La revisione dell’Irpef prevista dalla Legge di Bilancio 2022

Il successo del Pnrr, oltre a progettazione e attuazione degli interventi previsti, dipende anche da un ampio spettro di riforme strutturali determinanti per ridare slancio allo sviluppo del Paese. Prosegue il nostro viaggio in queste riforme con un’analisi a cura di vari esperti. Per la riforma fiscale abbiamo coinvolto Nicola Quirino, docente di Finanza pubblica all’Università Luiss e all’Accademia della Guardia di Finanza, che dopo averci illustrato gli obiettivi principali di questo provvedimento, oggi punta i riflettori sulla revisione dell'Irpef previsa dall'ultima Legge di Bilancio

Un primo passo lungo il sentiero delineato dal piano di riforma fiscale è stato compiuto con la Legge di Bilancio per il 2022, la quale ha rinnovato in misura apprezzabile la struttura dell’Irpef, intervenendo sulle aliquote marginali legali, sugli scaglioni nonché sulle detrazioni base riconosciute ai redditi da lavoro dipendente, da lavoro autonomo e da pensione.

Per tali interventi di alleggerimento del carico fiscale sono stati complessivamente stanziati sette miliardi, circa la metà dei quali in favore dei contribuenti con reddito fino a 25 mila euro. Che le risorse stanziate siano piuttosto contenute appare evidente se si rammenta che l’introduzione nel 2014 del “bonus di 80 euro” al mese richiese un impegno finanziario di poco inferiore a 10 miliardi.

Apprezzabile è comunque il fatto che le risorse, seppure contenute, derivano per più del 60% dalla riduzione dell’evasione fiscale.

Ovviamente, le modifiche apportate all’Irpef dalle norme inserite nel bilancio dello Stato (art.1 comma 2-3 della legge 234/2021) non rappresentano una riforma complessiva e definitiva del tributo, soprattutto se si considera che sono rimaste immutate le regole per la definizione della base imponibile. Ed è proprio il cambiamento di queste regole che appare oggi quanto mai auspicabile perché, con la diffusione dei regimi sostitutivi, l’oggetto dell’Irpef è andato via via restringendosi, fino a concentrarsi quasi esclusivamente sui redditi da lavoro dipendente e da pensione.

Passando ad esaminare più in dettaglio le novità di cui si è fatto cenno, si noti anzitutto che con la decisione di bilancio si è stabilito:

  • di mantenere invariata al 23% l’aliquota del primo scaglione, cioè quello fino a 15 mila euro (nel quale ricadono il 44% dei contribuenti);
  • di ridurre dal 27 al 25% l’aliquota dello scaglione di reddito compreso tra 15 mila e 28 mila euro (nel quale ricadono il 32% dei contribuenti);
  • di ridurre dal 38 al 35% l’aliquota dello scaglione di reddito compreso tra 28 mila e 50 mila euro (nel quale ricadono il 18% dei contribuenti);
  • di eliminare l’aliquota del 41% e il corrispondente scaglione
  • di applicare un’aliquota del 43% allo scaglione di reddito superiore a 50 mila euro (nel quale ricadono il 6% dei contribuenti).

La riforma ha quindi solo leggermente attenuato la progressività dell’imposta erariale per i redditi appartenenti alle classi superiori della distribuzione, dato che la riduzione delle aliquote intermedie (del 27 e del 38%) è stata quasi completamente controbilanciata dall’applicazione dell’aliquota marginale legale più elevata (quella del 43%) dopo i 50 mila euro, anziché dopo i 75 mila come era fino al 2021.

Per quanto molto modesta, l’attenuazione della progressività va valutata positivamente, se rappresenta l’inizio di un processo di riduzione permanente della tassazione, in grado di sostenere l’espansione dei livelli produttivi e occupazionali. Tuttavia, non si può fare a meno di notare che in Francia, cioè in un paese che ha un sistema di finanza pubblica abbastanza simile a quello dell’Italia, l’aliquota massima dell’imposta erariale sul reddito è pari al 45% e scatta oltre i 158 mila euro. Senza dimenticare che aliquote marginali troppo alte tendono a frenare l’offerta di lavoro e a scoraggiare l’emersione degli imponibili.


