Manager: nell’emergenza una “sicurezza” per i lavoratori

In questa fase di emergenza e crisi il maggior impegno è stato parlare con i dipendenti e rassicurarli (69%). Nell’indagine AstraRicerche per Manageritalia e Cfmt tanti altri aspetti interessanti, anche in ottica futura. In vista della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, che promuove la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, questa è una buona notizia

QUALE ATTIVITÀ ha richiesto maggior impegno all’inizio della crisi per i manager? Parlare con i collaboratori per rassicurarli e spiegare le misure adottate dall’azienda. Lo indica il 69,1% dei manager e a seguire c’è la gestione della riorganizzazione del lavoro, le attività in presenza o a distanza dei collaboratori (63,8%). E, anche grazie a questo, la reazione dei lavoratori italiani all’emergenza sanitaria, trasformatasi quasi subito in emergenza anche sul lavoro, è stata più che buona. A detta dei manager, infatti, nelle due rilevazioni di fine marzo e metà aprile, la reazione dei lavoratori alle misure adottate dall’azienda, espressa con un voto da 1, pessima reazione, a 10, ottima, merita in media quasi un 8 (voto 7,55 nella prima rilevazione e 7,8 nella seconda). Anche la reazione alle notizie relative al coronavirus è positiva e sopra la sufficienza (voto 6,5 e 6,6, con 10 ottima reazione). Quindi, il livello di paura dei lavoratori risulta abbastanza contenuto (voto 6,1 e 6,6, con 1 per nulla impauriti e 10 molto impauriti). Questi i risultati di un’indagine, affidata da Manageritalia e Cfmt (Centro di formazione management del terziario) ad AstraRicerche, alla quale hanno risposto via web (CAWI), a fine marzo e poi nella seconda metà aprile, oltre mille manager di altrettante aziende, un campione rappresentativo delle aziende del terziario che hanno dirigenti.


«A riprova del fatto che imprese, imprenditori e manager devono – dice Guido Carella, presidente Manageritalia – trovare sempre più cittadinanza se il Paese vuole crescere, dall’indagine emerge una forte valorizzazione del ruolo che aziende e dirigenti hanno avuto e hanno nel mettere in sicurezza, in tutti i sensi, i collaboratori. E naturalmente questo avviene anche nelle aziende familiari, ma in quelle con una valida gestione manageriale è supportato, oltre che da umanità e impegno, da un metodo. Bisognerà tenerne conto nella ripresa e certo anche risolvere le ancora troppo ampie zone grigie della sicurezza sul lavoro, che con il diffondersi delle nuove tecnologie, dello smart working e di diversi modi e tempi del lavoro, amplia il suo campo di opportunità, ma anche di minacce».

Tutto questo è stato possibile per il velocissimo passaggio, da un giorno all’altro, a far lavorare da casa un’importante fascia della forza lavoro. Il telelavoro, adottato per tutelare la salute dei lavoratori e favorito da una maggiore flessibilità normativa, è stato preso in considerazione da tantissime aziende (84%), anche se non per tutti i lavoratori. In molti casi (38%) ha riguardato anche persone che non lo avevano mai fatto prima. Solo nel 16% delle aziende non lo si è potuto fare, anche solo parzialmente. E tantissimi sono i manager che intravvedono, una volta finita la crisi, l’opportunità di ampliarlo passando a un vero smart working foriero, dicono, di vantaggi per il benessere delle persone (87%) e la produttività delle aziende (69%). Certo, servirà anche cambiare l’organizzazione.

Gli intervistati hanno un vissuto profondo e vero di questa crisi, seppure variegato per settore, business e livello di operatività attuale della loro azienda. In particolare, parliamo di manager le cui aziende oggi sono: aperte con tutte le attività in smart working (40%); aperte parzialmente con attività svolta in parte in sede e in parte in smart working (28%); aperte o quasi continuando le attività core (17%); chiuse o quasi con attività core business ferme (15%). Quindi, sono tutti sul “campo di battaglia”, infatti, anche nel caso di aziende chiuse, stanno lavorando come e spesso più di prima.

La crisi, ci dicono i manager che la stanno vivendo in diretta e sul campo, ha insegnato: che i lavoratori sono più vicini e affezionati alle aziende di quanto si pensi (42%) e che le aziende sono più resilienti di quanto si dica (39%).

Insomma, questa crisi è stata un bello stravolgimento di tante, troppe certezze, sfumate dalla sera alla mattina. Ma i manager erano pronti? Sì, nel 61% dei casi erano pronti ad affrontare una sfida come quella posta dall’emergenza coronavirus. E, anche grazie a questo, oggi più che mai si sentono punto di riferimento per il team (88%), di poter dare il meglio in situazioni così difficili (82%) e più apprezzati dai collaboratori rispetto a prima della crisi (53%).

Importante, in un frangente come questo, essere e fare il coach e quindi tenere i team motivati. Come? I nostri manager lo stanno facendo con tecnologia e umanità: contatto personale (76%); riunioni a distanza del team (69%); contatti personali via email; istant messaging (47%); maggiore disponibilità all’ascolto anche di problemi personali (38%); comunicazioni differenti dal passato per modi, approcci e canali (24%); utilizzo di intranet per comunicare e interagire (22%).

«Per noi e la nostra formazione – dice Pietro Luigi Giacomon, presidente del Centro di formazione management del terziario (Cfmt) – c’è una forte conferma del valore della formazione e dello scambio culturale tra manager per apprendere e sviluppare best practice e modelli. È anche grazie alla formazione se i manager hanno saputo gestire al meglio questa situazione estremamente complessa e difficilmente prevedibile. L’aver garantito e potenziato un vasto programma di formazione online durante il lockdown è stato, come confermano le elevatissime partecipazioni, un modo per integrare e upgradare la capacità di reagire e gestire dei manager».





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