L’intelligenza artificiale e il lavoro che non ci sarà più

Avete riappeso il telefono, soddisfatti. Il problema è stato risolto in pochi minuti. L’operatrice del call center vi ha risposto in modo cortese ed efficiente, vi ha trattato come se vi conoscesse da sempre, con quel tocco umano tipico di Amelia. Amelia però non è una persona, è un software. Un software dotato di interfaccia grafica con le sembianze di una ragazza dai tratti nordici. Un’assistente virtuale programmata per imparare a imparare.
Dimenticatevi il solito avatar dalla voce metallica, dai movimenti a scatti e dall’eloquio sincopato.

Amelia potrebbe essere la prossima collega che vi sostituirà, anche se siete avvocati, giornalisti o addirittura medici. Per capire meglio di cosa si tratta andiamo sul sito della società che l’ha sviluppata, la IPSoft, azienda del settore IT fondata nel 1998 a New York. Inutile dire che tra il portafoglio prodotti della società, Amelia ha un posto di assoluto rilievo, tanto da meritare una brochure scaricabile dedicata a lei. Amelia è presentata come l’ultima frontiera dell’intelligenza artificiale capace di apprendere, interagire e risolvere problemi come se fosse un umano. Impiegata in vari settori come servizi finanziari, energia, telecomunicazioni e media, già oggi gestisce una serie di attività operative, senza bisogno di umani a supporto.
Questo perché Amelia è in grado di capire il linguaggio naturale, ragionare in modo logico, cogliere le implicazioni e imparare attraverso l’esperienza. Amelia, inoltre, è in grado di leggere e apprendere la stessa quantità di informazioni dei suoi colleghi umani ma in una manciata di secondi, senza dover partecipare a costose giornate di formazione.

Amelia impara mediante training-on-the-job, osservando le interazioni tra i suoi colleghi umani mentre sono al lavoro. Potenzialmente, come dichiara la IPSoft, Amelia può diventare un’esperta in qualunque ambito di lavoro.
Fantasie di qualche futurologo visionario? Ennesima invenzione del marketing digitale? Spiace, questa volta no. Questa volta, tutto potrebbe essere dannatamente vicino e pericoloso per i vostri posti di lavoro. Lo dimostrano alcuni test condotti con l’utilizzo del software Amelia in situazioni come l’assistenza clienti oppure il supporto a tecnici impiegati sul territorio, in mobilità e quindi senza la possibilità di portarsi dietro voluminosi manuali da consultare in caso di bisogno.

Durante questi test, Amelia è stata in grado di comprendere e rispondere al 42% delle richieste di supporto più comuni ricevute nel corso di un mese. Il mese successivo questa percentuale era salita al 62%. Risultati questi che hanno permesso ad Amelia di essere “assunta” da diverse multinazionali che la utilizzano in settori come il procurement, le operazioni di trading finanziario oltre al citato supporto agli ingegneri sul campo.
Amelia è solo l’ultima evoluzione dell’intelligenza artificiale applicata al mondo del business. Prima c’è stato Watson, il super-cervellone di IBM che nel 2011 aveva battuto i campioni di Jeopardy, gioco a quiz molto popolare negli Stati Uniti.

Nel 2012 è arrivato anche Google che ha messo in fila 16.000 processori per simulare il funzionamento del cervello umano capace di riconoscere l’immagine di alcuni gatti tra diversi video pubblicati su YouTube. L’avanzata dell’intelligenza artificiale applicata al mondo consumer ha continuato la sua marcia attraverso Microsoft Kinect, tecnologia utilizzata dalla consolle di gioco Xbox e capace di riconoscere e interagire con i movimenti dei giocatori. Gli stessi algoritmi, emersi durante gli studi sull’intelligenza artificiale, sono poi stati utilizzati per Siri, l’assistente virtuale installato sugli IPhone. Ora è il momento di Amelia e del lavoro che potrebbe non esserci più.
Intendiamoci, l’utilizzo della tecnologia in ambito produttivo è una cosa positiva, migliora la produttività dell’azienda, libera forza lavoro dalle mansioni più noiose, ripetitive, nocive. In questo modo le persone potranno essere impiegate per lavori a “valore aggiunto” dove imprenditorialità e creatività fanno la differenza.

