6 consigli per ricominciare dopo un insuccesso

Se vi interessa avere successo, dovreste chiedervi: Ho avuto abbastanza insuccessi per avere successo?

Ho notato che molte persone hanno una visione distorta del successo. La cosa non mi stupisce visto che, ancora oggi, la maggior parte delle scuole e delle organizzazioni premiano chi non sbaglia, cioè inculcano l’idea che il successo consista nell’evitare gli errori.

La verità però è che, nella vita, il successo è il “numero di iniziative andate a buon fine” e non il “numero di errori evitati” (un conteggio che nessuno fa). Se siamo cresciuti in contesti che stigmatizzavano l’errore e ponevano su di esso un’attenzione esagerata, crediamo che chi ci circonda sia intento a contare i nostri errori (segnandoli in rosso o in blu a seconda della gravità, come a scuola). In realtà, quasi nessuno ne tiene traccia per la semplice ragione che è complicato, faticoso e poco interessante. Detto in parole ancora più chiare: dei nostri tentativi falliti non importa quasi a nessuno. Come abbiamo visto, perfino di Abramo Lincoln, uno dei personaggi più analizzati della storia americana, ricordiamo la grandezza come presidente degli Stati Uniti e non tutti i guai e gli insuccessi personali.

Potreste, a questo punto, chiedervi se gli errori clamorosi, almeno quelli, non ci possano danneggiare. Premetto che per essere clamoroso un errore deve veramente aver avuto conseguenze gravi (il nostro imbarazzo ovviamente non conta) e questo, per fortuna, avviene di rado. La risposta è che tendiamo, nella maggior parte delle professioni, a sovrastimarne l’impatto dei nostri sbagli. I lavori in cui un errore può essere davvero grave sono una minoranza e i casi in cui effettivamente potrebbe verificarsi sono ancora meno (perché in quei lavori sono giustamente posti in essere molti controlli per evitarlo). Insomma, la paura di sbagliare, delle conseguenze e della visibilità dei nostri errori è più che esagerata da tutti noi. Sottostimiamo, invece, di parecchio le conseguenze negative di fare sempre le cose allo stesso modo, senza innovare, senza provare mai nuove strade che porterebbero sì a un maggior rischio di errori ma anche potenzialmente a un maggior ritorno.


Il numero di tentativi falliti, non completamente riusciti o che abbiamo dovuto abbandonare è però importante, ma forse non per le ragioni che vi aspettate. Come regola generale, infatti, il numero di errori è positivamente (non negativamente) correlato al successo: più si sbaglia (il che è già dimostrazione di un continuo provare e riprovare) e più si aumentano le probabilità di riuscire, quindi di avere successo.

La prima ragione è che gli errori possono essere fondamentali per apprendere, ma l’apprendimento non è garantito, come vedremo più avanti. Infatti, c’è chi impara di più e chi di meno dai propri errori.

La seconda ragione la spiego con un esempio numerico. Supponiamo, per semplicità, che il vostro tasso di successo soggettivo sia uno su dieci, cioè che dobbiate fare dieci tentativi per averne uno che vada a buon fine (per esempio, dovete chiamare dieci potenziali clienti per ottenere un ordine o mandare il vostro curriculum a dieci società di ricerca del personale per avere un colloquio). Ne consegue che dovete fallire nove volte (nell’esempio che stiamo facendo) per guadagnarvi il successo: quei fallimenti, potete vederla così, sono il prezzo da pagare per un successo. C’è naturalmente un caveat: bisogna che gli insuccessi siano “di qualità” cioè siano l’esito di tentativi nuovi, ben mirati e che permettano di apprendere qualcosa. Lo stesso errore ripetuto più volte non serve.

Vengo alla domanda chiave. Se vi interessa avere successo, dovreste chiedervi: “Ho avuto abbastanza insuccessi per avere successo?”. In altre parole, bisogna essere onesti con se stessi e chiedersi se si è “saldato il conto” degli insuccessi necessari o se si sta solo sperando di non dover pagare nulla per ottenere il successo. Se, come molti, vi preoccupate quando incassate insuccessi, suggerisco di ribaltare la prospettiva. Sono gli insuccessi che non avete avuto che dovrebbero preoccuparvi.


