Italia: la terziarizzazione incompiuta

È soprattutto a livello culturale e istituzionale che il terziario in Italia non ha ancora raggiunto la sua piena potenzialità. Certo, serve aumentare anche la sua capacità di industrializzarsi in un’economia che tra industria e terziario ha confini sempre più labili

A livello globale oggi il terziario vale circa il 68% del pil, con grosse variazioni tra un paese e l’altro, in funzione della fase di sviluppo in cui si trovano. Dagli anni settanta ad oggi, tutte le economie avanzate hanno sperimentato un accelerato processo di terziarizzazione. Questo fenomeno ha cause multiformi, legate alle trasformazioni tecnologiche, demografiche e sociali, ed è stato uno dei fenomeni che hanno contribuito significativamente a rivoluzionare l’economia e la società nei paesi interessati. Le conseguenze della terziarizzazione sono state eterogenee per diverse categorie di lavoratori e per diverse aree geografiche, spesso anche all’interno dei singoli paesi. Si parla, non a caso, di “rivoluzione industriale” dei servizi, indicando la poderosa crescita del settore negli ultimi trent’anni, caratterizzata da progresso tecnologico, automazione e dimensioni di scala.

La terziarizzazione dell’economia è tipica delle economie avanzate e non si è ancora verificata appieno nella grande maggioranza dei paesi emergenti, che si trovano in una fase del loro ciclo di sviluppo tipicamente a maggiore componente manifatturiera per la necessità di costruire infrastrutture di base. Il peso dei servizi sul pil nei paesi emergenti negli ultimi trent’anni è comunque rimasto pressoché costante intorno al 57%, mentre nei paesi avanzati è passato dal 71% al 76% del pil.

Un fenomeno rilevante è la presenza fortemente crescente della componente servizi nel commercio mondiale. Nel 2019 la quota di commercio internazionale dovuta ai servizi ha raggiunto il 25% del totale (dal 19% del 1995), con un aumento in valore del 50% nei soli ultimi dieci anni, ad una velocità doppia di quella del commercio di beni. Considerando la quota di servizi incorporata nelle merci scambiate, Oxford Economics stima che i servizi ormai “valgano” il 55% del totale degli scambi globali.

In Italia negli ultimi trent’anni la quota del valore aggiunto del terziario sull’economia è passata dal 69% al 74% del pil, confermando sia la presenza del processo di terziarizzazione dell’economia sia un ritardo di circa due punti percentuali rispetto alla media dei paesi avanzati. Il settore è molto articolato e include attività decisamente disomogenee tra loro, con peculiarità che le espongono a rischi diversi oppure, a fronte di rischi simili, con impatto quantitativo significativamente variabile. Se ne è avuta conferma con l’avvento della pandemia, che ha quasi azzerato i settori del turismo e della ristorazione e allo stesso tempo ha lasciato pressoché indenni i lavoratori di molte aree del settore pubblico e della fornitura di software.

Secondo i dati Istat pubblicati il 3 marzo sul valore aggiunto per settore, l’impatto negativo della pandemia Covid-19 e delle conseguenti restrizioni sul terziario in Italia non ha avuto precedenti dalla Seconda guerra mondiale, con una caduta di -8,1% del valore aggiunto complessivo del settore servizi rispetto al 2019. Nonostante ciò, nel 2020 il terziario ha avuto una performance migliore (meno negativa) del pil nazionale, la cui caduta è stata di -8,9%. In altre parole, il terziario anche nel 2020 ha continuato ad aumentare la sua quota di valore aggiunto sul totale, a scapito dell’industria manifatturiera (-11,4%).

Il prolungarsi della pandemia e del rafforzamento dei lockdown sta purtroppo continuando ad avere un forte impatto negativo su alcuni settori del terziario.

Nel quarto trimestre del 2020 si è registrata una diminuzione congiunturale (ossia rispetto al trimestre precedente) di -2,3% del valore aggiunto del terziario nel suo complesso, con particolare impatto sul comparto del commercio, alloggio e ristorazione (-5,3%) e su quello delle attività artistiche e di intrattenimento (-8,5%). Per le imprese operanti in questi due comparti si tratta del proseguimento di un annus horribilis dal quale potranno uscire solo con un mix di resilienza, misure di policy e sforzo di innovazione e riconversione.

Meno pesante, ma pur sempre in territorio negativo, l’andamento del quarto trimestre per i servizi delle attività immobiliari (-2,3%) e per quelli delle attività finanziarie e assicurative (-1,8%), che hanno riportato una performance simile a quella del pil nazionale (-1,9%). Per contro, le attività professionali – che erano state particolarmente colpite nel periodo iniziale della pandemia – hanno mostrato un andamento leggermente positivo (+1,1%) che gli consente di “limitare” i danni del 2020 a una caduta su base annua di -10,4%. Il comparto della PA (amministrazione pubblica, difesa, istruzione e sanità) si è confermato stazionario e tra i settori meno colpiti nel 2020.

Da queste forti disparità di andamento deriva da un lato la necessità di innovare e ripensare le proprie attività da parte delle imprese, dall’altro l’opportunità di concentrare le misure di policy in modo da contribuire al riequilibro nei prossimi anni dell’andamento delle attività economiche e imprenditoriali. Il meccanismo NGEU della Commissione Ue e il prossimo PNRR del governo Draghi possono essere strumenti importanti per tale riequilibrio.

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