Se il made in Italy è un brand che ha visibilità, notorietà e mercato, come stanno i top brand del made in Italy?
Ce lo dice, commentando la TopZ Global Top 100 di BrandZ e la classifica nazionale, Federico Capeci, amministratore delegato per l’Italia dell’agenzia di ricerca Kantar, insights division:
“Dieci anni fa nella nostra classifica dei 100 marchi di maggior valore al mondo, c’erano 48 colossi che oggi sono stati retrocessi a fronte di nuovi player che tempo fa neppure esistevano. Tutti sostituiti da nuovi nomi come Google, Amazon e altri signori della tecnologia. Non è un caso che le tech-company, prese tutte insieme, valgano più del 41 per cento del valore complessivo della TopZ Global Top 100 di BrandZ”.
Una classifica, presentata insieme alla società di comunicazione Wpp, dove spicca un unico nome del made in italy, Gucci, considerato tale dai ricercatori nonostante ora sia di proprietà del colosso francese della moda, Kering. Gucci, per valore economico, è in testa alla classifica nazionale di BrandZ e da solo pesa 16 miliardi. Seguono Tim ed Enel. Ma i nostri marchi non volano a livello globale. Solo il 17% è percepito innovativo e oggi l’elemento innovazione è determinante per dare e mantenere valore economico a un brand.
Capeci parla così del nostro patrimonio di marchi e immagine: “Se i marchi italiani sono tra i migliori al mondo per capacità di comunicare il loro messaggio ai consumatori e per creatività la loro debolezza è l’innovazione”. E individua nel management un determinante driver di miglioramento: “l’impresa italiana è penalizzata perché connotate da una conduzione familiare e non manageriale. Molte realtà non sono quotate. Le dimensioni sono piccole e questo ci penalizza in competitività”.