I prodotti “senza” sono migliori?

Agli italiani piacciono i prodotti e i cibi free from, cioè liberi da glutine, zuccheri, parabeni, siliconi… Vediamo da dove nasce questa tendenza

Il mondo dei consumi è dominato dal “senza”. Compriamo alimenti free from (grassi, zuccheri, olio di palma, conservanti, glutammato ecc.), utilizziamo cosmetici senza parabeni e persino i detergenti per la casa evidenziano sul pack l’assenza di qualche componente (fosfati, enzimi, fosforo).

Secondo i dati rilevati dall’Osservatorio Immagino di GS1-Nielsen, sugli scaffali dei supermercati erano presenti 11.900 alimenti con questo tratto distintivo, pari a oltre un quarto (27%) delle 64.800 referenze analizzate. Ad acquistarli sono svariati segmenti di consumatori. C’è chi soffre di un’intolleranza alimentare, stabilita a livello medico oppure presunta, e chi, pur non avendo criticità specifiche, decide di seguire un certo regime alimentare nella convinzione che sia più sano. Il caso del glutine risulta emblematico: quasi un italiano su 5 (19,3%) compra prodotti privi di glutine. Tuttavia, solo al 6,4% è stata diagnosticata un’intolleranza, mentre il 12,9% li assume senza avere alcuna problematica accertata (fonte: rapporto Eurispes 2019).

Ma il “senza” pervade anche il livello macro, ovvero i comportamenti di acquisto. Dalla fine degli anni Duemila gli italiani hanno infatti progressivamente ridotto le loro spese. I dati di Confesercenti ci dicono che oggi le famiglie spendono oltre 2.500 euro in meno di dieci anni fa.

Crisi e stretta dei consumi

Che cosa significa, in pratica, vivere in un sistema “senza”? Lo spiegano Edoardo Lozza e Giulia Fusari nel libro Psicologia del senza. Gli effetti della crisi economica e i nuovi modelli di consumo. I due autori mostrano come questo nuovo approccio si sia sviluppato dal 2008 – anno di inizio “ufficiale” della crisi – ma nei fatti sia diventato consapevole solo dall’estate del 2011. È in quel periodo che si è diffusa nel nostro Paese la percezione di un cambiamento di contesto e, di conseguenza, si sono messe in atto pratiche orientate al risparmio. L’espressione “possiamo fare a meno di molte cose che possediamo” – che si afferma proprio nella seconda metà del 2011 – sintetizza e, in qualche misura, simboleggia la nuova inclinazione. E apre la strada alla psicologia del “senza”.  

Il successo dei prodotti privi dell’elemento cattivo

Attenzione: rinunciare a qualcosa significa necessariamente fare i conti con una frustrazione. Come la psicologia insegna, la frustrazione delle aspirazioni favorisce la ricerca più o meno consapevole di un colpevole, un capro espiatorio per il proprio disagio. Lozza e Fusari spiegano così la diffusione e il radicamento di un atteggiamento, talora quasi paranoico, dominato dall’opposizione rigida tra buono e cattivo, tra ciò che fa bene (e va conservato) e ciò che fa male (e va eliminato). Ecco allora il successo dei prodotti privi dell’elemento “cattivo”.  

È chiaro che si tratta di un meccanismo difensivo irrazionale: quanti consumatori sanno/saprebbero spiegare perché i fosfati sono nocivi o i parabeni pericolosi? Insomma, dicono i due autori, «il consumatore mette in atto comportamenti di evitamento nei confronti di quei prodotti che contengono l’ingrediente incriminato; e capita sovente che lo faccia senza avere gli strumenti e le informazioni necessarie per poterne decretare la pericolosità, ma piuttosto “per sentito dire”».

Accanto al lato “dark”, privativo, della rinuncia c’è però anche un aspetto positivo. Quando i consumatori riescono a rielaborare la privazione, lo scarto fra ciò che desiderano e ciò che acquistano, la rinuncia diventa un’opportunità per (ri)pensare le pratiche di consumo. Un’occasione per capire cosa conta davvero e cosa è superfluo.

Le aziende cambiano registro

È interessante osservare come ai cambiamenti di consumo si accompagni una drastica variazione del registro comunicativo. A partire dal biennio 2010/11 le campagne virano su un tono di comunicazione rassicurante. Così, per esempio, utilizzano in maniera massiccia colori chiari e legati alla natura (come il bianco e il verde) e termini che escludono la presenza di particolari ingredienti (“senza”, “no”, “zero”). In parallelo enfatizzano le caratteristiche green dei prodotti pubblicizzati e fanno riferimento, in maniera più o meno esplicita, al senso di colpa e alla genitorialità. In altri termini, via via che si diffonde un clima di ansia e preoccupazione aumentano gli sforzi delle aziende per rassicurare gli italiani che va tutto bene. Un esempio? La campagna di Coop. Negli spot pre-crisi la catena distributiva si presenta come “complice del consumatore poiché concorre a salvaguardare i risparmi, garantendo qualità e convenienza”, mentre dopo la crisi, in un momento in cui le sicurezze del consumatore vengono costantemente messe in discussione, l’insegna si propone come “un porto sicuro che offre prodotti controllati e di qualità”. 

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