Labour Issues Cida Adapt: il lavoro subordinato

Il primo numero di Labour Issues, l’Osservatorio sul Lavoro Cida in collaborazione con Adapt, si concentra sull’analisi dell’ampiamente stereotipato dualismo lavoro autonomo e subordinato. Vediamo in questo articolo uno stralcio, tratto dal rapporto, circa l’evoluzione del lavoro dipendente da 2007 a oggi

L’Osservatorio sul Lavoro di Cida, in collaborazione con Adapt, l’associazione di studi e ricerche giuslavoristiche fondata da Marco Biagi, indaga il mercato del lavoro per analizzarne le trasformazioni legate alle nuove tecnologie, capirne le dinamiche sociali e gli effetti sui lavoratori, verificarne le interazioni con il diritto e la produzione normativa. 

L’analisi dei dati dell’occupazione, ai fini di cogliere le modifiche e l’evoluzione, nel tempo, del lavoro subordinato e del lavoro autonomo non può non partire dalla distribuzione del totale degli occupati tra queste categorie.


Considerando nel dettaglio i dati relativi alla composizione degli occupati italiani nel terzo trimestre del 2020, i più aggiornati a disposizione, si evince che la maggior parte dei lavoratori sono dipendenti a tempo indeterminato. Tra i dipendenti (17.704) la maggior parte è a tempo indeterminato (15.057) e i restanti a tempo determinato (2.647). Gli indipendenti sono invece 5.114, per un totale di 22.818 occupati.


Il lavoro subordinato 
L’andamento dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato non è costante negli anni ed è legato sia all’andamento economico che agli effetti di norme incentivanti. Emerge quindi un incremento sostanziale dal terzo trimestre del 2007 al 2008 per poi avere un andamento di crescita e decrescita irregolare. La crisi economica ha inciso particolarmente e l’anno in cui il numero di dipendenti a tempo indeterminato è più basso è il 2013. Il numero più alto si registra invece nel 2008 e si può osservare che al momento il numero dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato non ha ancora raggiunto i livelli pre-crisi, sebbene ci si avvicini molto. È possibile notare un forte impatto positivo dell’introduzione, a partire dal 2015 della decontribuzione triennale per l’assunzione o la trasformazione in contratti a tempo indeterminato.


Osservando la composizione per sesso dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato si rileva la prevalenza di lavoratori di sesso maschile per tutti gli anni considerati. Infatti, tra donne e uomini sussiste uno scarto considerevole. Tale dato, seppure riferito ai soli lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, fa osservare come tale tipologia contrattuale sia ancora presieduta dal modello del “male breadwinner”. Ciononostante, si è osservato nel corso degli ultimi anni, a partire da quelli più difficili che hanno seguito la crisi del 2008, un leggero aumento dell’occupazione femminile anche nel tempo indeterminato, soprattutto con forme di lavoro a tempo parziale.


Dal trend dei lavoratori dipendenti a tempo determinato si può osservare una crescita sino al terzo trimestre del 2013 e poi si osservano delle oscillazioni che portano a un decremento sostanziale tra il terzo trimestre del 2019 e quello del 2020, riconducibile al blocco legislativo dei licenziamenti che ha orientato le decisioni di riduzione del personale verso il mancato rinnovo dei contratti a termine. Osservando in generale il dato si può però rilevare che il numero di lavoratori dipendenti a tempo determinato è cresciuto di 430 unità dal terzo trimestre del 2007 a quello del 2020, raggiungendo il picco di quasi 3,2 milioni.

Dal grafico è facile osservare come l’intervento normativo (ricordato nell’introduzione) abbia inciso molto nel determinare l’andamento dell’occupazione a termine. Ma soprattutto interessa notare come l’importante aumento di questa stia andando a ridefinire la composizione del lavoro subordinato, diminuendo complessivamente la quota di occupati che risponde ai canoni standard di tale tipologia di occupazione, aumentando coloro che hanno rapporti di lavoro brevi e quindi con tutele differenti. La formula del tempo determinato tende infatti a rispondere ad esigenze eterogenee: prova del lavoratore, politica motivazionale (la stabilizzazione diviene un obiettivo, flessibilità numerica, riduzione dei costi in uscita).


Anche il grafico che riporta il trend dei lavoratori dipendenti a tempo determinato suddiviso per sesso fa immediatamente emergere la preponderanza della componente maschile. Osservando poi più nel dettaglio i dati emerge che anche nel corso degli anni la componente maschile, precisamente dal terzo trimestre del 2007 al terzo trimestre 2020, è aumentata maggiormente rispetto a quella femminile.


Come emerge anche dal grafico precedente, considerando anche l’incidenza percentuale dei lavoratori dipendenti a tempo determinato sul totale dei lavoratori dipendenti, si può notare che tale gruppo è cresciuto negli anni registrando un picco nel terzo trimestre del 2019 (17,57%).


È interessante, anche per cercare di comprendere verso che direzione stia evolvendo la composizione del mercato del lavoro in Italia, porre l’attenzione sull’incidenza percentuale dei dipendenti a tempo indeterminato sul totale dei lavoratori dipendenti suddivisa per fascia d’età. Seguendo il trend si nota come la quota di occupati tra i 15 e i 34 anni a tempo indeterminato è in notevole diminuzione negli ultimi anni. E sebbene si rileva che la fascia 25-34 anni sia la maggioritaria, essa è diminuita di circa dieci punti tra il 2007 e il 2020. Un andamento in decrescita anche per la fascia d’età 15- 24 anni, con un decremento di circa 15 punti percentuali. Una tendenza probabilmente riconducibile al limitato potere contrattuale dei lavoratori giovani e alla tendenza ad utilizzare il contratto a tempo determinato come una sorta di prova, ma che potrebbe anche far immaginare, proprio in virtù della forte crescita recente, nei prossimi anni una forte ricomposizione della struttura del lavoro subordinato con una crescita della quota degli occupati a termine.


Continua a vedere l’analisi dei lavoratori subordinati e/o vedi altro consultando il rapporto.

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