La classificazione “colorata” del lavoro è un efficace stratagemma comunicativo che facilita il nostro modo di comunicare e intenderci sul lavoro. Talvolta per individuare un intero settore occupazionale ricorriamo all’uso di un colore simbolico: il blu per gli operai, il bianco per gli impiegati, il nero per il lavoro irregolare e tanti altri. In questo intervento ci concentriamo su tre colori in particolare, i colori che rappresentano il nuovo tricolore del lavoro. O meglio, dei macro-settori produttivi con maggiori possibilità occupazionali.
Verde (green jobs): il lavoro verde considera i lavoratori della cosiddetta green economy, dove le nuove tecnologie sono applicate al settore energetico e agricolo per ridurre l’impatto ambientale. Un settore destinato a crescere, che rappresenta già il 13,3% dell’intera occupazione in Italia.
Bianco (white jobs): è il settore dei lavoratori che si occupano di offrire servizi alla persona. Un esempio: i lavoratori nei servizi sanitari, sociali e assistenziali. Un settore in forte e costante crescita che risponde ai bisogni connessi a due dinamiche demografiche di forte impatto: i processi di invecchiamento della popolazione e la riduzione delle nascite.
Marrone (brown jobs): con questo termine indichiamo i lavoratori dell’agricoltura e della terra. La crescita costante del settore (negli ultimi anni del 5,6%) fa sperare in una riscoperta dell’agricoltura e dei lavori connessi. Si prevede che entro il 2030 il settore creerà 200 mila nuovi posti di lavoro.
L’ultimo colore, da non dimenticare, è l’arancione: il lavoro delle professioni digitali (post precedente). Insomma, il futuro del lavoro sarà colorato. E la scelta dei giovani, di che colore sarà?
Tratto dal libro Nove mosse per il futuro (Guerini Next)