Lei è direttore del Master Universitario in Intelligence. Come e perché l’intelligence è materia di studio e oggi ancor più di ieri?
È indispensabile ora più di ieri perché l’eccesso delle informazioni da un lato e l’avvento dell’intelligenza artificiale dall’altro stanno sconvolgendo non solo l’ordine mondiale ma le prospettive delle nostre vite. Appunto per questo è fondamentale individuare le informazioni rilevanti che fanno comprendere la realtà e anticipare le tendenze del futuro.
Il suo ultimo libro si Intitola “Intelligence e Magistratura”, quali sono oggi i nessi e i rapporti tra intelligence e magistratura?
Il sottotitolo spiega tutto: “Dalla diffidenza reciproca alla collaborazione necessaria”. Per anni l’intelligence è stata considerata come il luogo oscuro dello Stato mentre adesso viene invocata come strumento indispensabile per contrastare il terrore. Occorre essere consapevoli che lo scontro tra Stato e Antistato è così violento che tutte le istituzioni pubbliche devono fare fronte comune contro i nemici della democrazia, criminalità in primo luogo.
Cosa dovrebbe cambiare?
L’approccio culturale, poiché il rapporto tra intelligence e magistratura va collocato correttamente nell’equilibrio tra esecutivo e giudiziario. Nella collaborazione tra questi poteri si realizza il senso profondo della democrazia, che altrimenti si riduce a una procedura elettorale priva non solo di anima e soprattutto di sostanza.
I risultati dell’intelligence sono un’arma a doppio taglio, dove sta il confine tra lecito e illecito?
Nell’individuare l’interesse nazionale. Non a caso il presidente Francesco Cossiga riferendosi alle indispensabili attività dell’intelligence per tutelare la ragion di Stato invitava a riflettere sulla legalità dei fini e la legittimità dei mezzi.
Rendere pubblici i risultati dell’intelligence è giusto e, nel caso, quando e con differenze a seconda del ruolo che ricopre l’interessato?
Le attività dell’intelligence sono sottoposte al legittimo controllo parlamentare. Pertanto, nelle grandi linee, sono conosciute alla pubblica opinione attraverso la relazione annuale e, nelle iniziative specifiche, dallo stesso Comitato e dal Presidente del Consiglio, che ne è il responsabile, oltre che dai ministri coinvolti e dai magistrati a cui attiene il compito di autorizzare preventivamente alcune condotte degli operatori.
Oggi siamo tutti spiati per la notevole massa di dati che sono rilevati su tantissime delle nostre azioni quotidiane, questo è un bene o un male?
La circostanza che “Google ci conosce meglio di nostra madre”, poiché registra tutte le nostre interrogazioni sul web, e che bastano meno di 80 like per definire il nostro profilo su Facebook è un dato di fatto. Che sia un bene è discutibile, qualche volta può essere utile per prevenire, o più spesso spiegare a posteriori, alcuni comportamenti che impattano sulla sicurezza nazionale.
Da semplici cittadini come dovremmo porci verso l’intelligence?
Dovremmo utilizzarla come indispensabile strumento per difenderci dalla società della disinformazione dove, attraverso l’eccesso delle notizie, veniamo distratti dalla comprensione della realtà per diventare addomesticabili consumatori e distratti elettori. L‘Intelligence, aiutandoci a selezionare le informazioni rilevanti, è a tutti gli effetti un metodo di legittima difesa.
L’intelligence è anche uno strumento manageriale oggi ancor più indispensabile a fronte di uno scenario che cambia sempre più spesso. Vero?
Certo: è uno strumento che aiuta a decidere attraverso la raccolta, l’analisi e l’utilizzo delle informazioni. Questo deve avvenire in modo molto rapido perché la velocità del cambiamento supera la nostra umana capacità di comprenderlo.
Oggi con i big data il tutto si complica ulteriormente, ampliando raggio d’azione e risultati potenziali. Come?
I big data rappresentano una sfida per tutta la società perché modificheranno il il nostro modo di pensare e di agire. Avere a disposizione quantità sterminate di dati, raggruppati in modo da assegnare loro qualità predittive, rappresenta un futuro che è già arrivato. Non a caso, una delle professioni più promettenti è quella del “data scientist”, cioè dello specialista dei dati che è in grado di interpretarli e utilizzarli, sommando competenze diverse sia umanistiche che scientifiche.
Ci sono figure manageriali che si occupano principalmente di intelligence sia a livello di giustizia sia a livello di business e in azienda?
Non può essere diversamente perché sia a livello di giustizia che nell’ambito aziendale i vertici non fanno altro che utilizzare il metodo dell’intelligence per il loro lavoro, sia per comprendere i fatti che per decidere di conseguenza.
Per un’azienda fare intelligence cosa significa e perché. Lo possono e devono fare tutte o solo quelle grandi?
Parlando di altro, Bill Gates ha dato la migliore definizione di intelligence: “Ho una certezza semplice ma incrollabile: il successo di una persona o di un’impresa dipende da come si raccolgono, analizzano e utilizzano le informazioni”. Come si vede, è uno strumento imprenscindibile. Ovviamente non solo per le grandi aziende ma anche per le piccole.
L’intelligence è sempre stata con altri nomi protagonista di romanzi e film di grande successo, ma noi nel concreto come dobbiamo immaginarcela?
In modo diverso dal primo James Bond, quello della “licenza di uccidere”. Per capire l’intelligence ci sono film e romanzi di grande valore. Tra i primi “Il fattore umano” di Graham Greene e “Tutti gli uomini di Smiley” di John Le Carrè; tra i secondi “Munich” di Steven Spielberg del 2005 e “Le vite degli altri” di Florian Henckel von Donnersmarck del 2006.
Lei che è un esperto dell’intelligence ne ha paura, rispetto o auspica ce ne sia addirittura di più?
Di più, migliore e per tutti.
Mario Caligiuri, direttore del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, sarà protagonista, con manager, imprenditori e professionisti, dell’incontro “Intelligence & Management, opportunità territoriali nell’era della globalizzazione” organizzato martedì 10 luglio a Napoli da Manageritalia Campania.