Uscire dall’emergenza trasformando la mobilità urbana con soluzioni che coniugano la sostenibilità ambientale e lo sviluppo economico e sociale. Un’evoluzione possibile che richiede decisioni coraggiose, concrete e immediate: ne parliamo con il vicepresidente nazionale di Legambiente, Edoardo Zanchini.
Mentre si prevede che i timori del contagio e le misure che complicheranno l’accesso ai mezzi pubblici incentiveranno la mobilità individuale privata, Legambiente chiede ai sindaci di investire nel trasporto collettivo e nel car sharing. Quali sono le prospettive per evolvere il nostro modo di spostarci?
«Se ripartiremo tutti in auto dovremo affrontare livelli di congestione e inquinamento enormi, anche superiori a quelli pre-Covid. Per superare questo scenario abbiamo presentato una serie di proposte integrate che partendo dalla riorganizzazione del TPL – il trasporto pubblico locale –, in una fase in cui le persone avranno paura a prendere autobus e treni, valorizzano le potenzialità e la sicurezza della sharing mobility, incentivano la ciclabilità, la micromobilità elettrica, lo smartworking. L’innovazione del TPL è infatti una delle grandi sfide della ripresa. I buchi di bilancio nel trasporto locale di Roma o di alcune città meridionali sono destinati ad allargarsi ma i casi di Milano e di Firenze dimostrano che quando il TPL viene gestito in maniera efficiente crea vantaggi economici e ambientali per tutti. Se non evitiamo il trionfo dell’uso dell’auto privata in città avremo sprecato una grande occasione per compiere un’evoluzione economica, sociale e culturale, per fare quel salto di qualità che l’emergenza ci dimostra essere improrogabile, soprattutto in Italia».
Come prepararsi, concretamente, a questo salto di qualità?
«Innanzitutto bisogna condividere la volontà di programmarlo, sia con la politica sia con i decisori economici – le imprese, gli investitori – e con i cittadini. Serve una dotazione con cui i Comuni possano finanziare le spese straordinarie necessarie alla modifica delle flotte pubbliche per contingentare gli accessi e pagare le sanificazioni, che diventeranno abituali e frequenti. Per lo sharing le amministrazioni devono accordarsi con i gestori sulle procedure igieniche e le dotazioni di sicurezza come guanti, disinfettanti e sottocaschi, allargare le aree di noleggio e proporre modalità di abbonamento dedicate agli utenti regolari come i pendolari. Per la ciclabilità occorre da subito, approfittando dello scarso traffico, tracciare reti “ciclopolitane”, basate su segnaletica orizzontale e delineatori leggeri, interventi a basso costo e facilmente modificabili. Per i monopattini abbiamo finalmente convinto il legislatore ad approvare nuove disposizioni che fanno chiarezza. Sono tutte soluzioni che molte città del mondo stanno già adottando: Berlino, Parigi, Bogotà, New York, Vancouver. Per compiere un salto in avanti serve il coraggio di fare il primo passo. Siamo fiduciosi, anche perché ci arrivano segnali positivi anche da città italiane come Roma, Milano, Torino e Palermo. Ricordiamo poi che nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati 150 milioni di euro per le ciclabili. Il ministero dei Trasporti deve stabilire al più presto come accedervi, in modo che dal 2021 partano i cantieri: le amministrazioni che in questi mesi avranno sperimentato il cambiamento saranno in prima fila per usarli».
Come conciliare questo scenario con i vincoli imposti dall’urgenza di rimettersi in moto a pieno regime, di alimentare tramite la circolazione di persone e merci un sistema economico che, come rivela il calo degli indicatori sull’inquinamento, è intrinsecamente insostenibile per l’ambiente?
«L’emergenza che ci ha fermato porterà a un generale rallentamento delle attività economiche, di sicuro nei prossimi mesi. Dopo il contraccolpo però ci sarà un rimbalzo, che dobbiamo volgere a favore della conversione verso la green economy. C’è il rischio che l’accelerazione della ripresa faccia sentire ancora di più sulla Terra il peso dell’impronta ecologica dell’umanità ma, d’altra parte, è sempre più diffusa la consapevolezza che la transizione sia non solo eticamente improcrastinabile ma anche economicamente vantaggiosa. Molti investimenti in grandi opere fino a ieri ritenute redditizie – come centrali a carbone, termovalorizzatori, grandi interventi immobiliari – oggi non sono più sicuri. La competitività delle imprese si sposta sul campo della qualità, del valore aggiunto dei beni e servizi offerti, un valore strettamente legato al loro impatto ambientale e sociale».
Quali scenari si aprono per il turismo, un settore che dipende simbioticamente dalla mobilità e che, specialmente in Italia, muove grandi flussi di persone?