Certo che l’insuccesso brucia, ma ciò che brucia è anche una fonte di luce. Prima di dire come fare per utilizzare gli insuccessi a nostro favore, dobbiamo però rivalutarli ripetendoci tre cose che di solito non insegnano né a scuola né dopo.

1. Sono la dimostrazione che siamo usciti dalla comfort zone. Chi ha commesso un errore “nuovo” ha provato a fare qualcosa che non sapeva fare o non sapeva fare alla perfezione (e questo per definizione, altrimenti non l’avrebbe sbagliata). Gli errori succedono infatti fuori dalla propria comfort zone: se avete commesso un errore, vuol dire che vi siete avventurati (o vi hanno spinto) fuori. Le cose interessanti e l’apprendimento vero stanno lì, quindi, volenti o nolenti, siete finiti nel posto giusto.

2. Sono i migliori maestri. Molto spesso fallire vuole anche dire aver imparato o, almeno, capito qualcosa. Quando Jack Welch, lo storico Ceo di General Electric, dichiarò in un’intervista che uno dei suoi punti di forza era saper prendere le decisioni giuste, aggiunse che aveva imparato a farlo “prendendone di sbagliate”. Pensavate si potesse imparare sui libri?

3. Servono a mappare il territorio. Gli insuccessi ci dicono anche dove non avventurarci. Ma se non ci fossimo spinti oltre (a rischio di errori e insuccessi) avremmo finito per disegnare una mappa talmente piccola da essere poco utile.


Vorrei aggiungere che agli insuccessi viene troppe volte attribuito un significato che va molto oltre il reale. In realtà, sono per la maggior parte solo tentativi non andati secondo le nostre speranze e previsioni.


ESTRARRE VALORE DAGLI INSUCCESSI

Imparare dagli insuccessi non avviene in automatico, cioè non basta passare alla cassa e riscuotere. Gli errori devono essere analizzati in modo costruttivo e neutro, come se l’errore lo avesse commesso un altro, affinché diventino fonte di apprendimento. Purtroppo, invece, tendiamo ad avere un atteggiamento poco obiettivo nei confronti dei nostri insuccessi: o li sottovalutiamo o li sopravalutiamo. Se li sottovalutiamo (“Non è stata colpa mia”; “Chiunque avrebbe sbagliato”), non ci pensiamo abbastanza in termini critici per trarne le opportune lezioni. Viceversa, se li drammatizziamo, finiamo per autofustigarci e minare la nostra autostima senza imparare granché.


È comprensibile sentirsi insicuri dopo un insuccesso. Ciò non toglie che possa esservi stato utile, per varie ragioni, che magari comprenderete pienamente soltanto quando arriverà il successo e, guardando indietro, capirete il ruolo fondamentale di quell’errore per la vostra formazione personale. La relazione tra successo e insuccesso è infatti ben più complessa di un binomio tra opposti. Abbiamo visto che non solo l’insuccesso è il prezzo da pagare per apprendere e avere successo, ma anche che il successo si costruisce sull’insuccesso che ci ha “aperto gli occhi” (e, viceversa, che l’insuccesso, a volte, nasce da successi che, invece, gli occhi ce li hanno bendati o accecati).

Basandomi sulla mia esperienza di coach, ho elaborato sei consigli per chi ricomincia dopo un insuccesso.


