La crisi globale indotta dalla pandemia ha portato un violento terremoto nel nostro sistema economico-produttivo, con un conseguente impatto, altrettanto drammatico, sul mondo del lavoro. In Italia, oltre 800mila persone hanno già perso il posto di lavoro a seguito della chiusura di aziende e registriamo uno dei peggiori tassi di disoccupazione, vicino al 10%, 33% quello giovanile, che ci vede secondi dopo la Spagna. Sui NEET, poi, siamo al primo posto in Europa con il 23,8%. Guardando però ai prossimi mesi, si colgono segnali che inducono a un cauto ottimismo.
Verso la ripresa
A distanza di un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, con l’avanzare spedito della campagna vaccinale e il calo dei contagi, emergono però anche chiari indicatori di ripresa, in particolare in settori come quello produttivo/manifatturiero, delle costruzioni e dei servizi. Una ripresa che avrà al centro, ancora di più, il capitale umano e l’accelerazione dei processi di digital transformation. Secondo i dati della nostra ricerca “Skills Revolution Reboot”, il 43% delle aziende in Italia sta accelerando i propri processi di digitalizzazione e automazione a seguito della pandemia (rispetto a una media globale del 38%).
Talenti: un gap da colmare
A questa crescita, e soprattutto alle necessità dei tanti settori che crescono, non corrisponde però un’adeguata disponibilità di competenze sul mercato. L’indagine Talent shortage, condotta da ManpowerGroup su 42.000 imprese nel mondo segnala come 7 imprese su 10 non riescano a trovare i profili idonei e in Italia sono l’85%, il dato più alto di sempre e fra i maggiori al mondo, quasi raddoppiato negli ultimi 3 anni.
I settori della logistica, produzione, IT e vendite sono fra i comparti in cui c’è la maggiore carenza di talenti. In gioco è l’accelerazione dei processi di digitalizzazione, che porta a una richiesta di profili professionali e competenze in parte nuovi e non facilmente reperibili. Inoltre, lo sblocco dei licenziamenti allargherà ancora di più il gap fra i lavoratori che possiedono le competenze richieste dal mercato e chi invece non le possiede. Sarà dunque fondamentale fornire un supporto per il ricollocamento professionale alle persone che rimangono senza impiego.
La sfida della transizione occupazionale
Molte aziende potranno ancora usufruire degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive come il Fondo per le nuove competenze, al fine di evitare i licenziamenti e riqualificare i propri lavoratori, a partire dalle competenze digitali. Oggi si parla di transizione occupazionale, dando un significato importante e concreto a questa parola. La transizione nel mercato del lavoro è un passaggio che può dischiudere molte opportunità, se accompagnato ad esempio dagli strumenti messi a disposizione dal PNRR e dai decreti precedenti e da servizi che l’azienda privata può offrire, come l’outplacement, secondo un approccio predittivo basato sugli studi sulle competenze più richieste nei prossimi anni.
Formazione e sviluppo di competenze
Oggi l’unico modo per superare la crisi occupazione è accompagnare i lavoratori in un percorso di riqualificazione (upskilling e reskilling). Il modello sta cambiando, siamo in una fase in cui la vera difesa del lavoratore non è nel posto fisso, ma nella sua capacità di essere employable. È questo l’aspetto centrale su cui dovrebbero confrontarsi anche le politiche sul lavoro promosse dal governo. Quali che siano i provvedimenti di politica attiva, i processi di riqualificazione devono essere concreti e seguire gli studi previsionali sulle reali evoluzioni delle professioni e delle competenze.
Dobbiamo intraprendere un decisivo cambio di passo su formazione, competenze e servizi per il lavoro, superando le difficoltà di coordinamento fra Stato e Regioni e fra operatori pubblici e privati. C’è infatti ancora una visione troppo emergenziale e assistenzialistica che rischia di limitarsi a tamponare sempre l’emergenza. Servirebbero, invece, nuove forme di mobilità guidata, di riconversione professionale, di percorsi di ricollocazione dei lavoratori, di interventi di formazione specifica sulle competenze fondamentali (digitale e meta-competenze).
