Il tasso di occupazione dei giovani italiani tra i 25 e i 29 anni è cresciuto nel 2021, passando dal 53,4% del primo trimestre al 57,8% del terzo. Le percentuali registrate nel secondo e terzo trimestre 2021 sono le più alte degli ultimi tre anni, con un dato quindi che supera quello del periodo pre-pandemico segnando un miglioramento maggiore rispetto alle altre fasce d’età. Allo stesso tempo, però, il dato non ha ancora recuperato il livello toccato prima del periodo più nero della crisi dello scorso decennio e resta ancora di un punto inferiore rispetto al 2011 (58,8%).
Nello stesso arco di tempo, il numero dei pensionati (aggiornato al 2019) è diminuito di circa 900mila unità, con il tasso di occupazione della fascia 50-64 che è cresciuto di 12 punti, passando dal 48 al 60%. Un elemento che potrebbe aver influito nelle dinamiche dell’occupazione giovanile, ma che non ha comunque contribuito alla crescita complessiva del tasso di occupazione italiano, se non di circa 2 punti percentuali, collocandolo ancora al penultimo posto nella classifica europea. A dimostrazione che una vera primavera occupazionale in Italia non può prescindere da performance positive in tutte le fasce d’età.
Per avere una visione d’insieme è utile considerare i dati italiani alla luce del panorama internazionale: considerando lo scenario europeo e prendendo la fascia 20-29 così come considerata nel dataset Eurostat, l’ultimo dato annuale disponibile, quello del 2020, mostra come l’Italia abbia il tasso di occupazione giovanile più basso tra i principali paesi europei, inferiore anche a quello greco, solitamente in fondo alle classifiche per livelli occupazionali.
L’andamento del numero di occupati negli ultimi tre anni, considerato il dettaglio dei trimestri, fa emergere un aumento del numero di occupati nel terzo trimestre del 2021 rispetto agli anni precedenti con la cifra assoluta che torna sopra il milione per i maschi e che subisce però una lieve diminuzione nell’ultimo trimestre per le femmine.
Considerando invece la serie storica sul tasso di disoccupazione negli ultimi dieci anni, si delinea un andamento altalenante segnato dalle crisi che si sono susseguite, che pare però non aver risentito in modo strutturale o quantomeno prolungato della crisi pandemica, infatti il dato del terzo trimestre 2021 è in linea con i dati pre-pandemia. Dal 2011 ad oggi il tasso di disoccupazione più basso si è registrato nel 2011 (13,6%) e successivamente nel 2021 (16%), segno che siamo ancora distanti dallo scenario precrisi del debito sovrano e che quella crisi ha segnato (dai dati oggi a disposizione) molto più profondamente, data la sua natura economica e non pandemica, la condizione giovanile nel mercato del lavoro, anche nel medio-lungo periodo.
Confrontando i tassi di disoccupazione giovanile (25-29 anni) dell’anno 2020 in 11 paesi europei si può rilevare che il tasso di disoccupazione più basso è detenuto dai Paesi Bassi (4%) e il più alto dalla Grecia (27,20%). L’Italia si colloca al terzultimo posto (17,10%).
Un dato significativo per analizzare le condizioni occupazionali dei giovani italiani è il tasso di disoccupazione di lunga durata che considera quei giovani che stanno cercando lavoro da 12 mesi o più. La percentuale più alta di tale tasso è stata registrata nel 2014, in uno degli anni più difficili per il mercato del lavoro italiano che segnava l’apice di anni complessi. Il dato più aggiornato disponibile, quello del 2020 (che considera quindi alcuni mesi della pandemia) registra percentuali simili a quelle del 2010, ma è chiaro che la lunga durata di disoccupati causati dalla crisi pandemica non può essere colta prima del 2021 e degli anni successivi, dei quali non si dispongono ora i dati.