Evoluzione del diritto del lavoro

La normativa giuslavoristica italiana continua a porsi nuovi obietti e nuove opportunità. Vediamo quali.
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Il diritto del lavoro nel nostro Paese è connotato da una complessità sempre maggiore. La ragione è rintracciabile, in primis, nell’“ipertrofia normativa” che caratterizza il nostro sistema e che ha portato, dagli anni 70 in poi, alla proliferazione e alla stratificazione delle norme che regolano la materia, con continue modifiche ed emendamenti. Il sistema normativo giuslavoristico risulta poi arricchito dalla disciplina dei contratti collettivi, che si affianca e a volte sostituisce la legge nella regolamentazione dei rapporti di lavoro. Altro importante elemento di complessità è da individuarsi nel proliferare di una casistica giurisprudenziale non uniforme e in continua evoluzione, il che rende difficile formulare valutazioni “prognostiche” sull’esito dei contenziosi e sui correlati rischi di soccombenza a carico delle parti.

Dalla disciplina dei licenziamenti alla retribuzione adeguata
La normativa giuslavoristica è strettamente correlata al sentire sociale, ai cambiamenti culturali e ai diversi scenari economici e politici in cui si trova ad essere applicata; è sempre in evoluzione e continua a porsi nuovi obiettivi e nuove sfide. Se torniamo indietro di qualche anno, possiamo ricordare il clamore suscitato dal Jobs act che introdusse, nel 2015, il “contratto a tutele crescenti” con nuove forme di tutela rispetto al licenziamento illegittimo, alternative all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Negli anni, abbiamo assistito a una progressiva demolizione di tale normativa, non solo attraverso la legislazione successiva, ma anche a opera della Corte costituzionale, che ha via via smantellato l’impianto della riforma. Il risultato è che quella che doveva essere, nelle intenzioni, una riforma volta alla semplificazione della disciplina dei licenziamenti, oggi si presenta, all’opposto, come un intricato groviglio di disposizioni. Con il risultato, paradossale, che in alcuni casi la legge prevede indennizzi superiori per le ipotesi di illegittimità del licenziamento di un lavoratore assunto successivamente al 2015, rispetto a colleghi con anzianità di servizio anche di gran lunga superiore.

Pensiamo, ancora, alla disciplina del contratto a termine: negli ultimi anni abbiamo assistito a molteplici inversioni di tendenza, tra normative volte a “liberalizzare” l’utilizzo del contratto a tempo determinato, nell’ottica di favorire la flessibilità del lavoro, e leggi finalizzate a limitare l’utilizzo dell’istituto, in quanto considerato strumento di “precarizzazione” dell’occupazione.

Tra le nuove frontiere del diritto del lavoro e tra i temi più “caldi” campeggia quello del “salario minimo”, che ha riportato in auge l’art. 36 della Costituzione e il principio della cosiddetta “retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa”. La tematica ha portato al proliferare di un ampio contenzioso nelle Corti di merito e di legittimità, che sono giunte alla disapplicazione delle previsioni di alcuni contratti collettivi, anche laddove stipulati da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.

Dagli appalti di servizi al work-life balance
Altrettanto dibattute e attuali sono le problematiche correlate alla gestione degli appalti di servizi, soprattutto nei settori “labour intensive” come quelli della logistica e della vigilanza. Si moltiplicano le notizie di interventi della Magistratura e della Guardia di finanza, che hanno portato all’elevazione di contestazioni circa il reato di caporalato e sfruttamento del lavoro, a fronte dell’applicazione di trattamenti giuridici, normativi ed economici ben al di sotto dei limiti consentiti dalla legge.

E se, da una parte, lo sforzo normativo e giurisprudenziale è volto a garantire condizioni economiche e normative dignitose nei rapporti di lavoro, dall’altra si registra la crescente attenzione da parte dei lavoratori alla qualità delle condizioni di lavoro offerte dalle aziende, al di là della componente meramente economica, in termini di riconoscimento di misure idonee a perseguire la conciliazione vita-lavoro e il benessere psico-fisico sul luogo di lavoro.

A seguito del periodo pandemico abbiamo imparato a conoscere il significato della locuzione work-life balance e lo smart working è diventato modalità organizzativa ordinaria all’interno delle aziende. È ormai chiaro che la capacità di un’azienda di ricercare e trattenere talenti si gioca su un terreno molto più ampio rispetto al passato.

Verso una nuova cultura del lavoro, anche sotto la spinta dell’Europa
Nel frattempo, si sta diffondendo nelle aziende una nuova cultura del lavoro: negli ultimi anni, anche sotto la spinta della normativa comunitaria e della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, si è assistito allo sviluppo di una branca antidiscriminatoria del diritto del lavoro che si pone come obiettivo quello di rimuovere ogni diseguaglianza sul luogo di lavoro. Le tematiche di parità di genere nell’accesso al lavoro, di contrasto al gender pay gap, gli obiettivi di diversità e inclusione rivestono sempre maggiore centralità non solo nelle politiche europee ma anche in quelle nazionali.

Il ruolo sempre più strategico delle funzioni hr nelle aziende
In uno scenario tanto complesso e in continua evoluzione, la conoscenza e il costante aggiornamento sulle normative di diritto del lavoro è fondamentale per le aziende. Ma non solo, e non più, in termini di compliance, come per il passato, con finalità deflattiva del contenzioso lavoristico. L’adeguamento della struttura organizzativa e l’implementazione di regole di governance nel rispetto di valori quali diversità e inclusione, parità di genere e contrasto alle discriminazioni è in grado di produrre un rilevante impatto sul grande tema della sostenibilità aziendale e di contribuire alla costruzione della reputazione aziendale che, in un mondo globalizzato come quello in cui viviamo, sta diventando sempre più un asset strategico per le imprese.

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