La misura di agevolazione fiscale prevista nel disegno di legge di bilancio 2019 adesso all’esame del Parlamento, non ha nulla a che fare con la cosiddetta flat tax – cioè con la revisione della struttura dell’Irpef – , rappresentando solo un innalzamento della soglia di fatturato per l’accesso al regime forfetario. Regime che, introdotto dalla legge 190/2014, prevede un trattamento più favorevole per i piccoli imprenditori e lavoratori autonomi in possesso di determinati requisiti.
Si tratta di una misura che:
- interessa solo il 17% delle partite Iva (quelle con ricavi inferiori a 65mila euro);
- dovrebbe avere un costo di 600 milioni di euro nel 2019 e di 1,8 miliardi nel 2020;
- si estende anche ai redditi da lavoro autonomo percepiti da dipendenti e pensionati;
- non si applica a coloro che partecipano a imprese familiari, società di persone e società a responsabilità limitata.
La norma, quindi, che elimina il tetto dei 30mila euro di reddito da lavoro dipendente per applicare il regime forfetario, non preclude l’accesso dei titolari di Partita Iva che hanno anche un reddito da lavoro dipendente o da pensione.
Questo quanto evidenziato nel corso dell’audizione che il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, ha tenuto in Parlamento sulla manovra economica, per illustrare le valutazioni dell’Upb sul suo impianto complessivo, sugli andamenti delle principali grandezze di finanza pubblica, sui principali interventi ipotizzati e sui loro effetti.
L’Ufficio parlamentare di bilancio rileva che, con riferimento all’estensione del regime forfettario, con l’Art. 6 del disegno di legge di bilancio recante “Imposta sostitutiva per imprenditori individuali ed esercenti arti e professioni” è stata modificata la clausola anti-elusiva che in precedenza impediva l’accesso al regime ai soggetti titolari di reddito da lavoro dipendente e pensione superiore a 30.000 euro, limitando l’esclusione ai soli soggetti che esercitano attività di impresa nei confronti di datori di lavoro presso i quali hanno svolto nei due anni precedenti lavoro dipendente. Rimane in vigore la determinazione forfettaria dei costi (con un coefficiente di redditività differenziato per settore) e la tassazione del reddito risultante ad aliquota unica del 15% (5% per le nuove attività). Non sono dovute le addizionali locali all’Irpef e, dove applicabile, l’Irap. I soggetti che aderiscono a tale regime sono inoltre esclusi dal regime Iva e godono di uno sconto contributivo pari al 35%.
Le modifiche normative, è bene sottolineare, influenzano sotto diversi aspetti l’entità della variazione del reddito disponibile dei contribuenti coinvolti, determinando la convenienza o meno dell’adesione al regime opzionale. L’applicazione del regime forfettario influisce sul livello del reddito da sottoporre a tassazione. Il reddito di impresa viene determinato in modo forfettario applicando ai ricavi un coefficiente di redditività, differenziato per settore. Se la redditività applicata forfettariamente è inferiore a quella effettiva, la norma consente una riduzione dell’imponibile e quindi un vantaggio in termini di minore imposta e viceversa.
L’adesione al regime forfettario consente la riduzione delle aliquote contributive del 35 per cento (solo per i piccoli commercianti e gli artigiani iscritti al regime forfettario). Il risparmio in termini di contribuzione è parzialmente compensato dalla corrispondente riduzione delle deduzioni, che comporta un incremento del reddito imponibile.
Con il regime forfetario, il reddito derivante dall’attività di lavoro autonomo fuoriesce dal regime Irpef e viene tassato ad aliquota fissa del 15% (del 20% nel regime di imposta sostitutiva). I restanti redditi, se presenti, continuano a essere tassati nell’ambito dell’imposta progressiva. Nel passaggio dall’imposizione progressiva a quella proporzionale il vantaggio è crescente al crescere del reddito. Si consideri tuttavia che se non sono percepiti altri redditi Irpef (ovvero se non vi è sufficiente capienza fiscale residua) non sarà possibile continuare a beneficiare di eventuali detrazioni/detrazioni di imposta. In tale regime, infatti, sono eliminate tutte le detrazioni (per familiari a carico, cure sanitarie, interessi su mutui ipotecari ecc.) e tutte le deduzioni (tranne quelle per i contributi obbligatori).
