Oggi sul luogo di lavoro convivono quattro generazioni. Per un’azienda è un’opportunità o una minaccia?
«Non ho alcun dubbio che sia una gran bella opportunità. Vedere la nostra agenzia popolata da persone di generazioni diverse è una continua fonte di stimolo. Siamo una società di consulenza che fornisce servizi altamente qualificati in un’arena, quella della comunicazione d’impresa, attraversata da grandi cambiamenti e che diventa sempre più complessa. I nostri manager e le nostre persone più senior trasmettono esperienza, visione, attenzione alla qualità della delivery (che spesso è nei dettagli), mentre i più giovani portano in agenzia un’attenzione maggiore alla sostenibilità (economica, sociale, ambientale) e al benessere, oltre alla loro creatività e la capacità di cogliere le tendenze emergenti, skill che nella nostra professione sono sempre più rilevanti. Se mettiamo insieme questi aspetti, ne viene fuori un luogo di lavoro dove convivono alta qualità professionale e attenzione massima alle persone».
Si tratta di una situazione nuova, almeno in parte, rispetto al passato. Perché questa differenza oggi è così marcata?
«Nella nostra realtà abbiamo sempre assistito a un confronto tra generazioni diverse, tra profili senior e junior. Sicuramente questo scambio è oggi ancora più evidente, sia perché sono aumentate le generazioni a confronto nello stesso ambiente lavorativo, sia – e forse soprattutto – perché è aumentato il tasso di diversità fra generazioni rispetto a come vivono il mondo del lavoro. Ad esempio, dalla nostra esperienza sul campo rileviamo che, mentre i Baby boomer sono più focalizzati sulla stabilità e propensi alla carriera, i nostri Millennials danno grande valore all’equilibrio tra vita privata e professionale; i Gen Z, invece, sono molto attenti alle opportunità di crescita personale e a un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato all’ascolto e al rispetto delle diversità».
Da cosa si dovrebbe partire per far collaborare generazioni con visioni del lavoro differenti?
«Per assicurare collaborazione tra le persone, credo sia necessario mettere insieme ascolto e inclusione, formazione e flessibilità. Ed è quello che cerchiamo di assicurare nella nostra realtà. Quest’anno abbiamo condotto la nostra prima indagine sul clima aziendale, che ci ha permesso di definire una road map di iniziative per rendere la nostra agenzia sempre di più un bel posto dove lavorare. Abbiamo quindi iniziato il percorso per la Certificazione per la parità di genere (che contiamo di ottenere entro fine 2024) e ampliato i nostri programmi formativi andando oltre i temi più squisitamente professionali, ad esempio con i corsi sui bias inconsci (compresi quelli generazionali) e sulla leadership gentile. Nell’ottica di rispondere alla richiesta di migliorare il work-life balance, abbiamo introdotto i recharging day, per permettere alle nostre persone di prendersi una “pausa” rigenerante. Sul tema della genitorialità, assicuriamo oggi ai nostri neo-papà 5 giorni di congedo parentale in più oltre ai 10 previsti dalle normative attuali. E abbiamo dato continuità al nostro Inc@Work, un sistema di lavoro flessibile con full smart working, partito come progetto pilota nel 2020».
Qual è il ruolo dei manager nel far collaborare le diverse generazioni?
«È un ruolo di costante mediazione, di attenzione ai diversi bisogni e, allo stesso tempo, di aggiornamento continuo, perché le esigenze delle persone si evolvono nel tempo. E fa piacere vedere che questo ruolo da noi non è sulla carta, ma viene percepito e apprezzato dalle nostre persone, che nell’audit condotto quest’anno hanno espresso una valutazione molto positiva sull’attenzione al dialogo da parte dei nostri manager».
Quali strumenti sono utili e utilizzabili per avviare e dare slancio alla collaborazione?
«Metto la formazione al primo posto. Sia perché viviamo in un mondo che evolve velocemente, sia perché è in testa alle priorità nelle richieste dei lavoratori. La sfida è riuscire a integrare modelli formativi diversi: dalle competenze verticali e funzionali alle soft skill utili a generare un ecosistema lavorativo ispirato alla collaborazione e all’inclusione. Anche il reverse mentoring è funzionale a questo scopo, soprattutto se diventa parte di un modo quotidiano di lavorare insieme, perché introduce un concetto fondamentale che è alla base di un’efficace gestione di un team multigenerazionale: ciascuna generazione ha le sue competenze e tutti abbiamo qualcosa da insegnare e qualcosa da imparare, indipendentemente dall’età e dalla seniority».
Cosa cambia se la collaborazione avviene nel migliore dei modi o, al contrario, si arena?
«In un’azienda di pubbliche relazioni, in cui si lavora costantemente in team trasversali su diversi progetti, la collaborazione è un elemento chiave per assicurare consulenza e servizi di qualità. L’esperienza e la competenza professionale vanno accompagnate dall’apertura all’ascolto, al dialogo, al confronto. E anche dalla consapevolezza che la diversità è una ricchezza e che le contaminazioni, tra approcci e pensieri diversi, vanno alimentate e sostenute. Un gruppo di lavoro che guarda nella stessa direzione rende le persone più inclini a collaborare e a darsi una mano. Devo ammettere che il livello di collaborazione da parte degli INCers è davvero elevato e il clima che si respira, che è un po’ la nostra cifra stilistica, è davvero molto positivo. Lo confermano anche i risultati dell’audit interno: oltre l’80% delle nostre persone è soddisfatta e orgogliosa di lavorare in INC e per quasi 9 dipendenti su 10 INC è il posto dove poter essere sé stessi e lavorare bene».