Una legge di bilancio che ignora il futuro dell’Italia

A preoccupare è soprattutto la scarsa attenzione alla produttività complessiva e all’innovazione del sistema Italia

Negli ultimi giorni la Commissione Europea (CE) ha ricevuto il sostegno dei ministri delle Finanze dei paesi dell’Eurozona nel braccio di ferro in corso con il governo Conte sulla legge di bilancio 2019 formulata dal ministro Tria sulla base dei programmi dei due partiti di maggioranza, Lega e M5S. La legge di bilancio in questione è quella presentata alla fine di ottobre dal governo Conte al Presidente della Repubblica Mattarella che a sua volta l’aveva inviata al Parlamento, con una nota di richiamo alla stabilità finanziaria e “a sviluppare – anche nel corso dell’esame parlamentare – il confronto e un dialogo costruttivo con le istituzioni europee “. Tale richiamo – tanto inusuale quanto significativo – è apparso in linea con l’incertezza manifestatasi sui mercati finanziari e sintetizzata dall’andamento al (forte) rialzo dello spread tra titoli di stato italiani e tedeschi e al contempo dal confronto ancora più cogente dello spread con i titoli di altri paesi dell’eurozona oberati da finanze pubbliche fragili. La diatriba tra la CE e il governo Conte potrebbe portare all’apertura di una procedura di infrazione relativamente alla sostenibilità delle finanze pubbliche italiane. 

Il braccio di ferro tra CE e governo Conte è iniziato a ottobre con le lettere di richiamo in cui la CE faceva riferimento al mancato rispetto delle regole di riduzione dell’elevato rapporto debito/Pil italiano e al programma di rientro concordato tra Italia e Unione Europea nella scorsa primavera. Tale programma di rientro, nella legge di bilancio 2019 presentata dal governo Conte, veniva invece esplicitamente ridimensionato e allungato nel tempo. Gli elementi più significativi riportati nella legge di bilancio per il 2019 sono:

  1. PIL ipotizzato all’1,5% di crescita reale e intorno al 3% a prezzi correnti;
  2. rapporto deficit /PIL fissato al 2,4%;
  3. rapporto debito/PIL stimato al 130,0%;
  4. avanzo primario (corretto per il ciclo) pari a -1,8%;
  5. aumento del deficit strutturale dello 0,8%.

Il punto chiave rilevato dalla CE non è tanto il 2,4% di deficit/PIL ma piuttosto che, per rimanere su un percorso sostenibile di rientro dal debito, il precedente programma concordato prevedeva una riduzione del saldo strutturale 2019 pari allo 0,6% del Pil. In altre parole, la legge di bilancio del governo Lega/M5S prevede un enorme peggioramento del deficit strutturale: da -0,6% a +0,8%, ossia un peggioramento di 1,4% del Pil, circa 24 miliardi di euro. Sulla base dell’impianto complessivo della legge di bilancio la Commissione Europea ha quindi ritenuto che “l’andamento programmatico di bilancio mostra una deviazione significativa dal percorso di aggiustamento verso l’obiettivo di bilancio a medio termine concordato per l’Italia”. A fronte di queste considerazioni della Commissione Europea, la posizione ufficiale del governo Conte è attualmente di procedere a una revisione del quadro di riferimento e di alcuni punti della manovra proposta. In assenza di revisione significativa della manovra (presumibilmente di almeno la metà del peggioramento previsto del deficit strutturale, ossia 12-13 miliardi di euro) è molto probabile che la Commissione Europea avvii la cosiddetta procedura di infrazione prevista nei confronti di uno stato inadempiente. 

Ma al di là del risultato della negoziazione tra CE e governo italiano, e anche al di là di quanto scritto nella legge di bilancio, il vero punto cruciale davanti al quale si trova il paese è il grado di realismo della legge di bilancio 2019. A rendere la legge di bilancio poco realistica stanno intervenendo una serie di fattori già previsti dalla maggior parte degli economisti o quanto meno segnalati nei mesi scorsi come elementi di rischio ad alta probabilità di accadimento.

