I 3 rischi dell’economia mondiale

Stiamo vivendo una fase prolungata contraddistinta sia da bassi tassi di crescita sia del benessere sia dell’inflazione. Peculiare dei paesi avanzati, è destinata a influire negativamente anche sui paesi emergenti

IL 22 NOVEMBRE SI È SVOLTO A ROMA UN CONVEGNO ORGANIZZATO DA MANAGERITALIA in cui sono state presentate le analisi di Oxford Economics sull’andamento dell’economia globale ed europea, con un focus sull’economia italiana e sull’importanza del settore dei servizi per il nostro paese.
Nel corso del convegno, Oxford Economics ha sottolineato la fragilità dell’attuale situazione dell’economia mondiale, ormai avviata verso un periodo caratterizzato da un New Normal prolungato di bassi tassi di crescita sia del benessere (almeno come misurato dal pil) sia dell’inflazione. Il grafico mostra come il New Normal sia caratteristica precipua dei paesi avanzati e come sia destinato a influire negativamente anche sui paesi emergenti. L’unica, ma importantissima, eccezione è costituita dall’area asiatica, popolata da quasi 4 miliardi di abitanti ma ancora mediamente molto arretrata – e in cui continuano a distinguersi per dinamismo la Cina e l’India, nonostante il rallentamento della crescita della prima.

 
Una fase in chiaroscuro
Oxford Economics individua tre rischi principali per lo scenario New Normal:  la stagnazione secolare, il ritorno a pratiche protezionistiche da parte dell’amministrazione Trump e lo scoppio della bolla immobiliare in Cina con il rallentamento significativo dell’espansione dell’attività economica.

La stagnazione
La stagnazione secolare si configura in un ulteriore (rispetto al New Normal), significativo e prolungato rallentamento dello sviluppo globale e soprattutto per i paesi avanzati, con tassi di crescita e di inflazione prossimi allo zero. I fattori scatenanti della stagnazione sono di tipo strutturale e quindi particolarmente complessi da debellare: in primis l’assenza per i prossimi anni della disponibilità sul mercato di nuove tecnologie “disruptive”, con la conseguente riduzione dei tassi di crescita della produttività totale, l’invecchiamento della popolazione, l’elevato debito pubblico di molti paesi e la riduzione a livello globale del moltiplicatore commercio/pil.

L’incognita Trump
L’elezione di Donald Trump a presidente degli Usa è stata caratterizzata da una campagna elettorale molto aggressiva, nel corso della quale il candidato Trump ha dato poche indicazioni concrete di quella che sarà la sua politica economica. In estrema sintesi, quello che ci si può attendere è un periodo di incertezza sulla definizione del programma ma che il Congresso, dominato dai Repubblicani, costringerà Trump a muoversi in direzione di un programma molto più moderato di quanto annunciato in campagna elettorale. Se così fosse, i prossimi anni sarebbero caratterizzati da manovre di bilancio espansive (meno tasse, soprattutto per le classi più abbienti, più investimenti in infrastrutture) che porterebbero gli Usa a crescere in maniera accelerata rispetto a quanto definito nel New Normal. Questo andrebbe a scapito della solidità del budget federale, con l’accelerazione a partire dal 2018 della politica monetaria restrittiva della Fed. C’è quindi da attendersi un trade-off tra un breve termine più positivo a scapito di un lungo termine più negativo. Ma il rischio vero della politica economica indicata dal candidato Trump in campagna elettorale è costituito dall’eventuale adozione di pratiche protezionistiche a difesa della produzione nazionale Usa, con l’imposizione di tariffe alle importazioni di importanti partner commerciali come Messico, Cina e forse anche India e altri. Ove il presidente Trump si ostinasse su questa impostazione di politica del commercio Usa, su cui ha il potere personale di prendere decisioni, le ritorsioni tariffarie dei paesi a cui le sue misure sarebbero destinate non si farebbero attendere. La conseguenza ovvia sarebbe una forte riduzione del commercio internazionale che comunque rappresenta un motore dell’economia globale. Ma l’altra implicazione, forse meno ovvia ma ancora più dannosa per l’economia Usa, è che l’anima Repubblicana del Congresso non concordi su questa linea e il conflitto conseguente tra Trump e Congresso sfocerebbe nel blocco delle misure di bilancio espansive annunciate da Trump. Il combinato disposto di minore commercio internazionale e assenza di misure propulsive dell’attività economica porterebbe gli Usa vicino alla recessione nel giro di pochi trimestri, con effetto fortemente negativo sulla già fragile crescita mondiale.

Bolla immobiliare cinese?
Il rischio Cina è costituito fondamentalmente dal verificarsi di una catena di eventi nel settore immobiliare già osservato in altri paesi: eccessiva espansione del credito immobiliare, conseguente eccesso di costruzioni con conseguente squilibrio domanda/offerta, crollo dei prezzi ed esplosione della bolla immobiliare con effetto sistemico di ritorno sul settore bancario impossibilitato a ottenere la restituzione del credito inizialmente elargito in eccesso – l’effetto sul sistema economico dei paesi che hanno assistito a questo fenomeno nel passato è stato dirompente (la crisi Usa e poi globale del 2008 è un esempio recente). Ad alleggerire questo rischio in un paese come la Cina sono due considerazioni principali. La prima è l’enorme serbatoio di popolazione rurale, potenziale equilibratore di uno squilibrio domanda/offerta (ma il cui afflusso verso le città non è facile da regolare), la seconda è la capacità finora dimostrata delle autorità cinesi di intervenire a regolare la disponibilità di credito – capacità che però potrebbe essere messa a dura prova dalle differenze del mercato immobiliare tra le grandi città e il resto del paese. In sintesi, il rischio Cina appare più limitato rispetto all’ipotesi di un presidente Usa che avvii una guerra commerciale su scala globale, sia in termini di probabilità di accadimento che di profondità delle ripercussioni sul sistema economico.

Le conseguenze della Brexit

In Europa si discute molto del rischio per l’economia europea della Brexit. In realtà si tratta di un rischio più di tipo politico che economico, per un effetto di simulazione che potrebbe rafforzare le forze centrifughe al progetto europeo. Se tali forze dovessero prevalere il disastro sarebbe sicuro, ma al momento attuale la probabilità di accadimento di un evento di questo tipo appaiono quasi nulle. L’effetto puramente economico della Brexit sull’Europa, dunque, è limitato dall’entità relativamente ridotta delle esportazioni della Ue verso la Gran Bretagna e dall’effetto diluito negli anni delle negoziazioni sul movimento di beni, servizi e popolazione. L’economia europea appare quindi nel suo complesso procedere lentamente all’interno del New Normal, con la grande sfida di ridurre le differenze strutturali tra i paesi del nord e del sud Europa.

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