Per il terzo anno consecutivo crescono gli investimenti delle imprese italiane per l’innovazione digitale. Nel 2019 è previsto un incremento medio del +2,6% del budget ICT, in crescita nel 39% delle imprese, con investimenti concentrati in particolare nella dematerializzazione dei documenti, nei Big Data Analytics e nei sistemi ERP. L’innovazione digitale introduce nuovi modelli di business partecipativi, aperti a startup, centri di ricerca e aziende non concorrenti: il 33% delle imprese ha già in atto iniziative di Open Innovation e il 24% ha in programma di realizzarle a breve. Solo il 17% ha un sistema di metriche per misurare l’impatto dell’innovazione digitale. Oltre metà delle aziende guarda alle startup come fonte di innovazione: il 33% ha già attivato una forma di collaborazione e il 21% ha in programma di farlo.
Sono alcuni risultati della ricerca degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net), in collaborazione con PoliHub, presentata questa mattina al convegno “Imprese e Startup nel vortice della trasformazione digitale: alla ricerca dell’innovazione”. L’indagine, attraverso le risposte di 250 tra Chief Innovation Officer e Chief Information Officer, e 45 interviste dirette, ha fotografato l’innovazione digitale nelle imprese italiane in termini di risorse impiegate e modalità di governance, studiando, da un lato, il livello di adozione di nuovi modelli per gestire l’innovazione e, dall’altro, l’evoluzione delle collaborazioni tra startup e aziende incumbent in Italia.
“La costante crescita della spesa ICT per il terzo anno consecutivo e la presenza di investimenti digitali anche in unità aziendali diverse dall’IT sono ottimi segnali di maturità da parte delle aziende italiane – commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy -. Ma incrementare le risorse dedicate all’innovazione non è sufficiente: per gestire la velocità e la pervasività con cui il digitale sta rivoluzionando ogni settore e attività professionale, è necessario ripensare completamente i propri modelli di business, sperimentando nuove forme organizzative che coinvolgano tutte le linee di business. Le imprese più lungimiranti si stanno attrezzando: circa un terzo delle imprese ha già adottato concretamente iniziative di Open Innovation, accogliendo e integrando stimoli di innovazione da nuove fonti finora poco utilizzate ma in crescita, come startup, università e centri di ricerca”.
Il budget ICT 2019
Nelle previsioni per il 2019 il budget ICT aumenta per il 39% delle imprese italiane, con un tasso di crescita pari al 2,6% (nella scorsa rilevazione oscillava fra l’1,8% e l’1,9%), trainato dalle grandi imprese, che mostrano un incremento medio del 4,8%, seguite dalle medie (+3,2%) e dalle grandissime imprese (+1,9%). Il 14% delle aziende prevede un aumento del budget superiore al 10%, il 25% un aumento fino al 10%, Solo il 9,5% delle imprese diminuirà il budget ICT. Il 47% ha un budget dedicato all’innovazione digitale anche in altre funzioni aziendali: è inferiore a quello della Direzione ICT nel 36% dei casi, comparabile o superiore nell’11%.
I principali ambiti di investimento ICT delle imprese italiane sono Digitalizzazione e Dematerializzazione (indicata dal 39% del panel), sistemi di Big Data Analytics e Business Intelligence (38%) e il consolidamento, sviluppo e rinnovamento dei sistemi ERP (31%). Seguono lo sviluppo e il rinnovamento dei sistemi CRM (26%), le soluzioni di eCommerce e Mobile Commerce (20%), sistemi di Information Security, Compliance e Risk Management (18%), applicazioni e tecnologie di Industria 4.0 (16%), Mobile Business (16%), sviluppo o rinnovamento dei Data Center e Information Management (15%). Chiudono a distanza Artificial Intelligence e Machine Learning (10%), Smart Working (10%), Internet of Things (9%), Supply Chain Finance e Blockchain (entrambe al 2%).
