Oggi si discute molto degli impatti e delle conseguenze della crisi energetica per una motivazione molto semplice: se ne è parlato troppo poco – e male – negli ultimi 40 anni. Dai tempi del referendum sul nucleare del 1987, ma ancor prima con la creazione delle lobby antinucleariste, un’ondata demagogica che ha fatto leva sulle paure dei cittadini si è abbattuta sulle politiche energetiche dell’Italia, condizionando le scelte dei governanti e trasformandoci nell’unica grande nazione al mondo ad aver abbandonato del tutto l’energia nucleare. E non solo. Di fatto, le politiche energetiche italiane non hanno subito solo un brusco rallentamento, bensì sono state cancellate dalle agende dei governi, con gli evidenti effetti che la crisi, in particolar modo nel corso del 2022, ha portato con sé. Anche oggi che festeggiamo per un calo netto del prezzo de combustibile, facciamo i conti con bollette dello stesso gas e dell’energia elettrica tendenzialmente duplicate rispetto agli stessi mesi del 2019. E questo, in particolar modo per le imprese, può voler dire effetti negativi immediati sul business, con influenze sul piano occupazionale e dello sviluppo economico complessivo.
Come e cosa può fare quindi il nostro Paese per divenire maggiormente autonomo dal punto di vista energetico e, in contemporanea, rispettare gli accordi del Green new deal europeo, che vede nel 2050 il raggiungimento della neutralità carbonica (ovvero quella condizione per cui tutte le emissioni in atmosfera vengono bilanciate dai pozzi di assorbimento naturali: foreste, laghi, mari, fiumi…)? Innanzitutto, deve parlare di mix energetico, evitando fanatismi di parte tra rinnovabili e nucleare. Ogni fonte di generazione energetica ha la sua rilevanza e deve occupare il giusto tassello nel grande puzzle della transizione energetica. A mio parere, tale mix deve essere composto certamente dalle energie rinnovabili, da interventi corposi di efficientamento energetico e da una fonte stabile, non intermittente e che non produca emissioni di CO2, ovvero l’energia nucleare.
Energie rinnovabili: un approccio pragmatico
Per quanto riguarda le rinnovabili, certamente il solare fotovoltaico può avere un ruolo predominante, soprattutto attraverso lo sviluppo di soluzioni per l’autoconsumo di energia elettrica con l’installazione degli impianti su coperture industriali o terreni in disuso. L’eolico è altrettanto rilevante, ma il suo sviluppo incontra spesso vincoli paesaggistici e di occupazione territoriale (questo vale certamente anche per il fotovoltaico). La generazione da eolico offshore, nei mari, ridurrebbe invece sia l’impatto autorizzativo delle amministrazioni comunali, sia l’annoso problema delle fonti rinnovabili, ovvero la loro intermittenza, che rimane ancora oggi il principale limite nonostante gli sforzi effettuati attraverso la proliferazione di batterie di stoccaggio, non ancora performanti, né economicamente né logisticamente. L’idroelettrico, ovvero la prima fonte rinnovabile sviluppata in Italia e oggi la più diffusa tra queste in termini di produzione elettrica nel paniere energetico italiano, è di gran lunga la più interessante, soprattutto se realizzata attraverso bacini che permettono la generazione on demand, ma nuovi siti per la realizzazione di tali impianti non sono di facile localizzazione. Si è fatto molto, e bene: non sarà facile far molto più idroelettrico. Problema analogo, ma nei fatti proporzionatamente inferiore, quello del geotermico. Il nostro Paese ha ben sfruttato le principali fonti di energia che arrivano dalla crosta terrestre (si pensi alla centrale di Larderello), ma impedimenti tecnici, difficoltà nell’individuazione certa di pozzi e – non ultimo – un costo elevato di realizzazione degli impianti, non permetteranno svolte epocali di tale soluzione. Oggi le rinnovabili occupano circa il 20% del mix energetico italiano (termico + elettrico). Si può e si deve fare di più; si tratta certamente di un pilastro nel periodo di transizione energetica.
