Sars e globalizzazione: una lezione ai tempi del coronavirus?

Da un saggio uscito nel 2003. Alcune considerazioni sono tuttora valide. Come muoversi quando un colpo di scena irrompe e scompagina le nostre certezze. Il prezzo da pagare per la circolazione di persone e merci sarà la diffusione di virus sempre nuovi?

Recupero e pubblico uno stralcio di un mio lungo saggio su Sars e globalizzazione uscito nel 2003 ai tempi della Sars e post torri gemelle, intitolato “Globalizzazione sconfitta da un no global atipico?”. 

Alcune riflessioni restano ancora valide.

L’ASCESA DEI REGNI SOTTOMESSI 
muoversi in questo clima di turbolenze e incertezze è molto complicato per le aziende, ma nessuno poteva immaginarsi un’ulteriore complicazione o cospirazione così fatale per l’economia globale.

Un colpo di scena che nessun scenarista aveva previsto. Il più imprevedibile e imprendibile avversario della globalizzazione si abbatte sul mondo come un flagello sotto forma di polmonite atipica.

Di tipico è che la Sars è quasi un castigo, un oscuro monito dall’alto. L’uomo è il più forte sulla terra, ma non è mai abbastanza forte per sconfiggere i misteriosi equilibri di ordine superiore che spesso sfuggono alla sua scientifica ma pur limitata comprensione.

La storia della grandi epidemie (in primis la pesta nera del 1347) si intreccia da sempre con quella della globalizzazione, o meglio con il continuo spostamento di persone e merci.

Preston nel suo bestseller “Area di contagio” arriva a una tesi ancora più estrema: gli altri regni (vegetale, animale, ecc) sono stanchi della nostra invasiva presenza, l’uomo come cancro della terra viene ciclicamente combattuto da una alleanza dei regni sottomessi. Tesi curiosa, ma rimane il fatto. L’esercito più forte del mondo (Usa) può vincere una guerra in tre settimane e sconfiggere il “male”. Ma ci vorranno almeno tre anni, ammettono all’Oms per trovare qualche arma efficace contro un banalissimo e minuscolo male.

E mentre gli scienziati brancolano nel buio solo i taoisti cinesi ci vedono chiaro. Una malattia che muta in continuazione punisce il paese che per millenni aveva costruito la sua civiltà sulle leggi dell’immutabilità: per secoli e secoli la Cina era rimasta uguale a se stessa, vivendo in sintonia e rispettosa, anche se per noi occidentali discutibile, sottomissione alle leggi della natura senza cedere alla tentazioni del progresso (tecnologico-consumistico).

Poi venne quello che venne. E ora il drago non sputa più fuoco di potenza economica ma veleno. Maledizione, castigo divino, sorte avversa, arroganza antropocentrica o semplice sfortuna, poco importa.

PRESENTI E FUTURE MALATTIE GLOBALI?
Gli effetti sono già devastanti. Dall’inizio dell’epidemia le borse asiatiche sono crollate mediamente del 12%. Le compagnie aere perderanno 10 miliardi di dollari per l’effetto Sars, 80 miliardi di dollari sono i danni economici immediati stimati dall’Oms, crescita economica zero per la Cina nel secondo semestre 2003 (da 8% che era) e guai serio per chi compra e produce quasi tutto in Cina: dall’Ibm all’Adidas, le maggiori multinazionali globali hanno già vietato a manager e dipendenti di recarsi nelle filiali cinesi. Non solo. È bastato che un solo “untore” attirasse a Toronto per mettere in ginocchio il Canada, settima potenza industriale del mondo e rendere off limits e vivamente sconsigliata come meta di viaggio dall’Oms la città (ormai deserta).

Eccessivo panico e isteria? Forse. O forse tutto questo è solo un assaggio, un’esercitazione, scaramucce in vista di future guerre globali a venire magari con virus ancora più virulenti e incazzati neri come una peste.

l ricordi ritornano a dopo la Grande Guerra quando nel 1919 la spagnola fece 20 milioni di vittime. Non si può pretendere che a circolare liberamente siano solo capitali e merci. Nel mondo globale anche le malattie si prendono questo diritto. A noi il dovere di capire cosa veramente vogliamo. Già, cosa? Non stare mai fermi? Riaffiora un vecchio monito datato 1650 (circa) del filosofo francese Blaise Pascal: “Tutti i guai dell’uomo derivano dal fatto che non sa stare tranquillamente seduto nella propria stanza”.

La questione rimane comunque aperta: se la globalizzazione è il nostro destino il prezzo potrebbe essere molto alto, indipendentemente da questa o altre “pesti asiatiche”. Già all’inizio del secolo scorso ci fu una prima forma di globalizzazione economica: fu travolta da protezionismi, idealismi, razzismi e ataviche paure di perdere la propria identità, il proprio “Lebensraum” e con due guerre mondiali che furono, a una lettura più profonda e sottile, anche rivolte contro il mondo moderno.

L’homo economicus che si autorealizza solo con il denaro è una invenzione assai pericolosa, fatta a tavolino. L’economia è solo un arto dello spirito e se corre troppo in avanti l’uomo non regge il passo e si ribella. E se non lo fa lui lo farà la natura, stufa da tempo delle nostre deliranti corse.

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