1. Accettare quello che è accaduto. È impossibile avanzare senza aver superato gli eventi passati. Indipendentemente dal fatto che abbiate o meno contribuito all’insuccesso (a volte è la sorte a determinarlo), la prima cosa da fare è prenderne atto. I ragionamenti alla Sliding Doors (il famoso film in cui la storia si sdoppia sulla base del fatto che un certo evento si sia verificato o meno), cioè quelli in cui si continua a rimuginare su come sarebbero potute andare le cose se un certo accadimento non fosse avvenuto, drenano energia e intrappolano nel passato, riducendo le nostre possibilità di successo future. Se non accettiamo l’insuccesso, finiamo per creare un mondo alternativo, sospeso nel tempo, nel quale l’insuccesso non si è ancora manifestato e possiamo ancora cambiare il corso degli eventi. Questo limbo fatto di “se” (“Se fossi riuscita a farmi apprezzare dai miei capi”; “Se fossi riuscito a prendere una grande commessa” eccetera) è pericoloso come le sabbie mobili: ci risucchia lentamente e inesorabilmente. Questo primo e indispensabile passaggio poggia su tre pilastri:


Accettare l’insuccesso non significa accettarlo per il futuro. L’insuccesso è un accadimento del passato, non è il vostro destino né il vostro karma.


Ricordare che l’insuccesso è una tappa del percorso. Gli insuccessi non sono che tappe di un cammino che è come la Via della Seta: ogni tanto bisogna fare delle deviazioni o anche tornare indietro per alcuni tratti, perché il percorso non è mai lineare. L’importante, però, è avere la bussola per non perdersi.


Non fermarsi. Provate a tracciare il resto del vostro percorso, da adesso in poi. Tracciate una mappa che porti all’obiettivo (chissà quante volte dovrete cambiarla, ma non importa), pensate alla strada che avete davanti e ripartite. Ripartite sempre.


2. Accettare anche le emozioni. Cercare di mandarle via non serve. Vanno accettate tutte, compresa la vergogna e la rabbia, ma con un importante paletto: non lasciare a loro il controllo della nostra mente. Siete demoralizzati per un insuccesso? Succede a tutti, ci mancherebbe, accettatelo. Vi sentite impotenti per quello che vi è capitato? È inutile dirsi che non dovreste esserlo. Quello che importa è riprendere il controllo, non restare paralizzati come il cerbiatto abbagliato dai fari.


3. Non permettere all’insuccesso di definire la propria identità. Noi siamo molto di più dei nostri insuccessi e anche dei nostri successi, se è per quello. Entrambi sono solo episodi di una storia che evolve, cambia direzione, ricomincia. Winston Churchill diceva: “Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta”. È vero che a volte sono gli altri che ci “marchiano” sulla base di quello che, ai loro occhi, è un insuccesso: una bocciatura a scuola, non essere riusciti a entrare in una certa università, non essere stati selezionati da un’azienda, non aver fatto carriera o aver divorziato. Talvolta chi lo fa non si rende conto di poterci condizionare negativamente fino ad annientare la nostra autostima. Ciò che possiamo fare, però, è difenderci (prendendo le distanze da queste persone), corazzarci e ricordare le parole di Eleanor Roosevelt: “Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso”.

4. Fare l’autopsia dell’insuccesso. Abbiamo a questo punto un insuccesso che dovrebbe essere cadavere (se invece sta ancora “scalciando”, consiglio di tornare ai punti precedenti). Dobbiamo analizzarlo, cercando di separare fatti, opinioni ed emozioni e di mantenere obiettività. Se riusciamo a vedere gli accadimenti dal di fuori, con un po’ di distacco, sarà più facile identificare cause, concause, effetti e trarne delle lezioni.

5. Parlarne. Le cose di cui non osiamo parlare acquisiscono su di noi un potere molto maggiore di quello che dovrebbero avere. Non suggerisco di parlare dei propri insuccessi con tutti, ma farlo almeno con le persone di fiducia serve a sdrammatizzarli, a esorcizzarli, a ricevere sostegno e, in definitiva, a voltare pagina.

6. Riprovarci. Prima che la paura prenda il sopravvento, provate di nuovo, fate qualcosa. Per nessun motivo dovete permettere al timore dell’insuccesso di fermare la vostra avanzata verso il successo.


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Testo tratto da Il magico potere di ricominciare, Odile Robotti, Mind Edizioni.

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