Puntiamo su formazione e reskilling

Impegnamoci ad accompagnare il lavoratore lungo un percorso di riqualificazione professionale, difendendo la sua persona invece del suo posto di lavoro

Va riconosciuto lo sforzo fatto dal Governo negli ultimi mesi nell’adottare strumenti innovativi per dare risposte certe e durature nel tempo a imprese e ai lavoratori che dovranno cercare e/o cambiare azienda o settore, con appropriati percorsi di riqualificazione e assistenza economica.

È stato introdotto il Programma Garanzia di occupabilità dei lavoratori (GOL), finalizzato a incentivare l’inserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza, dei disoccupati percettori di NASpI, dei lavoratori in cassa integrazione in transizione attraverso politiche attive basate sulle specifiche esigenze.
Confidiamo che abbia l’impatto sperato il
Fondo Nuove Competenze per la riqualificazione dei lavoratori, una sorta di ponte tra politiche attive e passive che va nella giusta direzione di integrazione tra i due sistemi, rappresentando uno strumento del tutto innovativo e una valida alternativa sia ai licenziamenti sia alla collocazione dei lavoratori in cassa integrazione. Ricordiamo che, anche grazie al contributo di Manageritalia, è stata prorogata al 30 giugno 2021 la scadenza entro la quale i datori di lavoro dovranno sottoscrivere gli accordi collettivi per la rimodulazione dell’orario di lavoro e presentare le domande di contributo ad Anpal.


Anche nel campo della formazione
le organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori possono fare molto per migliorare l’occupabilità e i fabbisogni formativi di questi ultimi, anche attraverso i fondi bilaterali o quelli interprofessionali.

La strada tracciata dalla misura del Fondo Nuove Competenze è la strada giusta da percorrere, ma bisogna spingersi oltre. Per le micro e piccole imprese essere sollevate dal costo del lavoro è importante, ma non è sufficiente, occorre sollevare le aziende anche dai costi della formazione.

Lo Stato deve facilitare e agevolare la partecipazione degli enti bilaterali e dei Fondi paritetici interprofessionali alla misura del FNC. D’altra parte aziende e lavoratori già pagano la contribuzione dello 0,30% ai fondi per la formazione interprofessionale e i contributi contrattuali ai fondi bilaterali. È giusto quindi che questi possano effettivamente intervenire per erogare o finanziare le azioni formative necessarie.
In aggiunta
occorre poi prevedere una forma di incentivo fiscale per i lavoratori che investono le proprie risorse economiche nel rafforzamento delle competenze sia in ottica di aggiornamento che di formazione continua, o anche di formazione specialistica in chiave 4.0. Come vengono giustamente incentivati i contributi verso le forme integrative previdenziali e sanitarie, allo stesso modo dovrebbero essere trattate sul piano fiscale le spese sostenute dai lavoratori per lo sviluppo delle competenze e la crescita professionale.

Dovrebbe valere sempre, ma soprattutto in tempo di pandemia, il principio per cui sia necessario accompagnare il lavoratore lungo un percorso di riqualificazione professionale, difendendo la sua persona invece del suo posto di lavoro. Anche per togliere ogni alibi al sistema produttivo, ribaltando il concetto che sia il costo del lavoro il problema invece dell’investimento per una manutenzione del lavoro qualificato nei settori in crescita.

La sfida è molto difficile e riguarda tutti: le imprese, che devono insistere sulla riqualificazione dell’attuale forza lavoro; i lavoratori, che devono continuamente aggiornare le proprie competenze in maniera trasversale; il sistema educativo che deve adeguarsi con piani formativi coerenti con le evoluzioni del mondo produttivo; infine, i governi, che devono creare un ambiente adeguato a questi cambiamenti con politiche efficaci.

Servono investimenti e riforme serie, con proposte chiare e dettagliate, guardando alle prossime generazioni. Nessuna occasione per il rilancio deve andare sprecata.
C’è da augurarsi che il prossimo anno sia quello giusto per il definitivo
concreto avvio delle politiche attive del lavoro che devono essere studiate a partire dai bisogni della persona in un contesto da considerare per sua natura ormai mutevole, sottraendo gradualmente risorse a quelle passive.

Il nostro Paese spende risorse comparabili a quelle dei grandi Paesi per gli ammortizzatori sociali, ma abbiamo scelto di impegnarli in trasferimenti di reddito e incentivi monetari, pochissimo per i servizi.
A fine marzo possiamo scegliere di mettere una toppa all’italiana e rinviare la soluzione al problema oppure aprire il cantiere delle riforme sul tema più sentito: il lavoro. Questo davvero sarebbe il vero driver per quel rinascimento che aspetta l’Italia.

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