L’obiettivo è rendersi occupabili!

Manageritalia lancia il format Il lavoro che cambia dando la parola ad autorevoli esperti in grado di fotografare lo scenario che stiamo vivendo. Oggi pubblichiamo l'analisi di Andrea Malacrida, Country Manager The Adecco Group

È passato ormai quasi un anno e mezzo dall’inizio della pandemia e la luce in fondo al tunnel sembra davvero vicina. La campagna vaccinale prosegue spedita e i contagi giornalieri diminuiscono di giorno in giorno. La situazione occupazionale però rimane delicata: gli ultimi dati Istat hanno rivelato che da inizio pandemia sono andati persi circa 870 mila posti di lavoro.


Crolli e crescite

Un periodo che ha portato al crollo verticale di alcuni settori, ma anche a un boom di richieste per altri comparti, in particolare quello medico, chimico-farmaceutico e scientifico, della produzione, dell’industria e della logistica anche legata all’e-commerce, delle risorse umane, degli acquisti, della GDO e delle pulizie e interventi di sanificazione. Le aziende che hanno sofferto di più sono invece quelle che operano nel turismo, nella ristorazione, nel retail non food e nella moda. Per loro sarà molto complicato riuscire a mettere a posto i bilanci, anche adesso che possono ricominciare a svolgere le loro attività in modo continuativo.


Misure assistenziali
La situazione per queste aziende e per i loro lavoratori rischia, inoltre, di peggiorare con la scadenza del blocco dei licenziamenti, che terminerà alla fine del mese di giugno, fatta eccezione per i datori di lavoro che utilizzano l’assegno ordinario del FIS, dei Fondi bilaterali alternativi, il trattamento della Cassa in deroga, e quello della CISOA e la Cassa integrazione degli operai agricoli a tempo indeterminato. Questa misura assistenziale è stata certamente utile per limitare l’emorragia occupazionale innescata dalla crisi pandemica, ma avrebbe dovuto essere accompagnata da una serie di riforme delle politiche attive che purtroppo non sono arrivate. Faccio un esempio: nei mesi scorsi, durante i periodi di fermo dei lavoratori in cassa integrazione, si sarebbe dovuto agire con programmi obbligatori di apprendimento e formazione, con l’obiettivo di rafforzare la spendibilità o riadattabilità di questi lavoratori verso i settori affini o più in crescita, offrendo così uno strumento prezioso nel caso in cui essi debbano in futuro andare alla ricerca di un nuovo impiego.


Reskilling e upskilling dei professionisti
Di fronte a uno scenario caratterizzato da un grado di incertezza così elevato e in rapida evoluzione, sarà infatti fondamentale investire sul reskilling e sull’upskilling dei professionisti. Noi del Gruppo Adecco ripetiamo da tempo che la chiave per il mondo del lavoro del futuro sarà la parola “occupabilità”. Mi spiego meglio: nei prossimi anni sarà fondamentale concentrarsi sulla capacità di ciascun lavoratore di rendersi occupabile sul mercato del lavoro, al posto del concetto, con cui forse abbiamo più familiarità, di occupazione in senso stretto. In concreto, bisognerà fare in modo che ogni lavoratore, candidato o studente venga messo nelle migliori condizioni di formarsi, aggiornarsi ed eventualmente anche di ricollocarsi più facilmente anziché essere vincolato al suo posto di lavoro.


Competenze che cambiano

Sarà necessario lavorare sulle competenze richieste dal mercato, che cambiano sempre più velocemente e rischiano di aggravare quel mismatch tra ciò di cui hanno bisogno le aziende e quello che la forza lavoro ha da offrire. In particolare, bisognerà sicuramente lavorare su due aspetti specifici. Il primo è legato alle soft skills, sempre più importanti, soprattutto per i giovani laureati o laureandi che possiedono poche o meno competenze tecniche rispetto a chi lavora da anni. Esse permettono di adattarsi più agevolmente e più rapidamente a una nuova mansione o a un nuovo lavoro, aiutando a colmare quel gap tra requisiti richiesti dal mercato e nozioni imparate a scuola e all’università. Permettono, più in generale, di sapersi adattare ai cambiamenti, una qualità imprescindibile se pensiamo all’ultimo anno e mezzo.
Il secondo aspetto è invece collegato alle competenze digitali, diventate ormai un requisito base dal quale non si può più prescindere. Secondo l’ultima edizione del Future of Jobs del World Economic Forum, infatti, lo sviluppo della tecnologia porterà il 15% della forza lavoro delle aziende a dover cambiare modo di lavorare entro il 2025, e in media il 6% dei lavoratori potrebbe essere sostituito dalle macchine. Ma il report prevede anche che la distruzione di posti di lavoro sarà compensata dalla crescita dell’occupazione nei “posti di lavoro del futuro”. Bisogna, dunque, essere pronti a sfruttare queste opportunità.


Un nuovo modello di leadership

L’aggiornamento delle competenze, d’altronde, è necessario anche perché in questi mesi sono cambiate radicalmente la cultura e l’organizzazione del lavoro all’interno delle grandi realtà: innanzitutto lo smart working rimarrà una pratica costantemente adottata dalle aziende e produrrà importanti investimenti in infrastrutture digitali. Inoltre, si sta pian piano delineando anche un nuovo modello di leadership: ci sarà bisogno di manager in grado di guidare i loro collaboratori anche da remoto. Questo aspetto, in particolare, rappresenta un tema interessante a cui mi allaccio per introdurre il concetto di leadership emotiva: si tratta di una soft skill molto importante, una competenza trasversale che nei prossimi anni sarà fondamentale per riuscire a gestire in maniera adeguata risorse e team. Basti pensare che uno studio presentato dal Gruppo Adecco qualche mese fa conferma esattamente questo aspetto: il 74% dei lavoratori intervistati desidera che i propri manager abbiano uno stile di leadership incentrato su empatia e supporto ai dipendenti.



Occorre modificare il Decreto Dignità
Ma non basterà lavorare sulle competenze, con programmi di formazione ad hoc, e sulle politiche attive: il terzo aspetto che ritengo importante sottolineare per rendere il mercato del lavoro più funzionale è la necessità di modificare alcuni provvedimenti introdotti negli ultimi anni. Mi riferisco al Decreto Dignità, il quale, dal momento della sua introduzione, ha creato non pochi problemi. In questi quasi tre anni, si sono persi molti posti di lavoro, poi rimpiazzati con nuovi lavoratori non formati. Dei contratti a tempo determinato che erano al dodicesimo mese, solo una minima fisiologica parte (circa il 10%) è stata trasformata a tempo indeterminato, mentre il restante 90% è stato sostituito. In pratica, è aumentata la precarietà che il Decreto avrebbe dovuto resettare e il mercato del lavoro è diventato più rigido, proprio in un momento in cui chiedeva flessibilità, sia dal punto di vista delle aziende, sia da quello dei lavoratori.


Una nuova collaborazione tra pubblico e privato
Al fine di lavorare correttamente su questi aspetti e remare tutti nella stessa direzione, sarebbe auspicabile che la collaborazione pubblico-privato diventasse più costante e proficua. Bisognerebbe che tutti gli attori coinvolti nel mercato del lavoro, dalle istituzioni, alle imprese, fino ad arrivare ai sindacati, si sedessero attorno a un tavolo e si ascoltassero reciprocamente. Il dialogo è sempre stata la ricetta migliore per risolvere le situazioni più intricate e sarebbe, anche in questo caso, la soluzione migliore per tornare ad avere una crescita economica stabile e un mercato del lavoro in grado di soddisfare le esigenze di tutti.

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