«Il numero di occupati più alto da 40 anni» esulta il premier Paolo Gentiloni. L’Istat, nel suo rapporto di novembre 2017 ne ha contati 23 milioni e 183mila. Oltre 60mila in più di ottobre. Più 83mila nell’ultimo trimestre, più 345mila dal novembre 2016. Solo che, sottolinea la leader Cgil Susanna Camusso, «c’è un ennesimo boom dei contratti a termine». Così apre stamattina l’articolo del Corriere della Sera.
Allora, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Di fatto, bisogna ragionare sui numeri in modo asettico, fuori da considerazioni di parte.
Infatti, il lavoro è in crescita, non c’è dubbio. Così come non c’è dubbio che cresca più quello a tempo determinato. Se analizziamo bene possiamo però sottolineare tre aspetti.
Primo aspetto: il mondo del lavoro è in forte cambiamento e il posto fisso non c’è più per nessuno, anche per chi ha un lavoro a tempo indeterminato perché le aziende cambiano, evolvono, chiudono molto più di prima. Perché le competenze, indipendentemente dal posto di lavoro, fanno altrettanto. Allora importante è che ci siano politiche per farle crescere, politiche attive per aiutare le persone a gestire le fasi di discontinuità: non solo o tanto reddito, ma servizi, formazione e tanto altro. Purtroppo questo in Italia c’è ancora molto poco. E abbiamo un sistema pubblico che risponde ancora alle necessità di un’economia industriale fordista, quando oggi siamo nella quarta rivoluzione industriale (industria 4.0).
Secondo, serve più lavoro, ma soprattutto di qualità cioè sotteso a sviluppo in settori e professioni ad elevato valore aggiunto che assicurano crescita della professionalità dei singoli (oggi bisogna difendere la professionalità e non il posto), della competitività delle aziende per lo sviluppo del Paese. E anche qui c’è tanto da fare. Ancor più pensando ad una campagna elettorale che guarda a promettere posti, ma non guarda a cosa c’è da fare per creare un ecosistema che favorisca la crescita economica e proprio nei settori a più altro valore aggiunto. Un modo per aumentare veramente l’occupazione per tutti, soprattutto per le donne e ancor più per i giovani e per non alimentare assurde giustificazioni intergenerazionali che con la disoccupazione, e con tutto il resto, hanno poco o niente a che fare.
Ultimo aspetto, ma non meno importante, gli stipendi e il gap donna-uomo. È vero che il gap c’è ma dovrebbe essere valutato in modo puntuale, non facendo una media del pollo di Trilussa tra i due generi o tra le varie categorie contrattuali. Perché così, anche per una scarsa e sicuramente da superare presenza delle donne in lavori a più alto valore aggiunto, non ci sono dubbi che il gap ci sia e ampio. Perché storicamente molte più donne hanno lavori part-time, a bassa professionalità ecc. Quindi, la prima lotta è dare loro spazio per andare ai piani alti o meglio nelle professioni alte e questo tante giovani donne lo stanno già facendo, ma si deve sicuramente fare molto di più.
Ecco, occupandoci così dell’occupazione possiamo pensare di costruire qualcosa, senza fare derby o lotte tra Orazi e Curiazi. Questo dobbiamo fare e chiedere alla campagna elettorale.