Turismo: una ripresa senza exploit

Andamento della situazione turistica, “ristrutturazione” dell’hôtellerie e ruolo dei servizi ricettivi. Ne parliamo con Alessandro Massimo Nucara, direttore generale di Federalberghi, la Federazione delle associazioni italiane alberghi e turismo

Come è andata finora quest’anno la stagione turistica, anche alla luce dei vostri dati?
«L’anno era iniziato con previsioni più ottimistiche, ma presto si è visto che il boom tanto atteso non si sarebbe manifestato. A conclusione della stagione estiva, possiamo tranquillamente dire che non raggiungeremo i tanto agognati livelli pre-pandemia. Considerando i dati provvisori Istat disponibili fino ad agosto e quelli del nostro osservatorio per settembre, si vede che le presenze turistiche sono ancora inferiori del 3% rispetto allo stesso periodo del 2019. Non dobbiamo dimenticare che la stagione è stata caratterizzata da eventi climatici estremi (alluvioni, incendi, ondate di caldo) che certamente non hanno aiutato».

Quali sono stati gli aspetti positivi? 
«Sicuramente due aspetti che hanno influito in modo positivo sono stati il ritorno in massa dei turisti stranieri e i grandi eventi, come ad esempio la Ryder Cup, che quest’anno si è svolta a Roma. Va però detto che le presenze dei turisti stranieri sono ancora al di sotto dei livelli 2019, facendo registrare un calo dell’1,6%. Ciò si spiega con il fatto che ancora non tutte le nazionalità sono tornate: se la Cina ha riaperto ai viaggi internazionali solo da poco, la situazione geopolitica tiene lontani i turisti russi e ora, purtroppo, anche gli israeliani»

Dove avremmo potuto fare meglio?
«Purtroppo, quello che è mancato quest’anno è stato soprattutto il turismo dei nostri connazionali, che subito dopo la pandemia avevano riscoperto le meraviglie della propria terra. Molti hanno rinunciato alla vacanza per problemi economici ed è questo l’aspetto più preoccupante. La nostra indagine demoscopica sulle vacanze estive ha rilevato che questa era la motivazione della rinuncia al viaggio nel 48,2% dei casi. Inoltre, con la riapertura delle frontiere e la fine delle restrizioni anticovid, si sono riattivati i flussi verso l’estero».

Come sta cambiando l’hôtellerie in Italia?
In questi anni il mondo alberghiero sta conoscendo una profonda ristrutturazione. Il numero di alberghi complessivamente diminuisce, ma sta aumentando la loro dimensione media. Inoltre, aumentano gli alberghi di fascia alta. Ad esempio, chi vive a Roma lo percepisce chiaramente: quasi ogni mese si inaugura un albergo di lusso. Oltre a questo, c’è un continuo sforzo a migliorare i servizi offerti sia all’interno delle mura dell’albergo che fuori. Il periodo della pandemia per gli albergatori è stato difficilissimo, con camere vuote e spesso strutture costrette a chiudere (anche solo temporaneamente) per mancanza di clienti. Però è proprio in questo periodo che gli albergatori hanno fatto vedere la propria forza: dietro quelle porte chiuse, fervevano lavori di ristrutturazione per migliorare la propria offerta. Per quanto riguarda i servizi esterni, ormai si ha l’imbarazzo della scelta sulle attività proposte dagli alberghi per vivere appieno la propria destinazione».

Guardando al futuro, cosa serve al turismo per crescere e qual è il ruolo dei servizi ricettivi?
«Non possiamo pensare che le strutture ricettive rimangano una cattedrale nel deserto. Gli albergatori, come abbiamo detto, stanno investendo per migliorare la propria offerta, ma a questo sforzo deve corrispondere un pari livello di servizi una volta usciti dalle mura dell’hotel. I turisti che arrivano non possono aspettare ore per un taxi o un autobus. Sappiamo che il turismo crea valore ben oltre i ristretti confini dell’albergo o del ristorante, arriva a contare il 13% del pil ma, a fronte di questo indotto, sono necessari servizi di alto livello, altrimenti rischiamo di finire presto nella fase del decadimento».


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