Più occupati, meno salari: alcune considerazioni

Precisazioni d’obbligo sul commento di Tito Boeri e Roberto Perotti dedicato ai salari, uscito su La Repubblica in occasione del Primo Maggio

Molto interessante il commento di Tito Boeri e Roberto Perotti sui salari, uscito su La Repubblica del 1° maggio (“Più occupati, meno salari”). Le affermazioni sono in linea con recenti dichiarazioni di Manageritalia, benché ci siano alcune differenze che intendo condividere.

Nella prima parte del commento, sembra ci sia un complimento alla rappresentanza contrattuale di Manageritalia, dove, in particolare, si afferma che i dirigenti “sono in gran parte riusciti a salvaguardare il potere d’acquisto delle loro retribuzioni” rispetto agli impiegati e operai. Un dato che è confermato dalla sindacalizzazione in Italia, dove “la percentuale di lavoratori iscritti al sindacato è un terzo di quella dichiarata”, mentre i dirigenti iscritti a Manageritalia sono, certificati, circa l’85% dei dirigenti del settore. Ma l’affermazione deve essere meglio ponderata.

La struttura della retribuzione dei dirigenti si compone di un minimo da contratto (che nel 2025 sarà 60.760 euro) e una parte, a volte importante, costituita da superminimo contrattuale, retribuzione variabile e benefit individuali. Tutto insieme un dirigente del settore da noi rappresentato ha una retribuzione media lorda annua di circa 105.000 euro, comprensiva di parte variabile. Questo per dire che se i dirigenti sono riusciti a mantenersi la retribuzione, si deve una parte al contributo di Manageritalia, che agisce sui minimi, aiuta certo la salvaguardia, ma tanto è dipeso dal potere contrattuale individuale dei dirigenti, che devono curare la propria capacità negoziale per difendere la propria retribuzione sopra al minimo.

Dove torna utile dunque il contratto collettivo di lavoro? Certamente aiuta a muovere la retribuzione tra i dirigenti, che non hanno più quella spinta individuale. Quando la retribuzione è ferma da tempo, il contratto corre in soccorso.

Altra precisazione sul testo da fare è se, nel confronto internazionale, le retribuzioni dei dirigenti italiani siano adeguate o pure no. Confrontati con i lavoratori di pari professionalità, i dirigenti italiani ne escono male dal punto di vista del reddito, salvo poi essere tra i più pagati quando sono loro a gestire aziende all’estero. Ma soprattutto, secondo Marco Leonardi, professore Ordinario di Economia Politica all’Università Statale di Milano ed ex capo Dipartimento della Programmazione Economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio, quando l’esecutivo era guidato da Mario Draghi, il problema dei salari bassi italiani riguarda anche la mancanza di posizioni elevate, con i salari sopra i 35mila euro lordi annui, pari al 13% dei contribuenti: troppo poco, specialmente se poi a loro è chiesto di sostenere il 63% dell’Irpef totale.

Anche secondo Marco Leonardi, dunque, «Il problema dei salari in Italia è che mancano lavori di qualità». Le motivazioni sono diverse. C’è l’incapacità dell’Italia di attrarre nuove imprese per aumentare la concorrenza, ma anche la difficoltà delle aziende medie e grandi di rinnovare le gerarchie aziendali, offrendo retribuzioni e percorsi di carriera stimolanti in particolare ai giovani. Non possiamo stupirci quindi se i manager italiani emigrati all’estero non hanno più voglia di tornare in Italia. Solo il 22,8% dice di vuole rientrare, la metà di dieci anni fa. Crediamo sia questo un motivo urgente per aprire un serio tavolo sul tema della qualità del lavoro in Italia.

Più occupati, meno salari

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