Come attrarre i talenti migliori?

Cercasi genio disperatamente

Perché il peggio l’ho già avuto. Tutti vogliono i migliori. Ci
mancherebbe altro. Ma come faccio io, azienda, ad attrarre coloro
che non cercano? Molti candidati tosti non sanno scrivere un
curriculum, oppure, non ne hanno mai dovuto scrivere uno. È gente
che va via come il pane e finisce velocemente in pasto a imprese
assai affamate e abili nell’active sourcing: cercare attivamente –
andando a caccia come indemoniati head hunter e con tutti i mezzi
– coloro che non cercano e non si candidano attivamente quasi mai.

La penuria di veri talenti fa sì che le HR più avvedute si concentrino
sull’identificazione dei candidati con potenziale, a prescindere dalla
posizione ricercata adattandola al candidato o, magari, creandola
velocemente ad hoc operando in modalità Blitzkrieg, la quale guerra
lampo, in termini di HR, significa trasformare il motto della crescita
lampo (nel gergo Silicon Valley: Blitzscaling) “diventare molto grandi,
molto in fretta” in ricerca lampo “trovare molti grandi talenti, molto
in fretta”, una scelta quasi obbligata visto che quelli bravi bravi
hanno quasi sempre il fuoco sotto i piedi e aspettano pochi giorni,
dopo aver manifestato interesse per una posizione. Certo, poi si
può anche tentare la strada del peer-recruiting dove in sostanza
sono i dipendenti a decidere chi deve essere assunto e chi licenziato
(succede in Germania da Sipgate) talvolta con delle vere e proprie
maratone, per valutare contatti utili nel giro delle conoscenze di
dipendenti e collaboratori dell’impresa. Ma tutto questo potrebbe
non bastare per trovare e trattenere i migliori.

Pretendo il meglio
Il migliore pretende il meglio per sé. Trattamenti
veramente speciali. Ovvio, no? E non parliamo tanto di soldi (bonus in azioni e altro) ma di servizi veramente speciali. Con una buona mensa, asilo aziendale o ping pong non se la cava più nessuno. Ci vuole ben altro. Per dire: giorni di vacanza illimitati (introdotti da Netflix), catering gratuito per gli animali domestici in ufficio (Jawbone, che poi è fallita, ma l’idea era giusta), contributo per l’inseminazione artificiale (Answer Lab), formazione gratuita su interessi privati (Google) e molta “generosità”: da Dropbox, la componente extra salariale ammonta annualmente a circa 25mila dollari per dipendente. Se il lavoro deve essere un vero “customer journey” allora le imprese in cerca del migliore devono rendere questo viaggio piacevole giorno per giorno e soprattutto guardarsi alle spalle, perché dietro ogni impresa sono in agguato le temibili recensioni online sui datori di lavoro, ormai diffusissime (Indeed è a quota 100 milioni di recensioni contro i 4 milioni di quattro anni fa e Kununu in Germania
è croce e delizia per ogni impresa e manager) e seguitissime (in America il 64% dei candidati è influenzato dalle opinioni dei dipendenti).

Cosa vogliono i talenti migliori
Dice ogni impresa: meno male che esiste l’attrazione
fatale. Sì, ma solo se l’impresa sa cosa vuole il “ricercato”. Già, cosa vuole il nuovo nerd, data scientist o talento che sia, dotato di presunti superpoteri? Primo: un capo anche lui un po’ nerd; secondo: spazi silenziosi dove isolarsi e concentrarsi; terzo: delega (quasi in bianco) per la scelta di computer e tecnologie; quarto: mentoring di alto livello come affiancamento continuo; quinto: team piccoli, pochi meeting e relazioni basate su comunicazioni scritte e visive; sesto: libertà di mantenere contatti e attività con le proprie comunità professionali (esempio progetti open source). Il punto decisivo però è un altro: comprendere che
i top nerd sono una specie a parte molto diversa da altri dipendenti e dirigenti. Cercano ambienti dove gli standard tecnologici sono elevati e le possibilità di sperimentazione e creazione infinite.


DALL’ULTIMO NUMERO DI DIRIGIBILE, L’INSERTO DELLA RIVISTA DIRIGENTE DEDICATO ALL’INNOVAZIONE, AGLI SCENARI E ALLE OPPORTUNITÀ DI UN FUTURO CHE È GIÀ PRESENTE.

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