Stando alle intese emerse in sede di definizione della manovra finanziaria, non è da escludere che nei prossimi anni si possa pervenire ad un’Irpef a tre aliquote: 23% fino a 25 mila euro, 33% tra 25-55 mila euro e 43% oltre i 55 mila euro.

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Assieme alla revisione delle aliquote e degli scaglioni, con la stessa legge di bilancio si è provveduto a innalzare l’importo massimo della detrazione base, fissandolo in:

  • 3.110 euro per i lavoratori dipendenti;
  • 1.955 euro per i pensionati;
  • 1.265 euro per i lavoratori autonomi non iscritti al regime forfettario.

E si è deciso di mantenere invariata (a 50 mila euro) la soglia oltre la quale non si ha diritto a beneficiare della detrazione.

Per effetto dei cambiamenti apportati alla detrazione base, la no tax area – cioè la soglia di reddito entro la quale l’imposta non è dovuta, nella quale rientrano i soggetti cosiddetti “incapienti” – sale:

  • a 8.174 euro per i lavoratori dipendenti;
  • a 8.500 euro per i pensionati;
  • a 5.500 euro per i lavoratori autonomi non iscritti al regime forfettario.

Degno di nota è inoltre il fatto che la legge di bilancio per il 2022, da un lato, ha confermato il bonus Irpef di 1.200 euro (ex Bonus Renzi) solo per i percettori di reddito da lavoro dipendente fino a 15 mila euro ; dall’altro, ha disposto in favore dei contribuenti con reddito fino a 35 mila euro uno sconto una tantum sui contributi previdenziali di 0,8 punti percentuali.

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Nelle tabelle di questo articolo sono stati evidenziati gli “sconti” che i lavoratori dipendenti e i pensionati potrebbero ottenere a seguito della modifica dei criteri di calcolo dell’imposta personale sul reddito. Essi sono stati ricavati considerando, oltre alla nuova articolazione delle aliquote e degli scaglioni, le detrazioni base per tipo di reddito; le quali, come si è già detto, si azzerano per i redditi che superano la soglia dei 50 mila euro.

Prima di esaminare i dati, vale la pena rammentare che una puntuale valutazione degli effetti prodotti dalla riforma potrà essere effettuata solo quando si avranno chiare indicazioni in merito al previsto riordino del sistema delle tax expenditures. Per il semplice fatto che le 171 agevolazioni contemplate dalla normativa Irpef valgono complessivamente più di 39 miliardi e incidono quindi in misura apprezzabile sulle aliquote marginali effettive.

Quello delle tax expenditures è un aggregato complesso, che comprende agevolazioni per le quali obiettivamente si fa molta fatica a trovare una valida giustificazione, agevolazioni per spese di notevole rilevanza economica e sociale nonché agevolazioni destinate a favorire lo sviluppo del secondo pilastro del sistema di welfare. Tale pilastro (non profit) poggia sul principio costituzionale di sussidiarietà e, in linea con quanto avviene nella generalità dei paesi europei, è volto a garantire una più adeguata copertura dei rischi sociali e dei nuovi bisogni emergenti. La sua azione contribuisce a rafforzare la sostenibilità del sistema di welfare nel suo complesso, in quanto contempla un più stretto collegamento a livello individuale tra contributi da un lato e prestazioni dall’altro.

Sempre con riferimento ai risparmi derivanti dalle modifiche apportate alla struttura dell’IRPEF, occorre rammentare che la loro stima è stata effettuata senza considerare le probabili variazioni dei prezzi al consumo. Ora va detto subito che, se nel 2022 l’inflazione dovesse mostrare una netta accelerazione, per effetto dei continui rincari dei prodotti energetici, la perdita di potere d’acquisto della moneta finirebbe con l’annullare in tutto o in parte gli anzidetti risparmi. E potrebbe innescare una pericolosa spirale prezzi-salari.

