Chester Elton è un influente consulente e formatore specializzato in cultura aziendale, motivazione e team building. Con Adrian Gostick ha fondato la società di formazione The Culture Works e scritto best seller come The Carrot Principle e The Orange Revolution, incentrati sull’applicazione dei “principio della carota”, una teoria che ha affinato collaborando con il management di grandi multinazionali, fino a diventare una celebrità a livello mondiale.
In Italia per presentare l’ultimo libro, Vince il migliore, passato da Roma per partecipare all’apertura del nuovo Tempio mormone – più precisamente della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, per cui ha fatto da missionario in Puglia e Sicilia tra il 1978 e l’80 – e tenere una lecture al Cfmt, occasione per incontrarlo e parlare dei tratti caratteristici del suo pensiero.
Cos’è il principio della carota, come si realizza?
La carota è la capacità di dare il giusto riconoscimento e la gratificazione alle persone. Una soft skill fondamentale, per chi guida un gruppo di lavoro. Un elemento da sviluppare e alimentare costantemente che dipende soprattutto dal fattore tempo: per dare riconoscimento e gratificare bisogna avere tempo per stare con le persone, per ascoltarle, per interagire con loro. Nel gruppo bisogna creare un clima favorevole all’interazione reciproca. Molti manager non riescono a dedicare abbastanza ai collaboratori e finiscono per essere impositivi.
Si può quindi usare la carota senza ricorrere al bastone?
Si! È possibile farlo quando si è capaci di dedicare attenzione alle persone nella loro complessità, considerandone l’individualità prima che il ruolo professionale. Per riuscirci bisogna conoscere le persone, entrarci in sintonia, relazionarsi con loro in maniera personalizzata. Solo così diventa possibile condividere reciprocamente una missione a una responsabilità. E quando c’è la responsabilità il bastone non serve perché il bastone è la responsabilità.
E la gratificazione?
La gratificazione non deve essere considerata solo come un premio formalizzato, come una cosa eccezionale. La gratificazione può essere un gesto semplice, come un ringraziamento o un riscontro non standardizzato. L’importante è che sia tempestivo e personalizzato. La gratificazione non va rimandata pensando di poterla accorpare con altre gratificazioni nel futuro. La gratificazione è quello che, quotidianamente, rende più o meno felici le persone. E siccome trascorriamo buona parte del tempo lavorando, è importante rendere felici le persone nella quotidianità. Sta qui la differenza tra un buon manager e un eccellente manager: far sentire le persone soddisfatte del proprio lavoro, giorno dopo giorno. L’ideale sarebbe dare gratificazione e riconoscimento in modo costante e in presenza. Se questo non è possibile ci sono comunque tanti modi per comunicare, per esempio inviando un messaggio vocale.
A proposito di messaggi vocali, qual è il ruolo delle tecnologie all’interno di gruppi di lavoro formati da persone di diverse età che comunicano in modo differente?
Con l’invecchiamento della popolazione e l’allungamento dell’età lavorativa oggi – e ancora di più domani – si trovano a convivere in azienda fino a quattro generazioni diverse, ognuna delle quali è caratterizzata da un modo diverso di comunicare, sia nelle forme sia nei contenuti. Chi guida un team intergenerazionale, almeno nei rapporti individuali, deve usare con ciascuno lo strumento più appropriato, adottando una strategia multicanale. Con i giovani, per esempio, bisogna essere brevi e rapidi.
Qual è il modo migliore per guidare un gruppo eterogeneo, che magari lavora a distanza?
Secondo la vecchia scuola bisognava sentire spesso i collaboratori, parlarci al telefono appena possibile. È così anche oggi: sentirsi a voce è importantissimo. Con le videochiamate poi, è possibile vedersi in faccia: un’opportunità che andrebbe colta, se si hanno colleghi a distanza, anche solo per un saluto di pochi minuti, non necessariamente durante una riunione programmata. Con i giovani, invece, vanno bene le comunicazioni asincrone, gli audio e i video registrati. I millenials spesso preferiscono questa forma di relazione alla classica telefonata o alla videoconferenza perché, anche se sono sempre connessi, la percepiscono come meno vincolante.
L’asincronia spesso si accompagna alla frammentazione delle comunicazioni: come influisce questo fenomeno sul lavoro dei gruppi che lavorano in presenza?
Lavorare in presenza offre l’occasione per costruire relazioni dirette: ci si può incontrare di persona, mangiare insieme, conoscersi a fondo. Senza il filtro delle tecnologie, però, dobbiamo essere più attenti e presenti con chi ci sta di fronte e non sempre ci riusciamo, anzi… Il flusso di dati di cui siamo parte tramite gli smartphone ci distrae costantemente. Ecco perché oggi, in molte aziende, durante le riunioni non si possono usare device. Dai capi ai junior, tutti sono invitati a tenere in tasca il telefono e, di conseguenza, a focalizzarsi solo su quello che si sta facendo. Una cosa positiva perché le riunioni durano meno e sono più efficaci. E il tempo risparmiato può essere dedicato al riconoscimento e alla gratificazione, cioè alla carota.