La gestione dell’innovazione digitale
La gestione dell’innovazione digitale è ancora un processo complesso e spesso è la stessa cultura aziendale l’ostacolo più difficile da superare. La principale sfida organizzativa è rappresentata, per il 55% del panel, dallo sviluppo di strutture, ruoli e meccanismi di coordinamento che coinvolgono le diverse Direzioni. Poi vengono la necessità di reperire, valutare e sviluppare competenze digitali (44%), la definizione di nuove forme di collaborazione con i fornitori tradizionali e nuovi partner come startup, centri di ricerca e università (41%).
Il 60% delle imprese ha avviato iniziative per favorire l’attitudine imprenditoriale dell’organizzazione, come sensibilizzare i manager a stili di leadership indirizzati all’accettazione del rischio e dell’errore (39%), formazione su temi di frontiera come il design thinking (35%) e percorsi di formazione per stimolare l’innovazione fra i dipendenti (30%). Seguono collaborazioni con le startup (29%), l’organizzazione di contest o hackathon per coinvolgere i dipendenti (24%). Il 26% non ha lanciato nessuna iniziativa, ma le sta pianificando, mentre solo il 14% non è interessato.
Le imprese cercano di dotarsi di modelli organizzativi con ruoli e processi definiti e strutturati. Tra quelle con oltre 250 dipendenti, il 35% affida ogni progetto di innovazione a un team dedicato, il 26% gestisce i progetti di innovazione in modo occasionale e con attività non strutturate, nel 4% dei casi è presente un comitato innovazione interfunzionale, nel 36% è presente una Direzione innovazione o una figura dedicata.
L’Open Innovation
La rivoluzione digitale impone nuovi modelli di business aperti e partecipativi e le imprese ricercano spunti di innovazione da nuovi interlocutori come startup, centri di ricerca, clienti guida e aziende non concorrenti che si affiancano a quelli tradizionali. In Italia un’impresa su tre adotta consapevolmente e sistematicamente progetti di Open Innovation (33%) e fra queste solo il 12% da più di tre anni. A questi numeri bisogna aggiungere un 24% di aziende che non ha ancora avviato iniziative di Open Innovation ma intende farlo a breve, mentre un altro 24% non è interessato all’argomento, il 18% non sa e soltanto l’1% ha abbandonato questi progetti dopo averli adottati in passato.
Le principali fonti di innovazione negli ultimi tre anni sono piuttosto “tradizionali”: in testa i venditori e fornitori di soluzioni ICT (42%), seguiti dal top management (38%), dai clienti esterni (36%) e società di consulenza (32%), mentre appare ancora limitato l’impatto di università e centri di ricerca (15%), startup (10%) e aziende non concorrenti (7%). Se si osservano le indicazioni delle imprese per i prossimi tre anni, tuttavia, il divario si riduce nettamente, con tutte le fonti tradizionali in calo, come venditori e fornitori di tecnologie (31%, -27% sul triennio precedente), società di consulenza (22%, -33%) e il top management (36%, -6%), mentre registrano un forte incremento le fonti di innovazione finora poco utilizzate, come le startup (indicate dal 23% del campione, +138% sul triennio precedente), i centri di ricerca e le università (23%, +59%), le unità aziendali di ricerca e sviluppo (24%, +21%) e le aziende non concorrenti (8%, +20%).
Tutte le imprese che adottano iniziative di Open Innovation praticano la cosiddetta Inbound Open Innovation (o Outside-in), che incorpora stimoli esterni all’interno dei processi. Il 66% di queste sviluppa collaborazioni con università e centri di ricerca, il 46% svolge azioni di partner scouting su imprese consolidate, il 43% fa attività di startup intelligence. È discreta la percentuale che promuove call4ideas, startup o contest (29%) e ricorre ad hackathon, datathon e appathon (27%). Una buona frazione di imprese si dedica a operazioni di Merger&Acquisition (23%), mentre sono meno diffusi i corporate incubator e accelerator (14%). In fondo alle preferenze troviamo il crowdsourcing (8%) e i corporate venture capital per entrare nell’equity di iniziative imprenditoriali (5%). Molto meno diffuse sono le azioni di Outbound Open Innovation (o Inside-out), il modello che esporta stimoli di innovazione interna, avviate soltanto dall’11% del panel. Il 14% di queste imprese sviluppa joint venture con altre realtà, il 9% sviluppa modelli di business a piattaforma, il 5% pratica il licensing dei prodotti.
