… e la crescita? Voce ad Azzurra Rinaldi

Inizia con Azzurra Rinaldi, professoressa di Economia all’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, la nostra serie di interviste a personaggi di spicco, esperti, economisti e tecnici per scoprire come fare ripartire l’economia, e quindi fare crescere il Pil, creare occupazione e reddito. 

Oggi in Italia stiamo puntando tutto sulla domanda con reddito di cittadinanza, aumento pensioni minime … Come valuta questa logica, nell’ottica di far crescere l’economia?
«Mi preme sottolineare che il reddito di inclusione in Italia è già stato previsto nel 2017. Inoltre, quello proposto dall’attuale governo è impropriamente denominato reddito di cittadinanza (misura che viene corrisposta a tutti i residenti di un paese e che è normalmente cumulabile con altre fonti di reddito). Quanto alla sua relazione con la crescita, è interessante notare che parte della letteratura sul tema proponga il reddito di cittadinanza perfino come uno strumento di decrescita (e.g. Fitzpatrick 1999), filosofia che mi sembra in linea con alcune delle idee originarie di componenti dell’attuale governo».

Per dare reddito creando posti di lavoro cosa dobbiamo fare?
«L’Italia è il quartultimo paese al mondo per tasso di imprenditorialità (Gem-Global Entrepreneurship Monitor 2018). Ciò che a mio parere non si coglie (anche con il reddito di cittadinanza) è che non siamo in una situazione di eccesso di domanda di lavoro sull’offerta. Quindi, la soluzione non può essere quella di potenziare e rimodulare l’operato dei centri dell’impiego per favorire l’incontro tra domanda e offerta: occorre stimolare l’imprenditorialità, soprattutto rivolgendosi alla fascia d’età più colpita dalla crisi, ovvero i 25-35enni».

Per crescere abbiamo bisogno anche dell’offerta? Come sbloccare gli investimenti pubblici, evitando sprechi e opere inutili, e attirare quelli privati?
«Il tema della spesa pubblica è sempre molto discusso, in Italia. Stando agli ultimi dati Ocse, il volume della spesa pubblica nel nostro paese è tra i più alti tra i paesi avanzati. Permane, tuttavia, nei cittadini la sensazione che i servizi forniti non ne siano all’altezza e, tra gli analisti, l’impressone che l’attuale modulazione della spesa pubblica sia rimasta ancorata a un modello di società anni Cinquanta, che non rispecchia più le reali esigenze della popolazione (penso, ad esempio, alla struttura del welfare, che per le attività di cura è ancora molto basica, in quanto fondata sul presupposto che tali attività siano appannaggio delle donne della famiglia – che, però, nel frattempo, hanno iniziato a lavorare). Sul fronte degli investimenti, mi pare siamo al momento lontani da due delle fondamentali determinanti di tali attività, ovvero l’affidabilità delle istituzioni e la loro stabilità».

Gli incentivi servono, ma di che tipo?
«È mia personale opinione che sotto il profilo degli incentivi l’Italia debba prendere qualche lezione. La nostra storia degli ultimi cinquant’anni ha rivelato la sostanziale incapacità degli incentivi (per come sono stati attuati) nel colmare il differenziale tra il Nord e il Sud del Paese. Ritengo, però, ci siano categorie individuali di operatori che potrebbero improntare un nuovo dinamismo: i giovani, le donne e gli immigrati (non a caso, stando ai dati Istat, sono i nuovi imprenditori».

Per crescere veramente e creare lavoro di qualità e quindi far salire le retribuzioni medie cosa serve?

«Tutto parte dal lavoro. Pensiamo all’Irlanda: nel 2017, il Pil del paese è cresciuto del 7,3% (tre volte la media Ue e lontanissimo dal nostro 1,5%). La capacità di attrarre investimenti, soprattutto da parte delle multinazionali, si è trasformata in un moltiplicatore di reddito e occupazionale che ha visto notevolmente aumentare il potere d’acquisto della popolazione. Parallelamente, il governo nazionale ha rimodulato la spesa pubblica, rivedendola al ribasso. Non intendo affermare che per l’Italia possa rivelarsi efficace la medesima strategia, ma certamente potremmo mutuare alcune buone pratiche adottate dai paesi che, differentemente dal nostro, sono stati in grado di uscire dalla crisi e hanno ripreso un percorso di crescita sostenuta».

Per aumentare il potere d’acquisto delle retribuzioni, la flat tax è una soluzione praticabile? Come e dove recuperiamo le minori entrate? 
«La flat tax (stando all’ultima versione del Def) non sarà flat. E forse è bene così: non uno dei paesi avanzati, attualmente, adotta tale struttura di prelievo fiscale. Del resto, la teoria economica evidenzia come una struttura di prelievo sia più equa quanto più è progressiva. Ciononostante, una riforma del prelievo fiscale sul reddito (fermo dal 2007) si rende quanto mai necessaria: all’ultima classe di reddito (la più ricca, in teoria, anche se in realtà parte da un imponibile lordo pari ad “appena” 75mila euro) viene applicata un’aliquota marginale del 43%».

Se potesse decidere una manovra finanziaria per puntare alla crescita e rispettare i vincoli europei su cosa la baserebbe?
«Mi perdonino i lettori se tendo a ripetermi, ma partirei dal lavoro. Con un focus particolare sul lavoro delle donne. A livello mondiale, il 42% del tempo di lavoro è occupato per attività di cura non retribuita e questo fenomeno interessa in misura preponderante le donne. Offrendo servizi di cura pubblici adeguati (ad esempio, i bambini sotto i 3 anni accettati presso strutture pubbliche sono il 4,1% del totale nel sud Italia) e con una nuova struttura dei permessi di paternità (in Giappone, sin dal 1991, sia le donne che gli uomini possono usufruire del cosiddetto parental leave retribuito per un anno) si potrebbero “liberare” enormi forze produttive, con grande beneficio per l’intero paese».

Azzurra Rinaldi, head of the degree course on Tourism economics and professor of Economics, Economics of emerging countries and Tourism economics – Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza.

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