Sviluppare la creatività

Manageritalia Roma con il suo gruppo di lavoro CreaInnovazione prosegue nel suo obiettivo di diffondere esperienze di innovazione basate su interventi strutturati di stimolo della creatività, attraverso interviste a consulenti di creatività di rilievo a livello nazionale e internazionale. Oggi incontriamo Hubert Jaouì, che ha scoperto la creatività quando era responsabile dell’innovazione da PM Labinal e ha ideato un percorso originale che porta all’invenzione di nuove soluzioni denominato PAPSA

Hubert Jaouì ha scoperto la creatività quando era responsabile dell’innovazione da PM Labinal. A lui si deve la creazione di un percorso originale per sviluppare la creatività, il cosiddetto PAPSA (Percezione, Analisi, Produzione, Selezione, Applicazione). Nel 1973 Jaouì ha fondato il gruppo GIMCA, specializzato nell’applicazione delle tecniche creative agli studi di marketing, alla comunicazione d’impresa e istituzionale, al management e alla formazione. È membro di facoltà della “Foundation for Creative Education” di Buffalo (Usa). Lo stile di animazione che pratica è basato sull’interazione creativa: è un metodo direttivo nella forma, non direttivo nella sostanza. Si basa sulla dialettica tra la liberazione dell’immaginazione e il rigore nell’efficacia, sulla rivelazione dell’infinita ricchezza potenziale e sull’apprendimento dei mezzi disponibili per sfruttarla.

L’adozione di metodi e processi creativi per la generazione di idee per l’innovazione del business è qualcosa di nuovo e la cui validità è ancora da verificare o è materia già codificata, provata e capace di generare livelli di valore aggiunto di rilievo?
Non si fa nulla senza metodo, anche nel preparare un piatto di pasta c’è metodo. Nel pantheon della creatività un posto d’onore è riservato a Cartesio, che è mal conosciuto e viene presentato generalmente come il maestro della ragione, dimenticando che in uno dei suoi testi meno noti ha scritto che “la ragione non è niente senza il soccorso dell’immaginazione”. Nei nostri interventi il metodo ha un posto abbastanza centrale per ottimizzare il percorso del pensiero, dalla  comprensione all’azione, passando per una tappa centrale di immaginazione. Insegniamo come pensare con più efficacia, a livello individuale e anche a livello di gruppo.

Quanti sono stati da parte dell’azienda i casi di attuazione delle idee generate e con quale successo? Può riportacene alcuni esempi per farne capire le caratteristiche e il valore?
Sono molte le aziende che mettono in atto le idee generate con noi, pur sapendo che non ci attribuiamo il merito del successo perché a un certo momento ci tiriamo indietro, è il cliente che mette in atto le idee trovate. Un esempio di qualche anno fa è stato Oviesse, questo tipo di negozio era in caduta quantitativa e qualitativa e la collaborazione che abbiamo avuto con loro ha permesso di farlo rinascere completamente. Ci sono poi dei casi dove apparentemente il cliente non mette in pratica le conclusioni raggiunte, anche se sono state sue, perché nel nostro approccio non vogliamo trovare noi le idee ma aiutiamo il cliente a partorire le sue, e hanno aspettato tre anni prima di attuarle. Ci sono altri casi dove abbiamo avuto l’impressione che non sia stato fatto niente, poi si viene a sapere, se ci facciamo avanti, che il cliente sembra aver dimenticato quale è stato il nostro apporto.

Quanto sono scettiche le aziende italiane rispetto all’adozione di metodi e processi creativi? Quanto è matura la cultura italiana rispetto al tema della creatività per l’innovazione?