I tre obiettivi delle agenzie per il lavoro
In uno scenario di questo tipo, le “agenzie” per il lavoro possono dare un importante contributo, potendo contare su un forte presidio territoriale e su un patrimonio di relazioni con migliaia di aziende, di cui conoscono le reali esigenze e a cui sono in grado di offrire un sistema integrato di strumenti che permettono di accompagnare i lavoratori durante l’intero ciclo di vita professionale: formazione, riqualificazione, orientamento, fino al supporto durante le fasi di discontinuità professionale.
Vorrei indicare, a questo proposito, tre obiettivi chiari e che mi sembrano realisticamente perseguibili:
– attivare maggiori investimenti nelle politiche attive per il lavoro;
– affrontare una volta per tutte il nodo delle competenze Stato-Regioni, stabilendo una governance chiara, con una cabina di regia forte a livello nazionale;
– promuovere una maggiore sinergia fra operatori pubblici e privati.
Politiche attive al centro
Vorrei soffermarmi sul terzo punto. Le agenzie per il lavoro da diversi anni hanno un ruolo attivo nelle politiche attive per il lavoro. Come ManpowerGroup abbiamo offerto la nostra rete, mettendo a disposizione un’esperienza ventennale di incrocio virtuoso tra domanda e offerta di lavoro, competenza e risorse per la presa in carico, la formazione, l’inserimento e il reinserimento delle persone nel mercato del lavoro. La capillarità sul territorio e nelle regioni, la vicinanza e conoscenza delle aziende, del tessuto imprenditoriale e dei distretti produttivi, senza contare la capacità di essere veloci e reattivi, sono tutte forze in campo che concorrono nell’essere efficaci ed efficienti nelle politiche attive del lavoro.
Una collaborazione tra pubblico e privato
A questo si aggiunge la capacità di collaborare con le istituzioni pubbliche, di rispettare i tempi, di monitorare i risultati, di adempiere agli obiettivi di placement. La sfida che ci attende si gioca sulla capacità di implementare progetti condivisi, creando infrastrutture e sistemi di governance che consentiranno nel lungo periodo di avere un mercato del lavoro più moderno e competitivo. Siamo tutti chiamati ad adottare una visione sistemica e integrata che tenga conto delle esigenze dei diversi attori in campo, facendo leva su un concetto di co-responsabilità. Le agenzie per il lavoro, insieme ai centri per l’Impiego, possono fare la differenza nelle transizioni occupazionali: con un approccio aperto alla collaborazione e al confronto con tutti gli stakeholder si impegnano, infatti, a promuovere in modo positivo e conclusivo l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.
Il ruolo dei manager
In questa collaborazione sinergica è centrale anche il ruolo dei manager, che devono governare i processi di employability e implementare una nuova e più dinamica cultura del lavoro basata sulle competenze e sulla riqualificazione continua delle persone. Nell’ecosistema in cui opera, il leader deve saper creare sinergie, collaborazioni, avere una visione chiara, agire in modo trasparente, motivare i propri collaboratori, e puntare sulla crescita dei talenti. Le skill indispensabili del manager sono legate alla velocità e al continuo cambiamento che investe le imprese. Sono necessari nuovi approcci mentali, rivolti alla tecnologia e al digitale, capacità imprenditoriali di elaborazione e condivisione degli obiettivi, di riconoscimento e promozione del cambiamento, di team building e integrazione generazionale. In questa sfida il fattore tempo sarà determinante: la velocità con cui riusciremo ad attivare meccanismi di reale trasformazione del sistema del lavoro grazie alle risorse del PNRR ci permetterà di recuperare punti di Pil e di portare l’Italia a competere di nuovo in ambito europeo e in un mondo globalizzato.