È con questa premessa di carattere generale che devono essere letti i dati contenuti nelle tabelle sottostanti, dai quali emerge sinteticamente che nel 2022:

  • ai redditi da lavoro dipendente fino 10 mila euro non è riconosciuto alcun abbattimento fiscale, dato che in questa classe di reddito già nulla era dovuto a titolo di imposta;
  • in termini relativi, i lavoratori con 20 mila euro di reddito sono quelli per i quali la riduzione dell’Irpef risulta più accentuata (-9%);
  • in termini assoluti, il taglio più consistente spetta ai redditi da lavoro di 50 mila euro e ai redditi da pensione di 60 mila euro (rispettivamente -945 e -758 euro);
  • oltre i 75 mila euro la variazione del carico fiscale diventa sostanzialmente irrilevante (-270 euro in cifra assoluta), per il semplice fatto che i contribuenti che ricadono in questa classe assorbono complessivamente poco più del 3% dei sette miliardi di sgravi disposti con la legge di bilancio.

Vale la pena ripetere che tali sgravi sono puramente nominali, perché con un’inflazione prossima nel 2022 al 4% – che è il valore stimato per l’Italia nell’ultimo rapporto previsionale della Commissione europea (Winter 2022 Economic Forecast) – tutte le classi di reddito accuserebbero una drastica diminuzione del potere d’acquisto. E a beneficiare di questa “tassa occulta” sarebbe soprattutto lo Stato, il quale vedrebbe ridursi in misura apprezzabile la sua mole di debiti.

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Se alla revisione dell’Irpef si affiancano le nuove misure a sostegno delle famiglie con figli, previste dal D.lgs.230/2021, i benefici in termini monetari risultano un po’ più consistenti. A partire dal 2022, infatti, le famiglie possono usufruire dell’assegno unico universale, il quale ha assorbito le detrazioni per figli a carico e vari sussidi erogati dall’Inps (bonus bebè, bonus mamma, assegno ai nuclei con almeno tre figli minori, ecc.). L’importo dell’assegno tocca un valore massimo di 175 euro a figlio per i redditi ISEE fino a 15 mila euro e un valore minimo di 50 euro a figlio per i redditi Isee superiori a 40 mila euro. Tali importi vengono maggiorati per le famiglie numerose e per i figli con disabilità.

Certamente, l’istituzione dell’assegno unico universale rappresenta un passo avanti sulla via della semplificazione e dell’equità, anche se non si può fare a meno di rilevare che la via maestra per aiutare le famiglie con figli a carico (e promuovere la natalità) rimane il meccanismo del quoziente familiare adottato in Francia. Sebbene la sua validità sia suffragata da una vasta letteratura scientifica, è molto difficile pensare che un meccanismo del genere possa essere introdotto nel nostro Paese, perché per farlo sarebbe necessario un radicale cambiamento della normativa vigente: cioè il passaggio da un’imposta sul reddito individuale a un’imposta sul reddito familiare. Passaggio che (forse) solo un governo con una solida maggioranza parlamentare e con un’ampia legittimazione popolare potrebbe realizzare. Del resto, nel corso degli anni sono stati presentati diversi progetti di legge ispirati al “quotient familial” che, partiti con grande entusiasmo, sono poi finiti su un binario morto.


Proprio perché riferiti a un ristretto orizzonte temporale, il biennio 2021-2022, i dati appena esaminati sugli sgravi fiscali non danno una rappresentazione chiara e corretta delle recenti tendenze dell’imposta erariale sul reddito delle persone fisiche. Per ovviare a tale circostanza, si è perciò ritenuto opportuno ricostruire l’andamento dell’Irpef prendendo a riferimento un più ampio orizzonte temporale: gli anni compresi tra il 2011 e il 2022. I risultati di tale ricostruzione sono stati sintetizzati nella Tab.3. Da essi emerge che, nel periodo in esame, il peso dell’Irpef si è più che dimezzato per i redditi di importo più contenuto (cioè quelli della classe fino a 20 mila euro), mentre è rimasto sostanzialmente invariato per i redditi di importo più elevato (cioè quelli della classe oltre i 75 mila euro).

La difformità di andamento tra queste due classi della distribuzione appare forse ancora più evidente se si effettua un semplice rapporto: nel 2011 un lavoratore con 100 mila euro di reddito pagava di imposta una somma uguale a quella pagata da 10 lavoratori con 20 mila euro di reddito; undici anni dopo, cioè nel 2022, tale rapporto è di 1 a 17.



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