Come si è già detto, uno degli obiettivi prioritari della riforma tributaria è quello di rendere più efficiente la struttura delle imposte anche a livello locale. A tal fine, nella delega si prevede la sostituzione dell’addizionale regionale all’Irpef con una sovrimposta, la cui aliquota base potrà essere aumentata o ridotta dalle regioni entro limiti prefissati. E si prevede, inoltre, la fissazione di un’aliquota più elevata nelle regioni in piano di rientro dai disavanzi sanitari .
Naturalmente, nello stabilire le aliquote della sovrimposta occorre evitare che la prevista riduzione della progressività della tassazione a livello erariale sia vanificata, in tutto o in parte, da un inasprimento della tassazione a livello locale, soprattutto a scapito dei lavoratori dipendenti con redditi medio-alti. Si tratta di un’ipotesi tutt’altro che remota, come l’esperienza del recente passato purtroppo insegna. Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2021, infatti, il peso dell’addizionale regionale è lievitato in media del 30,5% su un reddito di 60 mila euro, del 40% su un reddito di 80 mila euro e del 42,3% su un reddito di 100 mila euro (cfr. Tab.5).
Le regioni in cui più accentuato è risultato il rincaro delle addizionali sono nell’ordine: Basilicata (+136,7% in media), Piemonte (+84,7%), Puglia (+76,9%), Toscana (+63,8%) e Lazio (+53,2%).
Com’è agevole rilevare, se si considerano i soli redditi di 100 mila euro, si ha che nel 2021 l’addizione scavalca la soglia dei 2.000 euro in sei regioni: Lazio (2.884 euro), Piemonte (2.759 euro), Basilicata (2.330 euro), Liguria (2.090 euro), Campania (2.030 euro) ed Emilia Romagna (2.027 euro).
Attualmente, le addizionali regionali colpiscono il reddito complessivo determinato ai fini dell’Irpef in due modi diversi:
- con un’aliquota unica in sette regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e Veneto);
- con aliquote crescenti per scaglioni di reddito in tredici regioni (Alto-Adige, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Trentino e Umbria).
Si badi però che mentre le aliquote possono variare entro i limiti stabiliti dalla legislazione vigente (compresi tra 1,23% e 3,33%), gli scaglioni devono coincidere esattamente con quelli stabiliti per l’Irpef erariale.
Tenuto conto di ciò, entro la data del 31 marzo 2022 le suddette tredici regioni dovranno adeguare gli scaglioni dell’addizionale ai nuovi scaglioni dell’IRPEF previsti dall’art.1 comma 2 della legge 234/2021. E dovrebbero anche ridurre le corrispondenti aliquote, per evitare di annullare in parte i già magri sgravi fiscali derivanti dalla revisione dell’imposta.
Come si rileva dalla lettura dei dati contenuti nella tabella sottostante, qualora le aliquote dovessero rimanere invariate, crescerebbe ulteriormente il peso delle addizionali soprattutto sui lavoratori con redditi medio-alti che risiedono in Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Trentino e Umbria.
In Alto Adige l’impatto sarebbe più contenuto, essendo riconosciuta a tutti i contribuenti una deduzione fissa di 35 mila euro, oltre alle detrazioni per carichi di famiglia.
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