Accosto spesso Italia e Francia, dove c’è una tendenza tragica a voler ignorare che la creatività è una cosa degna di un approccio scientifico. Per quanto mi riguarda, utilizzo il meno possibile la parola “creatività”, perché fa pensare a fantasia scatenata, a estro, si dice che Dolce e Gabbana è più creativo di Louis Vuitton. Ci sono del resto varie forme di creatività: questa deve essere concepita come un percorso che mette in gioco il cervello individuale e collettivo e ha varie forme. Intellettuali e insegnanti sembra escludano un approccio globale e sistematico alla creatività e sembrano addirittura avversi. Il bravo alunno è quello che gli ripete il giorno dell’esame le cose che i professori gli hanno insegnato durante l’anno.
Se ci fosse un campionato di creatività mondiale i paesi latini, Spagna Francia e Italia, avrebbero le prime tre medaglie. Perché a livello individuale e sociale c’è più creatività che in Svizzera, Danimarca o Inghilterra, dunque, siccome la abbiamo gratuitamente, spesso la risorsa è trascurata ed è un gran peccato. Fino ad oggi nei nostri paesi non c’è un istituto che si preoccupi di fare ricerca permanente sulla creatività e come migliorarla, dunque dobbiamo operare noi fuori orario con i clienti, con i colleghi e amici per andare avanti e continuare a scavare e arricchire la conoscenza del funzionamento del cervello che ancora oggi è l’organo meno conosciuto di tutto il corpo.

Ci sono paesi che sono più avanti sul tema della creatività e nell’area dell’educazione allo sviluppo della capacità creativa?
Certamente, i primi sono gli Stati Uniti, forse perché sono partiti con un handicap, la creatività non è in loro, non è un’attitudine naturale e quindi ci sono corsi di creatività anche nella scuola materna e durante tutto il percorso scolastico e universitario. Si insegnano delle tecniche, che qualche volta sono primitive ma sempre utili su come avere idee. Lei ha mai frequentato un corso su come avere idee?

No.
Neanche io, né a scuola né all’università, non ce lo hanno mai insegnato, però ci chiedono in continuazione di avere idee.

Quale ruolo possono giocare i giovani e quale valore apportano in percorsi creativi realizzati per le aziende?
Prima di tutto, giovane è una parola da ridefinire e aggiornare, senza relegarla al solo aspetto anagrafico. Molti giovani fra 16 e 25 anni sono terribilmente conservativi, ancora programmati e non sono creativi. Ci sono comunque delle eccezioni, sempre più numerose, legate al fatto che molti sono consapevoli che il lavoro che avranno se lo dovranno inventare, i posti di lavoro offerti dal mercato sono sempre più rari e spesso poco interessanti e quindi questo è uno stimolo alla creatività.

Quanto possono apprendere le aziende su metodi e processi creativi e in che lasso di tempo possono rendersi autonome nel loro esercizio esteso e continuativo?
Qui c’è un paradosso che non riesco ancora a spiegarmi bene, come facciamo un intervento e in modo semplice otteniamo un risultato, ma molto spesso poi ci si ferma. È un grande peccato. L’eccezione si presenta quando sia stato l’amministratore delegato a introdurre questo approccio e dura finché lui è ancora in azienda. Purtroppo quando se ne va, per altri motivi, e arriva un sostituto, quello che ha fatto il predecessore viene buttato via e si riparte su altre basi. Dunque molto dipende da chi ha introdotto l’approccio creativo in azienda, se il direttore marketing, spesso questo è stato il caso, dato che i risultati sono più immediati, allora può durare parecchi anni, se è stato l’AD allora dura finché lui è presente e quando viene cambiato tutto si ferma e non c’è continuità.

C’è qualche azienda illuminata che ha sviluppato al proprio interno le competenze e conoscenze  per poter gestire sessioni di creatività?
Il nostro cliente più famoso con il quale abbiamo fatto un lavoro più profondo è stato il gruppo Arevà, leader mondiale nel nucleare e nell’innovazione, dove dopo tanti cantieri, dove siamo andati con i nostri consulenti formando e innovando, l’approccio si è tanto esteso che ci hanno chiesto di formare animatori interni e ne abbiamo formati 80, ed è diventato un modo di lavorare normale in azienda fino a che poi è arrivato un nuovo AD che ha fermato tutto e ha rovinato l’azienda.