Obiettivo efficientamento energetico
Un ambito non troppo spesso evidenziato nel settore è quello dell’efficienza energetica. Efficienza energetica significa trovare soluzioni tecnologiche che, a parità di performance, permettano di consumare meno, meglio e avere quindi impatti positivi sia da un punto di vista economico che in quanto ad emissioni di CO2. Sono varie e in evoluzione le soluzioni in tale ambito: dalle semplici lampade a led fino alla cogenerazione industriale ad alto rendimento, così come l’ormai prossima attuazione delle comunità energetiche rinnovabili. Si tratta delle associazioni che permetteranno a imprese, enti e privati di condividere l’energia di un impianto fotovoltaico fisico, una sorta di “effetto batteria” realizzato dalla comunità stessa, che consumerà quindi una gran parte dell’energia prodotta, limitando l’effetto negativo generato dall’intermittenza della fonte. Gli interventi di efficientamento energetico hanno prodotto negli ultimi vent’anni una riduzione dei consumi mondiali di circa il 12%, come se l’Europa intera non avesse consumato energia per un intero anno. Qui c’è tanto, tantissimo che si può fare.
Perché puntare i riflettori sull’energia nucleare
Oggi il mix energetico italiano è coperto per quasi l’80% dall’utilizzo di fonti fossili (prevalentemente gas naturale e derivati del petrolio). Queste sono le fonti più stabili, parzializzabili, le cui tecnologie sono collaudate da decenni. Ma non sono certamente sostenibili dal punto di vista ambientale. E allora come completare il mix energetico italiano, se non con l’unica fonte stabile, parzializzabile e che non sversi CO2 in atmosfera? In attesa che le evoluzioni scientifiche rispetto alla fusione nucleare facciano il loro corso, la soluzione adottata da decenni da tutti i paesi del G7 e del G8 è la tanto chiacchierata energia nucleare di ultima generazione (la III, la IV è in evoluzione ma non impatta sulla sicurezza intrinseca di una centrale). Non esiste una centrale elettrica nel 2023 più sicura per l’uomo e per l’ambiente rispetto a una centrale nucleare. Gli standard di sicurezza ingegneristicamente pensati per la stessa sono di grado enormemente più elevato rispetto a una qualsiasi centrale termoelettrica presente sul territorio nazionale. Una centrale nucleare a fissione non funzionerebbe in maniera intermittente; pertanto, potrebbe produrre energia ogni qualvolta la rete nazionale ne avesse bisogno, evitando sprechi o immissioni in rete non necessarie. Nonostante tempi lunghi di realizzazione in sicurezza, la transizione energetica verso le emissioni zero durerà probabilmente dai 40 ai 50 anni e oltre. Tempo ne abbiamo per alimentare il nostro mix energetico, ma prima partiamo, meglio è.
Il progresso, dal passato
Sono grosse centrali, costose e difficilmente realizzabili? Per nulla. Al netto del fatto che la tecnologia nucleare per fissione è oggetto di studio e continua ricerca (in Europa non abbiamo mai smesso e la Francia ha appena autorizzato la realizzazione di nuove centrali nucleari di grande taglia), tecnologie quindi molto consolidate e di realizzazione ingegneristica usuale per grandi realtà del settore (l’Italia fu una grande potenza nucleare prima dell’incredibile affossamento), oggi sono in fase avanzata di affinamento tecnologico – in particolar modo per quanto riguarda il valore di efficienza e la quantità di rifiuti prodotti – gli Smr (Small modular reactors). Si tratta di reattori nucleari pronti per l’energia distribuita (anche taglie da 1 a 10 MW) di ultimissima generazione, perfetti per alimentare l’autoconsumo delle grandi realtà industriali. Di rapida produzione e facile installazione, avranno impatto immediato sulle bollette dei grandi energivori italiani, ma soprattutto sulla riduzione totale dei loro consumi di gas e, pertanto, delle relative emissioni climalteranti (il nucleare non emette CO2 e il tema delle scorie è stato ampiamente superato dalle tecnologie di protezione avanzate delle stesse e dal riuso, appunto). Il tema energetico – senza dubbio una delle sfide del XXI secolo – non va affrontato come il rasoio di Occam (che tende a tagliare le soluzioni complicate in favore delle più semplici), ma al contrario. Nel ventaglio di soluzioni è bene scegliere quella più complessa, meno consensuale e più pragmatica, perché l’impatto e le conseguenze di una mancata strategia, riguardano tutti, nessuno escluso. Oggi e domani.