Che cosa succederà invece a tutta quella forza lavoro che vedrà il proprio impiego scomparire, sostituito da macchine?
Un report della società di consulenza McKinsey prevede la scomparsa di 250 milioni di posti di lavoro entro il 2025. Un anatema che si basa, però, su una tendenza già in essere. La Federal Reserve Bank di Dallas ha pubblicato un report dal titolo “Middle-Skill Jobs Lost in U.S. Labor Market Polarization” che analizza il mercato del lavoro negli Stati Uniti e le fasce maggiormente colpite dalla disoccupazione. I dati evidenziano come le professionalità caratterizzate da una specializzazione “media” siano quelle più colpite dalla disoccupazione, schiacciati da una polarizzazione del mercato del lavoro che favorisce i poli opposti, a bassa o elevata qualificazione.

Concentriamoci su questi ultimi, la crescita occupazionale ha promosso quei lavoratori dagli skills elevati, impegnati in compiti non routinari dove è riconosciuta la capacità di problem solving, la managerialità, l’essere creativi. Le uniche professioni a saldo positivo in termini occupazionali sono quelle dell’area professionale, tecnica e manageriale:

Quali professioni invece, considerate di fascia media, hanno subito il colpo peggiore? Amministrativi e venditori, brokers, impiegati, cassieri, operatori di telemarketing, assicuratori e agenti di viaggio sono solo alcuni esempi. Il cosiddetto off-shoring, ossia la tendenza a esternalizzare al di fuori dei confini nazionali lo svolgimento di questi lavori, non giustifica da solo questa riduzione degli occupati. Causa da cercare invece nella sempre maggiore automazione dei compiti, almeno quelli più routinari. Una maggiore capacità computazionale a un costo sempre ridotto ha permesso ai computer di sostituirsi agli umani, addetti a compiti ripetitivi.

Processo che non tenderà a rallentare in futuro. Anzi, con il crescere ulteriore della capacità dei computer, lavori considerati oggi come non sostituibili verranno presto considerati come routinari e quindi rimpiazzati dalle macchine. Macchine che saranno in grado di sostituire autisti, di tenere lezioni online o di eseguire delicate operazioni chirurgiche con il supporto di robot.

Intelligenza artificiale e machine learning

L’attenzione verso gli sviluppi della robotica e dell’intelligenza artificiale è alta. Lo testimonia anche il recente seminario tenuto al Politecnico di Milano dal Prof. Vittorio Murino, Direttore del dipartimento Pavis presso l’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT di Genova.

L’intervento di Murino si è concentrato sulla Visione Computazionale, disciplina di ricerca che analizza il senso della visione, come è percepita e interpretata dal cervello umano. Questo al fine di permettere alle macchine di emularne il funzionamento attraverso meccanismi computazionali capaci di interpretare i dati in ingresso, acquisirli ed elaborarli simulando il pensiero umano. Una tematica questa, nata negli anni 60, tralasciata per limiti tecnici e poi riscoperta negli ultimi 10 anni con la ripresa degli studi sulle reti neurali. Uno dei settori più avanzati della ricerca è proprio quello riguardante la “Face Detection” ossia il riconoscimento di individui, dei loro movimenti spaziali e delle possibili intenzioni.

Il fine è chiaro, aumentare la capacità di sorveglianza e di prevenire fenomeni di criminalità, sia in ambito pubblico che aziendale. Investigare il comportamento umano, questa la nuova frontiera del “Social Signal Processing” ossia lo studio dei segnali sociali che ambisce a costruire modelli per il riconoscimento automatico delle varie interazioni sociali attraverso una modellazione al computer. Comportamento, tono della voce, apparenza fisica, abbigliamento, attrattività o tratti somatici rilevati in una normale situazione sociale presto saranno interpretabili da un computer.

In conclusione, i computer possono emulare o battere le prestazioni umane? Non ancora, anche se gli studi sulle reti neurali si pongono quest’obiettivo. Studi che ci ricordano come sia solo una questione di tempo, dovremo tutti evolverci verso nuove professionalità per rimanere sul mercato e non essere sostituiti da Amelia o da un robot qualunque.

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