«Per quest’anno ci sarà un crollo ma dal 2021 potrebbe esserci un contraccolpo positivo. Molto dipenderà da quanto durerà ancora il lockdown e dal suo impatto sul trasporto aereo. Una parte dei mancati arrivi internazionali sarà compensata dall’aumento del turismo interno. Certo i costi per adeguare le strutture al distanziamento sociale saranno ingenti e le prospettive per l’occupazione sono negative. Anche qui, tuttavia, ci sono prospettive positive sul medio periodo: chi riuscirà a ripensare la propria offerta in chiave green avrà un vantaggio competitivo, ripartirà prima. Abbiamo l’occasione per riqualificare la ricettività turistica in nome della qualità, dell’ecologia, delle relazioni tra offerta e domanda».
A proposito di lavoro e relazioni sociali: in poche settimane abbiamo esplorato le potenzialità e i limiti dello smartworking: cosa serve per rafforzare l’agilità nelle imprese, a beneficio dell’ambiente?
«La quarantena ci dimostra che molto di ciò che prima facevamo di persona, specialmente negli uffici, possiamo farlo a distanza. I benefici per l’ambiente sono indubbi ma consolidare lo smartworking è anche nell’interesse delle persone, delle imprese, degli stati. Per farlo serve un programma nazionale, che può rientrare nella strategia dell’industria 4.0, con interventi ad ampio spettro: sul piano normativo, sulle relazioni sindacali, sui processi, sulle infrastrutture e sulle dotazioni, sulla formazione. E servono incentivi diretti e indiretti, sul piano fiscale e aiuti alle famiglie più povere per non ampliare le disuguaglianze. La pubblica amministrazione deve essere in prima fila sulla digitalizzazione dei servizi, puntando sull’obiettivo di semplificare la vita ai suoi interlocutori, cittadini e imprese».
Cosa possono fare in questa transizione i manager, quali sono le priorità dell’innovazione che auspicate per il settore terziario?
«I manager hanno un ruolo fondamentale per la transizione, visto che devono tradurre in pratiche operative questi obiettivi e mediare tra le organizzazioni e le persone. Ad esempio rispetto a uno dei temi più difficili da affrontare come il trasporto merci, che in Italia ruota attorno a piccole imprese, ai “padroncini” di camion, in larga parte impegnati per conto dei grandi operatori, in un regime di concorrenza al ribasso che ha ricadute negative sul piano dei diritti, della sicurezza e dell’ambiente. La politica, le imprese e i decisori devono fare un patto per la transizione della logistica, con un programma che incentivi l’uso di veicoli a basse emissioni e razionalizzi le catene di distribuzione con quelle di produzione e di consumo. I manager possono offrirci la loro visione d’insieme, che abbraccia i grandi network della logistica mondiale e arriva alle specificità dei singoli territori. Oggi i costi di un prodotto che parte dalla Cina e arriva nelle nostre case passando dai centri di distribuzione europei gravano soprattutto sull’ambiente e sui lavoratori meno qualificati, nonché sulle generazioni future. La cultura manageriale ci può consentire di usare gli strumenti e le conoscenze che abbiamo a disposizione per migliorare le cose. Nello specifico dell’Italia possiamo immaginare una logistica diversa, che integra al meglio le diverse forme di trasporto, che ci aiuti a cogliere le nostre potenzialità, a diventare il Paese delle qualità: il valore del made in Italy sta tanto nella produzione quanto nella diffusione di un’idea specifica di benessere, di bellezza, di civismo».
Come ha reagito all’emergenza Legambiente, come vi siete organizzati e come vi preparate a svolgere le attività associative nei prossimi mesi?
«Ci siamo adattati a lavorare a distanza, come tutti, usiamo quotidianamente le videoconferenze, sia a livello di struttura nazionale sia delle segreterie regionali. Gli strumenti digitali erano già ampiamente presenti nell’organizzazione di Legambiente, visto che la rete associativa coinvolge complessivamente circa 100mila persone tra soci, volontari e ragazzi che frequentano i campi di lavoro. Molti nostri circoli sul territorio hanno organizzato raccolte di beni di prima necessità. Stiamo programmando una serie di appuntamenti per confrontarci con gli interlocutori politici e sociali e con i cittadini sui temi che presidiamo. Nel 2020 le attività a distanza saranno prevalenti ma siamo preoccupati perché viviamo soprattutto di rapporti con le persone, di partecipazione, di presenza… uno dei nostri progetti più noti, il Treno Verde, si è fermato dopo solo due tappe a fine febbraio. Speriamo di poter riprendere presto l’impegno sul campo, i corsi, i centri educativi, attività che non possono essere fatte solamente online».
Edoardo Zanchini è dal 1999 responsabile dei settori energia, trasporti e urbanistica e dal 2011 vicepresidente nazionale di Legambiente.