Finanza ed etica: è possibile la convivenza?

È possibile, ma bisogna cercare di armonizzare i due concetti, riscoprendo il senso e il valore del bene comune in contrapposizione alla ricerca del bene del singolo. Alcune riflessioni per realizzare un’economia che deve cambiare visione

Etica: non solo filosofia
“Etica: nel linguaggio filosofico, ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto perché intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane… (omissis). In senso più ampio, complesso di norme morali e di costume che identificano un preciso comportamento nella vita di relazione con riferimento a particolari situazioni storiche”. Il dizionario enciclopedico Treccani definisce così uno dei principi fondanti della filosofia, sul quale si sono cimentati i grandi pensatori Socrate, Platone, Aristotele, Descartes, Hobbes, Kant, Hegel. I principi etici non sono però una questione meramente filosofica, ma hanno una concreta applicazione in svariati campi dell’umanità. Oggi, infatti, si parla di etica della scienza e della medicina (bioetica), etica ambientale, del lavoro, della finanza.

Etica e finanza: un rapporto difficile
Purtroppo, molti dimenticano i principi che sono innati o che hanno imparato negli anni della formazione scolastica e si comportano in maniera difforme, mossi dal demone dell’avidità. E ciò avviene frequentemente nel campo della finanza, in cui la bussola che guida i comportamenti degli “addetti ai lavori” è il profitto smodato, la realizzazione di budget sempre più ambiziosi, il disinteresse per le esigenze della clientela. Si pensi, per fare riferimento a fenomeni recenti, alla “deregulation” applicata dagli Stati Uniti nel 1998, che ha abolito regole, controlli, verifiche sul mondo della finanza, nell’illusione che il “mercato” avrebbe automaticamente corretto gli errori. Si è invece spianata la strada ad avventurieri, sciacalli e speculatori. Si pensi all’ubriacatura derivante dalla “liquidità facile”, cioè l’inondazione dei mercati con moneta (fisica e bancaria, attraverso ad esempio i famosi “mutui subprime”), che si è tradotta in un’errata percezione di assenza di rischi, aprendo la strada a operazioni speculative, nell’illusione che il denaro non sarebbe mai mancato per coprire eventuali perdite.

Si pensi inoltre alla “finanza creativa” che, con l’obiettivo di moltiplicare i profitti grazie all’innovazione, ha creato strumenti a fortissimo contenuto speculativo, sfuggiti al controllo degli stessi creatori e creando nicchie al di fuori del campo d’azione delle autorità di sorveglianza dei mercati. Si pensi, per finire, all’incontrollato sviluppo delle cosiddette criptovalute, che stanno inondando il mondo con la promessa di creare “milionari senza sforzi” grazie a fantomatici algoritmi di gestione automatica del denaro che promettono la moltiplicazione non dei pani e dei pesci ma dei soldi indirizzati verso bitcoin, ethereum, polkadot o una delle ormai quasi diecimila valute digitali… Cambiare modus operandi è diventato urgente e il cambiamento dovrebbe passare attraverso l’adozione di criteri etici nella finanza.

Investimenti etici: seguire l’insegnamento di Olivetti
Nel panorama mondiale degli ultimi anni si sono diffusi, per fortuna, esempi positivi di imprenditori che hanno seguito un diverso modello di sviluppo; antesignano è stato sicuramente Adriano Olivetti, che ha profondamente marcato la storia imprenditoriale italiana. Per Olivetti la fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti, deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia: «Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica».

Si è andata affermando la necessità di realizzare “investimenti etici”, realizzati con rispetto dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, dei servizi sociali, della cultura e della cooperazione internazionale. Gli americani sintetizzano tutto questo con la dizione Triple P approach: People, Planet, Profit (persona, pianeta – nel senso di ambiente – profitto).

Come si vede, nulla a che vedere con beneficenza o elemosina: fra le tre P figura infatti anche il profitto. Ma la differenza tra una filosofia operativa puramente economico-finanziaria e una filosofia etica consiste sia nella quantità di profitto che ci si pone come obiettivo, sia nella qualità del profitto (inteso nel senso di “come” questo utile è generato), sia, infine, nella destinazione dell’utile.

