Welfare: storia e futuro del benessere delle persone

Si deve a William Beveridge, con il suo famoso rapporto uscito 80 anni fa, di avere posto le basi del moderno e universale welfare state: lui e Bismark ne sono gli ideologi, nonché, in parte, suggeritori anche di quello contrattuale e aziendale, così come lo conosciamo oggi

Le basi dello Stato sociale e del welfare, come lo conosciamo noi europei oggi, nascono nel novembre 1942 con la pubblicazione in Inghilterra del Rapporto Beveridge. È vero che di welfare si era già parlato e portato al compimento con Bismark, ma quello era un modello riferito a categorie, quindi non universale e garantito a tutti, oltre ad essere gestito con logiche assicurative. Beveridge, invece, delinea una rivoluzione copernicana per il welfare state britannico, a cominciare dall’obiettivo che le istituzioni così si assumono: garantire indistintamente a tutti i cittadini le condizioni per condurre “un’esistenza dignitosa”, finanziate principalmente con il gettito fiscale. Un obiettivo che, in piena era postbellica, il rapporto Beveridge inquadrava come rimedio e sconfitta dei “cinque giganti” identificati nel bisogno, l’ignoranza, la malattia, lo squallore e l’ozio. E fu così che la logica di Beveridge riconobbe ai cittadini, a tutti i cittadini, sempre più oltre ai diritti civili e politici, anche quelli sociali.

William Beveridge, nonostante fosse un economista di orientamento liberale, era sensibile alle riforme sociali e fu il principale autore di un rapporto, redatto da una Commissione per la riforma dell’assicurazione sociale. Il Rapporto Beveridge (formalmente intitolato Report on Social Insurance and Allied Services (Rapporto sulle assicurazioni sociali e sui servizi correlati), fu presentato nel dicembre 1942 e circolò in oltre 70.000 copie, diventando largamente popolare, nonostante il carattere tecnico del testo. Nel documento, dopo aver presentato i risultati di un’indagine sullo stato dei servizi sociali nel Regno Unito, Beveridge definiva le premesse teoriche per riforme sociali riguardanti assicurazioni, salari, previdenza, sanità. Tali riforme sarebbero state adottate nel dopoguerra, fra il 1945 e il 1951, dal Partito laburista.

Dopo quel rapporto di acqua ne è passata sotto i ponti e tanto è stato fatto in tema di welfare, soprattutto in Europa e in Italia. Un welfare troppo spesso misconosciuto nella sua natura di diritto universale, del quale abbiamo provato, proprio nella recente pandemia, l’indispensabilità e la forza.

Un welfare che con Beveridge era nato per riparare, ma che oggi deve sempre più preparare e prevenire, senza rinunciare alla protezione di base, spostando l’enfasi e le priorità dal rimborso dei danni alla prevenzione dei rischi e alla costruzione del futuro.

E quest’ultimo è sempre stato anche l’obiettivo del welfare contrattuale, almeno di quello che Manageritalia, antesignana, ha inserito nel Contratto collettivo dirigenti terziario sin dal 1946.

Un welfare contrattuale che è evoluto nel tempo sino ai più recenti accordi in temi di piattaforma welfare dirigenti terziario e politiche attive.

Un accordo che, primo tra tutti, mette in sinergia il welfare aziendale con quello contrattuale con un’apposita Piattaforma Welfare Dirigenti Terziario e promuove anche culturalmente il miglior utilizzo di entrambi per il benessere delle persone e la competitività delle aziende.

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