Economia: dove siamo e dove andiamo

Abbiamo intervistato Emilio Rossi, senior advisor Oxford Economics, per fare il punto sulla situazione economica alla luce della crisi sanitaria in atto a livello globale e capire le implicazioni attuali e future sull’economia.

Perché una crisi sanitaria si è trasformata in una crisi economica globale?
«La trasmissione all’economia della crisi sanitaria dovuta al Covid19 avviene tramite le misure di contenimento dell’epidemia. La caratteristica inusuale di questa crisi è che tali misure determinano sia uno shock di offerta che di domanda. A livello globale, Oxford Economics ha stimato che il lockdown implementato nei vari paesi valga circa il 50% del Pil mondiale».

Ci può spiegare meglio questo impatto sull’economia mondiale?

«Dipenderà dalla durata dell’epidemia, del suo esaurirsi con la prima ondata o se altre ondate seguiranno. Nell’ipotesi, probabilmente ottimistica, formulata più o meno esplicitamente dalla maggior parte degli analisti, che l’epidemia si esaurisca in un paio di mesi, l’economia mondiale registrerà crescita zero nel 2020, con una prima metà dell’anno profondamente negativa nell’ordine di quasi tre punti percentuali. In sintesi, siamo di fronte a una pesante recessione globale, con una motivata speranza di rimbalzo nella seconda parte dell’anno».


E invece l’impatto più specificatamente relativo all’economia europea?

«In Europa la recessione sarà ancora più profonda, con un primo semestre in rosso intorno al meno 5% e una recessione su base annua di oltre meno 2%. L’interdipendenza tra le economie europee sarà un fattore di amplificazione sia della fase recessiva che del rimbalzo. Un ruolo fondamentale per ridurre profondità e durata della crisi in Europa lo eserciteranno le misure di supporto alle economie e al settore bancario».


Come valuta il comportamento delle istituzioni europee finora?

«Va riconosciuto alle istituzioni europee di aver reagito prontamente e in misura consistente. La Bce non ha esitato come fece quando scoppiò la crisi finanziaria del 2008-09 e questa volta è subito intervenuta con un massiccio programma di Quantitative easing di circa 1,1 trilioni di euro, mirato a contenere l’aumento degli spread e a consentire ai governi di implementare misure a sostegno del reddito e della produzione. Va sottolineato che la dimensione di questo intervento di acquisto di titoli corrisponde a più del doppio di quanto mediamente acquistato ai tempi di Draghi. Inoltre, la Bce ha esteso fino a giugno l’Ltro attualmente in essere e lanciato un programma TLtro fino alla fine dell’anno per aumentare la liquidità e alleviare lo stress al credito bancario. Anche la Commissione europea ha reagito prontamente, sospendendo il Patto di stabilità e crescita, in questo modo allentando i vincoli di bilancio dei singoli paesi e lasciando loro la possibilità di intervenire come ritengono necessario. La Commissione europea ha anche deciso di lasciare all’Italia 11 miliardi di fondi strutturali che il nostro paese non era stato in grado di spendere. Altri 45 miliardi sono stati stanziati per prestiti a imprese europee e ulteriori piani sono allo studio».


L’impatto sull’Italia sarà più o meno pesante che nel resto d’Europa?

«L’Italia ha una struttura economica tale da essere più esposta di altri paesi europei a questo tipo di shock. L’industria, comprese le costruzioni, pesa per oltre il 20% del Pil (secondi solo alla Germania), mentre il settore turistico pesa più del 13%, il doppio della Germania e 40% più alto che in Francia. Sul lato consumi, circa il 45% è costituito da spese non essenziali o rinviabili, con il peso di hotel, ristorazione ed eventi a circa il 17%. Il decreto di chiusura delle imprese adottato da Conte impatta su circa il 50% del settore manifatturiero. L’impatto complessivo per l’Italia sarà concentrato nel primo semestre, con una riduzione di Pil di circa il meno 6% e con una crescita negativa 2020 di circa meno 3% rispetto al 2019».


Come vede il futuro per l’Italia?

«Una volta usciti dalla crisi Covid19 e dalle relative misure di contenimento, la sfida per l’Italia sarà quella di far ripartire il sistema economico nel suo complesso in un contesto internazionale a sua volta indebolito. Le esportazioni all’inizio ne soffriranno dato l’alto livello di integrazione delle nostre imprese nelle value-chain europee in primis, ma anche globali. Tuttavia, la crisi porterà inevitabilmente al fallimento di molte imprese “zombie” lasciando spazio alle aziende più produttive. Su questo processo un ruolo importante lo avranno le banche con la selezione del credito. Un altro aspetto che diventerà ancor più inderogabile è la necessità di rendere più efficiente l’intera macchina organizzativa pubblica, così come molte parti del settore servizi, particolarmente quelle protette da lobby corporative finora inattaccabili.
Ma il punto chiave sarà ancora una volta il problema del debito pubblico che, dopo gli interventi statali necessari a supportare l’economia durante l’epidemia, raggiungerà livelli ancor meno sostenibili che nel 2019. Nel momento in cui il Patto di stabilità e crescita sarà ristabilito, per l’Italia sarà necessario avviare un serio piano di rientro dal debito, a prescindere dall’atteggiamento più o meno comprensivo dei nostri partner europei. Come abbiamo visto di nuovo nei giorni precedenti il lancio del Quantitative easing da parte della Bce, saranno gli investitori a decidere il nostro livello di affidabilità».

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