7 condizioni per essere leader inclusivi

L’inclusione è la pietra filosofale della leadership: permette di trasformare le risorse umane nella migliore versione di se stesse. Per crearla bisogna soddisfare alcune condizioni, ma poi serve l’alchimia

La capacità di includere, cioè di accogliere, coinvolgere e ingaggiare persone diverse, è diventata una competenza indispensabile per i leader. Ma cosa significa esattamente essere un leader inclusivo?

Ci sono 7 condizioni che costituiscono un prerequisito indispensabile.

1. Sapere che l’inclusione richiede spirito d’iniziativa ed energia.
L’inclusione non si realizza semplicemente trattando tutti allo stesso modo. L’approccio a “taglia unica” non funziona perché, per essere realmente incluso, ognuno necessita di qualcosa di diverso per essere messo in condizione di dare un contributo. Per illustrare il concetto, faccio un esempio. Agli studenti stranieri che arrivano in un paese di cui non conoscono la lingua si offre il corso di lingua, che a chi è madrelingua non serve. Agli studenti i cui studi precedenti non hanno dato alcune nozioni indispensabili per seguire le lezioni si offrono i cosiddetti pre-corsi nelle materie che non conoscono, inutili per chi le ha già studiate.

Infine, il bravo insegnante incoraggia gli studenti introversi a parlare (senza intimidirli), cosa che non fa con gli studenti estroversi. L’idea è di attivare il potenziale delle persone con interventi su misura, nel convincimento che lo sforzo paghi perché da tutti può venire uno stimolo utile per tutti. Insomma: se vogliamo che persone differenti tra loro siano ingaggiate, partecipino e contribuiscano, serve proattività e fattività.

2. Accettare che il giudizio sulla nostra inclusività non lo diamo noi.
L’unico giudizio valido del nostro grado di inclusività è quello delle persone diverse. Esattamente come la soddisfazione del cliente si valuta chiedendo al cliente, anche nel caso dell’inclusione conta il risultato: le buone intenzioni non fanno fare punti.

3. Riconoscere che la consapevolezza è meglio del negazionismo.
Può dispiacere ammetterlo, ma alcuni istinti “primordiali” e alcune distorsioni cognitive umane ostacolano l’inclusione. Sono limiti dimostratamente superabili, purché ne siamo consapevoli, non li nascondiamo e ci impegniamo a migliorare. Un leader che nega di avere mai avuto pregiudizi probabilmente non si è analizzato molto a fondo e non incoraggia certo gli altri a parlare apertamente dei propri e a cercare aiuto per contrastarli.

4. Essere preparati.
L’inclusione è un argomento fintamente facile da padroneggiare. È errore comune credere che non serva una competenza specifica per parlarne e che basti il buon senso. Non è così: esistono dati, una letteratura scientifica, una conoscenza accumulata, delle buone prassi e delle tecniche per superare gli ostacoli all’inclusione.

5. L’inclusione richiede convinzione.
Come in altri campi, convincimento tiepido e incertezza dei leader nel comunicare quello in cui credono hanno un effetto negativo moltiplicativo perché “screditano”. Le persone sono rapide nel riconoscere le dichiarazioni vere da quelle “cosmetiche” e le violazioni che avranno conseguenze significative da quelle che evocheranno un semplice richiamo. “Sposare a metà” l’inclusione la danneggia perché la colloca nel limbo delle cose che possono essere ignorate o rimandate.

6. Non aspettarsi che le persone diventino inclusive per ordinanza.
Lo diventano, anzitutto, capendone il razionale e non solo da un punto di vista morale. Il business-case (ormai conclamato) a favore dell’inclusione deve essere chiarito a tutti. La seconda molla per diventare inclusivi è vedere intorno a sé buoni esempi e azioni coerenti con le dichiarazioni, soprattutto da parte dei leader. Infine, la formazione può aiutare suggerendo pratiche e strumenti per espandere la propria capacità di inclusione, che per fortuna non è fissa e si può allenare.

7. Capire che la responsabilità dell’inclusione è nostra.
Nel film d’animazione A Bug’s Life, divertente metafora organizzativa di Disney Pixar, il grillo impartisce una lezione di responsabilità alla formica leader. Questa, accusata di un errore non commesso in prima persona, esclama: “Ma non è colpa mia!”. Il grillo prontamente la riprende: “Prima regola della leadership: tutto è colpa tua”. Intende che, quando siamo leader, dobbiamo farci carico degli errori delle persone che coordiniamo perché, all’evidenza, non li abbiamo saputi evitare.

L’inclusione non fa eccezione: è compito del leader assicurare che sia conosciuta e praticata ed è sua responsabilità se questo non avviene. Conviene quindi che il leader tenga gli occhi ben aperti e vigili, come certamente fa per le cose che contano.

Purtroppo, queste che ho elencato erano solo le condizioni necessarie, ma non sufficienti. Affinché l’inclusione sia la pietra filosofale che permetta a tutti di esprimere il proprio massimo potenziale occorre infatti conoscere l’alchimia. Questa ha la funzione fondamentale di far sentire le persone diverse, veramente accolte per come sono.

È l’arte magica di mescolare senso di vicinanza e di interconnessione tra persone, con rispetto, comprensione, sincero apprezzamento e interesse per il prossimo.

Mentre i leader possono essere informati e formati per soddisfare le sette condizioni che ho elencato, essere alchimisti non si può insegnare. Per fortuna, non ce n’è quasi mai bisogno: è una capacità autenticamente umana.

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