“Un terzo delle aziende analizzate è già oggi impegnato in iniziative di Open Innovation ed un ulteriore quarto si appresta ad avviare a breve iniziative in proposito – dice Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence e CEO di PoliHub -. Questi dati confermano una tendenza positiva. Sono per ora iniziative prevalentemente affrontate con pragmatismo e grande prudenza e, nella maggior parte dei casi, si registra un approccio estemporaneo dal quale stenta ancora ad emergere una reale azione sistematica. Le aziende stanno oggi sperimentando l’utilizzo di un ampio spettro di azioni di Inbound Open Innovation, con una predilezione per le attività più tradizionali e consolidate, che implicano minori investimenti e rischi, ma anche risultati di minore impatto. Nel caso dell’Outbound, invece, le imprese tendono a utilizzare quelle azioni che consentono di mantenere internamente la proprietà intellettuale o che favoriscono la riduzione del rischio imprenditoriale”.
L’impatto dell’innovazione
Le imprese sono consapevoli che dall’innovazione passa la capacità di restare competitive sul mercato, ma misurarne l’impatto non è un’operazione semplice. Soltanto il 17% ha un sistema di metriche per misurare l’impatto dell’innovazione digitale, e fra queste il 14% deve ancora strutturarle, anche se il 40% dichiara di avere in programma di adottarne uno. I risultati economici (ROI e fatturato) sono la dimensione più misurata dalle imprese (71%), seguiti dalle risorse spese nei processi di innovazione (53%) e dagli indicatori di branding, come la soddisfazione dei clienti e dei dipendenti, l’immagine aziendale e l’employer branding (50%). Tra le dimensioni considerate più importanti per le aziende, però, figura con il 43% delle preferenze anche l’impatto sulla cultura aziendale e sul modello di leadership.
Il ruolo delle startup
Più della metà delle aziende intervistate guarda all’ecosistema delle startup come fonte alternativa per lo sviluppo di innovazione digitale. In particolare, il 33% delle imprese oggi ha collaborazioni già attive con startup e il 21% ha intenzione di avviarne a breve. La percentuale di collaborazioni attive aumenta notevolmente fra le grandissime imprese (57%), mentre scende fra le medie (14%), anche se il 18% ha manifestato l’interesse a farlo in futuro.
I principali ostacoli sono la gestione delle difficoltà di comunicazione (43%), la formalizzazione di garanzie per favorire un impegno continuativo (37%) e la regolamentazione della proprietà intellettuale (29%). Seguono la gestione dei processi di qualifica (25%), la definizione di accordi di riservatezza (24%), l’allineamento sulle scadenze della collaborazione (13%) e la gestione dei tempi di pagamento (9%).
Le modalità di collaborazione possibili fra imprese e startup sono varie. Ben un’azienda su due tra quelle che hanno già collaborato ha avviato una partnership in ricerca e sviluppo per la realizzazione di un prodotto o di un servizio; il 41% delle imprese ha utilizzato la startup come fornitore spot, il 27% come fornitore a lungo termine, il 20% ha attivato una partnership di tipo commerciale e il 13% collabora alla definizione e innovazione del modello di business complessivo. Il 16% delle imprese, inoltre, ha inserito la startup all’interno di un programma di incubazione o accelerazione di proprietà dell’azienda o con cui l’azienda collabora, e il 12% partecipa nell’equity della startup. Appena il 6% acquisisce la startup.
“La strada per avviare in modo efficace collaborazioni con startup è disseminata di ostacoli e non tutte le imprese decidono di percorrerla – dice Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence -. Ma l’interesse per queste realtà rimane alto per la possibilità di spunti di innovazione, l’apporto di una nuova cultura imprenditoriale e di modalità di lavoro più agili. Per cogliere queste opportunità, però, è necessario che entrambi gli attori siano disposti a mettere in discussione le proprie metodologie e le proprie abitudini, agendo con maggiore flessibilità e riuscendo così a trovare un punto di incontro per la nascita di una relazione che porti vantaggio e valore aggiunto ad entrambi gli attori in gioco”.