“Tu chiamale, se vuoi, emozioni”, cantava Lucio Battisti nel 1970. E in effetti il senso del marketing emozionale sta tutto qui, e non è poco. Il neurologo Donald Calne ci ricorda che l’emozione porta all’azione, la ragione alle conclusioni; gli psicologi ci spiegano che nella grande maggioranza dei casi le persone prendono decisioni spinte per l’80% dalla loro parte emotiva e per il 20% da quella razionale: le scelte sono il frutto delle emozioni che un brand è in grado di far provare alle persone.
È evidente, quindi, che sono una concreta opportunità per entrare in contatto con i consumatori ma anche con i clienti, perché anche nel settore B2B un approccio emozionale al marketing del brand porta a risultati positivi. Le persone vanno emozionate, non convinte.
Nel 2019 connettersi all’emotività del proprio pubblico per un brand non è più un’opzione, è una necessità se si vuole emergere, e non è cosa facile, perché richiede una trasparenza totale. Ogni progetto di marketing emozionale è profondamente diverso dall’altro, difficile individuare uno schema. Ci sono alcuni passaggi, però, da cui non si può prescindere in nessun caso.
1. Ricercare il DNA del brand.
Non esiste azienda (e vale anche per il mondo del B2B) che non abbia una parte emozionale da far emergere, bisogna “solo” trovarla, e non è mai un lavoro banale.
È necessario, quindi, capire a fondo l’identità di quel brand, la sua essenza. Oggi comunicare vuol dire mettersi a nudo, non si può prescindere dall’essere autentici: se fingi sei spacciato, il pubblico lo capirà in men che non si dica. Per questo chi si occupa di marketing deve trovare il modo di entrare in contatto profondo con il brand per cui lavora, per individuarne i valori più autentici e poi comunicarli.
2. Conoscere il proprio pubblico.
Oggi al centro di qualsiasi progetto di marketing c’è il consumatore/cliente: quello che fa quotidianamente, ciò che pensa, quello che desidera non è solo rilevante, è fondamentale. Per conoscerlo dobbiamo senza dubbio avvalerci degli strumenti che la tecnologia ci offre, l’intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante, migliorando in modo esponenziale la conoscenza del mercato e delle persone, ma da sola non basta. Perché? Perché continuiamo a parlare di emozioni, la nostra indagine non potrà essere solo “quantitativa”, dovrà essere anche “qualitativa”. Non dobbiamo basarci solo sull’ intelligenza artificiale dunque, ma anche su quella emotiva.
3. Individuare i punti di contatto con il pubblico di riferimento.
Oggi, sempre di più, il marketing deve essere umano. Dobbiamo capire quali sono i punti di contatto tra il Dna del brand, che abbiamo precedentemente individuato, e il pubblico di riferimento, che abbiamo imparato a conoscere a fondo, quali le passioni e i valori che li accomunano. Dobbiamo creare un contatto diretto con le sue abitudini.
4. Creare empatia con il pubblico
Il brand dovrà diventare un valore aggiunto nella vita delle persone. Bisogna trovare un modo (e non ce n’è uno universale perché ogni brand è diverso e le persone a cui si rivolge sono diverse) per connettersi con le emozioni del consumatore/cliente, per mostrare di averne compreso le esigenze.
5. Coinvolgere le persone.
Questa è una fase cruciale: è il momento in cui il consumatore/cliente smette di ricevere passivamente un messaggio e diventa parte attiva del progetto, diventa un partner del brand.
Bisogna coinvolgere il pubblico; sentendosi parte di qualcosa di cui condividono i valori, le persone diventeranno i più importanti comunicatori di un brand, dei veri e propri brand ambassador. Un esempio? Creare esperienze (reali o anche virtuali) in cui le persone possano sentirsi protagoniste.
6. Interagire
Dal momento in cui con il consumatore/cliente si crea un rapporto di scambio e di stima reciproca, è evidente che l’interazione deve essere continua: il nostro pubblico/partner parla del nostro brand e ne parla all’interno dei nostri canali (non solo online, sono importanti anche quelli offline) e non si deve sentire trascurato, perché da nostro ambassador più importante potrebbe trasformarsi nel nostro più strenuo detrattore. Il rapporto a doppio senso che abbiamo creato è rischioso da questo punto di vista, l’interazione con il consumatore/cliente è molto delicata, dobbiamo ricordarci sempre che stiamo lavorando sulle emozioni.
7. Creare una comunità
Se si lavora bene su tutti i punti precedenti la comunità viene da sé: il consumatore/cliente che diventa partner entra automaticamente a far parte della comunità di un brand. Si diventa tutti narratori della stessa storia condivisa, della stessa esperienza. Non c’è più confine tra il brand e le “sue” persone, il brand si fa promotore di un’emozione condivisa da entrambe le parti ed entrambe sono voci narranti di quell’emozione.