Giovani: basta un lavoro?

La precarietà del lavoro non può cancellare i diritti fondamentali

ll 65% dei giovani romani rinuncia a contratti regolari e diritti dei lavoratori, mostrando un livello alto o medio alto di quella che in gergo tecnico è denominata “remissività lavorativa”. Questo emerge dalla ricerca “Avere 20 anni, pensare al futuro” condotta da ACLI di Roma e provincia e CISL di Roma Capitale e Rieti in collaborazione con l’IREF e presentata ieri presso l’Aula magna del Rettorato della Sapienza Università di Roma durante il convegno “Lavoro per i giovani: priorità delle famiglie, futuro per il Paese”.

I sentimenti che i giovani intervistati associano al futuro sono la confusione (36%), la precarietà (26,6%) e l’angoscia (26,3%) ma per fortuna anche tanta speranza (61,3%). Proprio per questa profonda insicurezza legata al proprio futuro, molti sono disposti a rinunciare anche a diritti fondamentali e ad abbracciare uno stile di vita non sempre confortevole, come quello legato alla condivisione della casa con estranei, pur di avere o mantenere un lavoro: il 28,2% direbbe addio ai giorni di malattia, il 26,6% alle ferie, l’11,1% alla maternità. Il 30,3%, poi, non avrebbe difficoltà ad accettare un impiego che non corrisponda al proprio corso di studi“.

Insomma, stiamo passando dai giovani Choosy ai giovani “esclusi” e questo va a scapito di tutti e del nostro futuro. Anche perché un conto è fare qualche lavoretto per arrotondare la paghetta, tutt’un altro è trovare e fare un lavoro per costruirsi il futuro.

E se accettiamo che il lavoro, quello vero, si svilisca così, lo pagheremo tutti.

Siete d’accordo e che fare?

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