Cosa ostacola le pmi nell’accedere a servizi di consulenza su creatività e innovazione?
Per fortuna abbiamo avuto anche clienti di piccole dimensioni e questo è molto stimolante per noi perché appena trovata l’idea questa viene messa in pratica. In Italia c’è stato un progetto europeo che ha permesso di costituire un gruppo multiaziendale a Perugia nel settore automotive che è uno dei più importanti in Italia. Con questo gruppo di 15 persone, che provenivano da 5, 6 aziende, le quali pur lavorando nello stesso settore non si conoscevano e non si parlavano, dunque oltre ai risultati precisi trovati dal gruppo è nata un’associazione per continuare a cooperare. In effetti, nella realtà franco-italiana non c’è una tendenza culturale naturale a cooperare. Potrebbe forse essere una delle missioni di Manageritalia far sì che la gente si incontri, si conosca e quindi nascano delle sinergie, questo mi sembra molto urgente.

Per le pmi che valore avrebbe poter disporre di “Laboratori permanenti di creatività per l’innovazione” dove siano disponibili ambiente, strumenti, competenze adeguati a facilitare la pratica di metodi e processi creativi per l’innovazione sostenibile?

Non c’è necessità di luoghi specifici, ci vuole un seminario di base, ad esempio siamo riusciti a concentrare tutti i componenti in due giornate, e dopo si lavora in workshop che vanno da 3 ore a una giornata intera, dunque si può fare anche in piccole aziende, e qualche volta emergono persone molto motivate che vengono anche il sabato. In troppe aziende le persone, i collaboratori non si esprimo perché sono convinti che non saranno ascoltati e qualche volta hanno ragione purtroppo, “tu non sei pagato per pensare tu sei pagato per fare quello che diciamo noi”. Ricorderò sempre un’azione che abbiamo fatto per L’Oréal Italia con delle commesse di negozi tipo UPIM e simili. Il gruppo dirigente stava in un’altra stanza a seguire in video i discorsi delle signore e sono rimasti molto sorpresi. Per rappresentare questo fenomeno negativo abbiamo creato l’espressione “sordità ascensionale”, più le persone sono in alto nella gerarchia, più diventano sorde, uno spreco enorme al quale si aggiunge anche la demotivazione, quando una persona non è ascoltata si dà poco da fare.

Qual è il livello di coraggio che ha rilevato nel management aziendale italiano nell’avviare iniziative sostenute da processi e metodi creativi per fare innovazione?
Ci vuole poco coraggio, perché se ci si lancia in alcune giornate di consulenza e poi non piace, ci si disinteressa e l’affare è finito qui, quindi come un tipo di vaccinazione e l’investimento è lieve. La parte più importante è la continuità, oltre il seminario delle persone che sono state soddisfatte e sono vogliose di continuare, basta l’indifferenza, il direttore e l’AD hanno offerto un seminario sulla creatività e  l’anno prossimo sarà sulla  convivialità e l’anno prossimo ancora sarà sulla cooperazione e cose del genere. Spesso nel campo del management esistono delle mode  e questo viene dall’America dove ogni sei mesi hanno una nuova. Una moda importante e pericolosa è il digitale, che sarà sempre più importante, ma se pensiamo che il digitale risolverà tutti i problemi è molto rischioso.

Se volesse dare un messaggio alla classe manageriale in Italia, quale sarebbe?
Il primo messaggio è che idealmente i manager dovrebbero entrare nel processo, non dire “fate, ma facciamo”. Lavorare anche con il gruppo di dirigenza permette di ottenere generalmente i risultati più immediati. Abbiamo verificato e confermato che le persone non si conoscono, ognuno è prigioniero del suo ruolo e si ignorano dei talenti perché i colleghi del comitato non hanno avuto l’occasione di esprimere e quindi si privano di una ricchezza che è disponibile gratuitamente e che se non sfruttata crea frustrazione. Un primo atto è entrare in partita, non essere distanti dando il modello del tipo “questo non è per voi, noi siamo troppo intelligenti troppo bravi”.
Il secondo messaggio è “praticare l’ascolto”, praticare l’ascolto nel quotidiano, far sapere che se una persona ha delle idee possono essere idee risibili o anche solo domande che non si fanno per paura di dare fastidio, per paura di sembrare stupidi perché nessuno ha fatto questa o quella domanda. Aprire le orecchie e considerare i collaboratori non come dipendenti ma come persone, persone che hanno la capacità di ragionare, di osservare, di ideare, e questo sarebbe anche un risparmio perché certe ricerche di mercato affidate a consulenti pagati cari sono state inutili, perché l’informazione era disponibile, ascoltando solo le persone.

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