Qualche riflessione

Proviamo a proporre alcuni concetti chiave per cercare di armonizzare etica e finanza.

Etica e profitto non sono conflittuali
Contrapporre etica e profitto, apertura sociale e utili aziendali è errato, perché si parte dal presupposto che l’uomo sia capace di perseguire un solo fine e non una serie di obiettivi diversi ma armonizzabili. La ricchezza “egoistica” e l’accumulazione di patrimoni personali smisurati aumentano le disuguaglianze; sono una malattia subdola, che giorno dopo giorno mina alle fondamenta il patto sociale.

L’economia deve cambiare visione
Occorre realizzare un cambiamento che metta in moto un processo in vista di un’economia diversa da quella che fa semplicemente sopravvivere (lavorare per guadagnare i soldi per vivere); un’economia che include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del pianeta e non lo depreda. E occorre realizzare processi produttivi, progetti qualificati e una progettualità solidale in grado di garantire equità e giustizia per tutti.

Dal profitto massimo al profitto ottimale
Il mondo della finanza è diventato un mostruoso “profittificio”, una fabbrica di profitti a tutti i costi, in cui chi ci lavora è disposto a qualunque sacrificio personale e a barattare tutti i valori etici che gli sono stati insegnati, pur di arraffare il successo e intascare per sé la parte più alta possibile di premi, bonus, incentivi. Ciò ha provocato crisi di portata mondiale, che hanno fatto tremare l’intero sistema economico: si pensi solo alle conseguenze del tracollo derivante dall’esplosione della “bolla internet”, nel 2000, o di quello seguito al fallimento della Lehman Brothers… È ora di trasformare l’imperativo “l’imprenditore deve massimizzare il profitto” in un più umano “l’imprenditore deve conseguire il profitto ottimale”: un concetto non solo di quantità, ma anche di qualità.

Accettare il bene comune
Dobbiamo riscoprire il senso e il valore del bene comune in contrapposizione alla ricerca del bene del singolo. Che cos’è il bene comune? Pensiamo agli allevatori che d’estate portano sull’alpeggio le proprie mandrie affinché trovino erba fresca per il pascolo. Se l’interesse del singolo fosse superiore al bene comune ogni pastore avrebbe interesse a portare una mucca in più al pascolo per massimizzare i profitti, ma ciò porterebbe all’esaurimento e alla desertificazione del pascolo. Invece, i pastori sanno che devono preservare il pascolo affinché non si desertifichi e possa negli anni continuare a svolgere la propria funzione per tutta la collettività; anche noi oggi dobbiamo riscoprire il valore del bene comune, sentirlo nostro e preservarlo per le generazioni future.

Accettare un’economia civile
Occorre superare la teoria dell’economia politica nata dalle teorie del filosofo inglese Thomas Hobbes (basate sull’assunto “homo homini lupus”), in base alle quali, poiché ogni uomo è un potenziale nemico degli altri, dobbiamo chiuderci in noi stessi per aumentare le nostre capacità di difesa. Contrapponiamo l’assunto dell’economia civile, cioè “homo homini amicus”, che vuol dire che ognuno è per natura amico degli altri. In questa visione, l’imprenditore è un agente di trasformazione della realtà circostante: l’imprenditore non può generare profitti senza guardare cosa succede intorno a sé, pensando che il suo compito sia quello di produrre ricchezza, delegando allo Stato il compito di redistribuirla.

Conclusioni
Pura utopia? No, impegno per realizzare un modello di finanza e d’impresa che parta dai principi etici per stilare un elenco di “cose da fare”. I valori da cui si dovrebbe partire sono: una finanza non creativa ma umana; una finanza non solo per il profitto ma per lo sviluppo; la persona prima del capitale; il progetto prima del patrimonio; l’equa remunerazione prima della speculazione. È giunto il momento di coniugare Platone e Schumpeter, per tendere a un equilibrio di principi nell’interesse di tutti. 



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