitalizza l’esperienza e recentemente anche che virtualizza. 

L’extended reality è infatti la nuova frontiera dell’economia virtuale.
Fondere “augmented, virtual and mixed reality” per trasformare l’accesso alle informazioni (tipico di internet)
in un accesso all’esperienza delle informazioni coinvolgendo più sensi possibili, come fa per esempio Hololens, il computer olografico indossabile di Microsoft. 

Morale? Con tutto questo digitale
(e/o virtuale) a qualcuno deve andare male. Così è. Secondo il guru della singolarità tecnologica Raymond Kurzweil la digitalizzazione ci renderà (molti di noi e molti dei nostri affari) superflui. Di più: secondo lui la copia digitale (vedi anche artificiale, intelligenza) ucciderà l’originale. Però a lui piace spararle grosse: per spaventare e di conseguenza farsi remunerare, molto bene, da istituzioni e aziende prese dal panico. Ma non ne abbiamo
bisogno. Settori e business non vengono ribaltati da macchine che prendono il nostro posto ma da uomini non soggetti a una certa miopia

Dualismo strategico

Ovvero: la miopia della dicotomia.
Se tu sei Zara e il tuo nemico è Zalando sei in pieno dualismo strategico. Se il tuo marketing digitale è separato dal marketing “normale”, idem. Per molti Airbnb, Uber, Booking ecc. sono solo parassiti digitali che sfruttano il mondo reale per lucrarci sopra. Insomma, per molti è solo una posizione da prendere (io buono tu cattivo) o contrapposizione da attivare (io protesto, io denuncio, io faccio lobbying, tu difenditi se vuoi). Questo dualismo non aiuta, come non aiuta vivere di solo reale (il furgone che vende panini con la porchetta all’angolo della strada, insensibile alla geolocalizzazione) o di solo digitale (Netflix o Spotify, ma non è neanche più vero ora perché anche loro cercano agganci con eventi reali per integrare). E per quanto riguarda il reale che sfrutta (integra) il digitale per migliorare il servizio – banalmente un ristorante-locale che presidia bene Tripadvisor, Facebook, Whatsapp e tutti i social – siamo ancora in pieno dualismo, anche se apparentemente efficace. Poi c’è il mondo delle app come Friendz, nuova startup italiana che consente di guadagnare abbinando il proprio selfie a un brand o marchio preferito, ma lì siamo in nicchie di mercato. Resta il fatto che il cliente non ragiona in termini di categorie (aziendali) ma di esperienza, che è unica e ben integrata (nel cervello). Vuole semplicemente modelli ibridi che uniscono il meglio dell’esperienza digitale con quella fisica, dove uno dà l’ossigeno all’altro. Convergenze. In un unico respiro. 

Dualità strategica

Ovvero, la lungimiranza dell’unico.
Senza online niente offline e viceversa. Senza inspiro niente espiro e viceversa. In principio fu il respiro. Questo è il nostro peccato originario, o meglio la nostra tara (anche mentale). Inspiro ed espiro sono (quasi sempre e quasi per tutti) due mondi separati, dominati da pause e irregolarità. Secondo la tradizione yogica è solo con il superamento delle due fasi in un unico flusso circolare che si realizza la perfetta unità. Il respiro diventa un unicum e la mente affronta ogni situazione senza frammentazione, incluso online e offline. Cogliere nell’esistente l’inseparabilità. Unire tutti i canali in un unico canale, meglio in un unico contesto. Far sì che ogni prodotto e servizio sia percepibile e disponibile come “unicum” all inclusive. D’accordo, ma conseguenze un pelino più pratiche ci sono? Ovvio. Avvantaggiati sono tutti coloro che partono da zero concependo modelli ibridi che uniscono il meglio dell’esperienza digitale con quella fisica. È il caso (vecchio ma pertinente) dell’iPhone o iPad nati come “dual object” (il prodotto è reale ma vive grazie al digitale) oppure del supermercato pilota AmazonGo, perfetto esempio di post digitale, dove non ha più senso parlare di offline, online, omnichannel o superconvergenze, o ancora di tutti quei prodotti o servizi che nascono già “uniti”. Dal sistema di rilevazione incendio digitale per le centraline telefoniche (Def) alle stanze d’albergo gestibili tramite device (Virgin Hotel) fino alla protesi smart di Össur, un concentrato di sensori e dati per un movimento, in prospettiva, pilotato dal cervello, il tema è sempre lo stesso: nessuna separazione ma perfetta unione. Certo, poi si possono separare le unità di business dell’editoria online da quella offline per ragioni di efficienza organizzativa (come nell’esercito) ma tenendo unito il disegno di reciproca integrazione e completamento. 

Aggiornamento operativo

Quello che c’è qua (offline) deve
esserci anche là (online) e viceversa e tutto dev’essere on demand e just in time, giusto? Quindi in futuro anche l’istruzione scolastica deve svincolarsi dal questo è il luogo, questo è l’orario, questo è il maestro, questo è il metodo, questo è il voto ecc. Anche perché il nuovo aggiornamento non è più contenuti da imparare ma contenuti da cercare (in rete) e applicare (nella vita), abilità che potremmo chiamare search capability. Poi in un’ottica duale tutto dev’essere anche aggiornabile (upgrade). La cultura digitale “impone” come pratica quotidiana un perenne e quasi maniacale aggiornamento dei propri device e programmi. Ergo: anche il mondo fisico (prodotti e servizi) deve avere capacità adattiva e “camaleontica” per soddisfare esigenze fluide perché quasi ogni cliente dà per scontato che quasi ogni bene è aggiornabile e connesso in rete, anche un’automobile come il modello S della Tesla che è aggiornabile, per le nuove funzioni, come un semplice telefonino.

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