Il primo di questi fattori è la frenata del quadro economico globale ed europeo che naturalmente si riflette sulla crescita attesa per l’economia italiana nel 2019. Le aspettative sugli Usa, sulla Cina e su altri paesi emergenti sono di un chiaro rallentamento delle loro economie e segnali ancora più chiari vengono dalla Germania e dall’Ue. Molte istituzioni internazionali, sia intergovernative che private stanno rivedendo le loro previsioni per il 2019, con ribassi significativi della crescita attesa a livello globale, nonché per l’Europa e per la crescita italiana – tutte queste previsioni sono molto meno ottimistiche del quadro macroeconomico presentato dal governo (peraltro già bocciato come troppo ottimistico dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio). Per esempio, le recenti previsioni di Oxford Economics per l’Italia indicano un PIL atteso allo 0,6% per il 2019, meno della metà di quanto indicato dal governo. A rafforzare le attese di un forte rallentamento dell’economia italiana c’è anche la considerazione che da almeno due decenni l’Italia presenta tassi di crescita del PIL di circa un punto percentuale più bassi di quelli tedeschi ed europei – un periodo così lungo è interpretabile come determinato da fattori strutturali. La Germania è a sua volta in rallentamento, e pur pianificando una manovra espansiva per il 2019 difficilmente andrà oltre una crescita dell’1,4% nel 2019, così come l’eurozona nel suo complesso. 

Le attese al ribasso per il 2019 non sono un esercizio accademico né una sfida a chi sbaglia meno. Esse implicano un impatto negativo sui rating delle agenzie con potenziale ulteriore peggioramento degli spread e allo stesso tempo comportamenti prudenti da parte di investitori e famiglie. A fronte di una economia in deterioramento (con conseguenze pesanti anche in termini di minori entrate fiscali attese) il percorso di rientro dal debito diviene quindi molto più arduo rispetto a quanto presentato dal governo italiano al Parlamento e messo sotto scrutinio dalla CE.

Una manovra di bilancio espansiva del governo italiano potrebbe (temporaneamente) ridurre il gap strutturale con gli altri paesi europei. Tuttavia, gli effetti moltiplicativi che il governo si attende dalle misure finora indicate appaiono ottimistici e con tutta probabilità saranno compensati (o anche più che compensati) in negativo dai seguenti elementi:

  • la composizione e la tipologia delle misure nella legge di bilancio (sostanzialmente spese assistenziali e improduttive, con poche risorse destinate a imprese, lavoro e investimenti) implica un moltiplicatore complessivo più contenuto di quanto atteso dal governo;
  • alcune misure non saranno implementate dal primo gennaio ma dai mesi successivi;
  • lo spread rimarrà su livelli elevati data la scarsa compatibilità della manovra con un percorso di rientro del deficit condivisibile dalla Commissione Europea (a meno, ovviamente, di avviare quella revisione significativa delle misure che finora i due leader del governo, Salvini e Di Maio, hanno rifiutato di voler prendere in considerazione);
  • l’elevato livello dello spread impatta negativamente sul settore bancario e sulla disponibilità del credito per imprese e famiglie (effetto già riscontrabile nei dati ABI e Banca d’Italia);
  • la combinazione dei punti c e d impatterà negativamente sulla fiducia delle imprese (peraltro già in forte contrazione ad ottobre e novembre) e delle famiglie (anch’essa in calo).

A preoccupare è soprattutto la scarsa attenzione alla produttività complessiva e all’innovazione del sistema Italia. Da questo punto di vista appaiono gravi e allo stesso tempo sintomatiche l’abolizione prevista della misura relativa al superammortamento e la riduzione del 50% dell’iperammortamento. Vengono invece privilegiate misure assistenziali come il reddito di cittadinanza e l’accorciamento dell’età pensionabile, misure che dovranno essere finanziate dal mondo dell’imprenditoria (sia piccola che grande) e del lavoro e che pagheranno anche e soprattutto le generazioni future. Questi elementi appaiono rivelatori di un approccio punitivo nei confronti sia delle imprese che delle nuove tecnologie, unici fattori che possono proiettare nel futuro un paese del G7 come l’Italia.

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