In casi particolari è possibile che la riduzione di imposta dovuta alla fuoriuscita del reddito forfettario dal regime Irpef risulti minore dell’imposta sostitutiva corrispondente. In generale gli autonomi che aderiscono ai regimi sostitutivi e che percepiscono anche altri redditi tendono a beneficiare di risparmi di imposta più elevati (dato un ammontare di reddito da lavoro autonomo, la riduzione di imposta dovuta all’uscita dal sistema Irpef è maggiore se sono presenti altri redditi, in quanto l’incidenza del beneficio corrisponde alle aliquote Irpef marginali applicabili al contribuente).
Sono pertanto diversi gli elementi da considerare per una corretta valutazione del regime forfetario. I vantaggi principali del regime in esame sono due: l’eliminazione dell’Irap per gli autonomi e le Pmi (l’Irap era stata già tagliata sulle grandi imprese dal precedente governo e uno snellimento delle incombenze burocratiche. Come già ricordato, considerata l’impossibilità di effettuare detrazioni e deduzioni, gli effetti di una tassazione al 15% possono essere favorevoli, sfavorevoli, neutrali.
Le norme in esame comportano, come mostrato in precedenza, un importante riassetto della tassazione che, in alcuni casi di difficile valutazione, potrebbe comportare una maggiore emersione dei redditi abbassando il disincentivo all’attività lavorativa, riducendo l’aliquota marginale complessiva.
Tuttavia questo assetto configura anche un sistema speciale di tassazione per particolari tipologie di contribuenti (imprenditori individuali e lavoratori autonomi), che sussiste in parallelo a quello dell’imposta personale progressiva al quale rimangono sottoposti i lavoratori dipendenti, i pensionati e gli altri contribuenti non coinvolti.
L’aver consentito ai percettori di redditi da lavoro dipendente e da pensione di accedere al regime forfetario, per i redditi da lavoro autonomo superiori a 30mila euro, è una misura che potrebbe interessare principalmente dirigenti, ex dirigenti in pensione ed ex professionisti in pensione. Facendo un esempio, un ex dirigente che svolge un’attività professionale e che percepisce una pensione annua lorda di 90mila euro, per ogni 10mila euro di reddito da lavoro autonomo doveva pagare 4.800 euro di tasse nel 2018, pagherà 1.500 euro di tasse nel 2019, con un risparmio di 3.300 euro… Se confermata nel suo iter parlamentare, la misura entrerà in vigore dal 1° gennaio 2019.
Tenuto conto che una razionalizzazione della tassazione del reddito personale ha un costo abbastanza elevato, forse sarebbe stato opportuno scaglionare nel medio periodo le maggiori spese connesse con la riforma delle pensioni e con l’introduzione del reddito di cittadinanza, in modo da concentrare tutte le risorse disponibili alla riduzione della pressione fiscale. Questa forse sarebbe stata una misura più facile da far “digerire” in sede comunitaria, anche perché effettivamente volta a contrastare il rallentamento ciclico in atto. D’altro canto, una forma di reddito minimo la si può anche ottenere prevedendo, nell’ambito della riforma dell’Irpef, un’imposta negativa sul reddito cioè un sussidio in favore degli incapienti. L’imposta negativa avrebbe costi di gestione inferiori a quelli del reddito di cittadinanza, sarebbe più in linea con la ventilata ipotesi di flat tax, garantirebbe una maggiore selettività nell’erogazione dei sussidi e, se ben congegnata, potrebbe non disincentivare il lavoro. Naturalmente, così come per le altre forme di sostegno economico, anche l’imposta negativa presuppone rigorosi controlli volti soprattutto a contrastare l’occupazione irregolare.