Donne e lavoro, quella difficile conciliazione

Promuovere e praticare su larga scala strategie di conciliazione non è più un’opzione ma una necessità per tentare di arginare il fenomeno delle lavoratrici che si dimettono dopo la nascita di un figlio. In Italia i dati sono allarmanti: nel 2014 le donne-madri che si sono dimesse dal posto di lavoro sono il +6% rispetto al 2013. La motivazione principale: «incompatibilità tra l’occupazione lavorativa e le esigenze di cura della prole».

Un ulteriore dato significativo che emerge è che l’85% dei casi di dimissione ha riguardato le madri, a dimostrazione che la gestione delle responsabilità famigliari e di crescita dei figli, prerogativa ancora prevalentemente femminile, continua ad avere riflessi sulla partecipazione attiva delle donne al mercato del lavoro. Altro elemento di riflessione riguarda il numero dei figli delle madri dimissionarie: una madre su due ne aveva solo uno.

Lo scoglio più difficile da superare sembra dunque presentarsi sin da subito, con l’arrivo del primo figlio. In altri termini, non è, come ci si aspetterebbe, la «quantità» di lavoro materno a determinare il conflitto (da due figli in poi) ma il passaggio stesso alla maternità. Anche le madri che lavorano part-time presentano le difficoltà di conciliazione: secondo una ricerca Istat del 2015 crescono rispetto al 2005 le madri che pur lavorando a tempo ridotto dichiarano problemi di conciliazione famiglia-lavoro (29,4% nel 2012, 22,1% nel 2005). La mancanza di una rete di supporto, nella stragrande maggioranza dei casi, costringe le madri ad abbandonare il lavoro, a riprova che queste non riescono a trovare nella risposta istituzionale, nei servizi sul territorio e negli strumenti messi a disposizione dalle aziende un valido sostegno alla gestione della famiglia. Si delinea così un doppio fronte di complessità nella conciliazione: quello personale, psicologico ed esistenziale e quello della gestione della realtà.

La conciliazione mentale: cosa si vuole realmente?
Due sono gli assunti di base dai quali partire per iniziare a costruire non tanto una impossibile «conciliazione perfetta», ma – parafrasando le parole di un noto psicologo, che la applicava alle madri – una «conciliazione sufficientemente buona». Il primo è che non esiste possibilità di una buona conciliazione concreta, logistica e operativa (che definiamo esterna: verso l’azienda, la società, gli altri attori presenti nel sistema) se non c’è stata a monte una profonda e serena conciliazione interna. Figli e lavoro, asili e carriera, tate e nonni stanno insieme nella realtà se prima possiamo tenerli insieme nella nostra idea di realtà, nel nostro immaginario e nella nostra alchimia personale. Ci si può avvalere delle migliori strategie di delega, di un’organizzazione minuziosa e puntale delle giornate delle mamme e dei loro bambini, ma se non c’è stata prima una legittimazione dei desideri delle donne nel loro nuovo ruolo di madri e professioniste, per loro e per i loro figli, anche la miglior orchestrazione poggerà su fondamenta poco stabili, che vacilleranno inesorabilmente sotto il peso di mille sensi di colpa all’affacciarsi delle prime, normali problematicità.

La premessa per una conciliazione sufficientemente buona non consiste nel cercare di creare più ore all’interno di una giornata, ma nel domandarsi cosa veramente si vuole nella vita. Il secondo punto discende direttamente dal primo. Nessuno meglio di noi può dire quale debba essere il nostro personale work-life balance. Come sostiene Melissa Heisler «il work-life balance non è una formula universale ma un modello individuale per ciascuno di noi». Prendersi un po’ di tempo per definire quale valore e spazio dare ai diversi elementi che compongono la vita famigliare, lavorativa e personale di ognuno, tenendo conto di ambizioni personali, dati di realtà (dalle necessità economiche alla logistica della giornata, alla rete famigliare), valori individuali è quindi il passaggio essenziale e non demandabile che solo la madre – in una dialettica costruttiva con il partner-padre dei figli – e nessun altro può e deve provare a compiere.

Da una ricerca condotta da Wise Growth nel 2013 si evince come «la generazione y si distingue nettamente e in modo molto omogeneo. Il bilanciamento della vita professionale con quella personale è un tema centrale, in una gestione del tempo che salvaguardi gli interessi personali, sia di intrattenimento (frequentazione degli amici, cinema, letture, ad esempio), che sportivi, che famigliari» (Bombelli). Le aziende, ma anche la società, non potranno ancora a lungo ignorare tutto ciò e dovranno presto attrezzarsi per accogliere le esigenze di bilanciamento vita/lavoro di un numero sempre crescente di persone/lavoratori. Il rischio, se non dovessero adoperarsi in tal senso, è di privarsi a lungo andare di una fetta di talenti (mamme lavoratrici, ma anche millennial e nuovi padri) che sempre con maggior fatica riescono ad accettare modelli organizzativi e di lavoro costruiti su vecchie regole che premiano il presenzialismo sul luogo di lavoro anziché il raggiungimento degli obiettivi. Un altro passo importante e utile da compiere è quello di comprendere e gestire dentro e fuori di sé quel sistema di attese e di sguardi – ovvero l’insieme delle pressioni più o meno dirette e consapevoli, alcune reali altre immaginarie – dentro il quale si è inserite e a cui, in qualche modo, le madri sentono di dover far fronte. Gli attori di questo sistema sono sempre molteplici. In primo luogo c’è il figlio neonato con le sue richieste oggettivamente pressanti, che nei suoi primi mesi di vita dipende in tutto e per tutto dalla madre ma che, anche in seguito e per tutta la prima infanzia, reclama attenzioni e cura. Le sue sono le attese e le richieste più immediate e di decodifica piuttosto semplice, se non fossero poi complicate (come abbiamo ben visto sopra) dalle proiezioni della madre stessa, spesso impegnata a sentirsi e a interpretare il ruolo della «buona madre».

Non meno importanti sono le aspettative del partner e neo-padre che, dopo la nascita del primo figlio, non si relazionerà più con la propria compagna solo in veste di «altro della coppia», ma anche in quanto madre dei suoi figli, con tutta la complessità e la ricchezza che da ciò deriva. Un importante riassestamento delle dinamiche di coppia a seguito della nascita dei figli è del tutto fisiologico e necessario, ma non per questo meno impegnativo. Anche l’ambiente professionale, al rientro post-maternità, manifesterà, con modalità più o meno dirette e correttamente gestite, aspettative nei confronti della lavoratrice-madre, che possono variare – nella nostra esperienza – da una attenta ricalibrazione del carico di lavoro negoziata congiuntamente, a una aspettativa di efficienza senza soluzione di continuità, fino ad arrivare alla nota dinamica di esclusione/autoesclusione per cui la lavoratrice viene di fatto «ridimensionata» con il suo tacito consenso.

Articolo tratto da Genitori al lavoro – L’arte di integrare figli, lavoro, vita, di Laura Girelli e Adele Mapelli (Guerini Next).

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