Comunicazione e comunicatori: a tu per tu con Giulio Dellavite

Monsignor Giulio Dellavite, segretario generale della Curia, addetto stampa e autore di diverse pubblicazioni di diritto canonico, si confronta con noi sulle linee guida per chi fa della comunicazione la sua professione. Un approfondimento che si inserisce nell’attività dell’Area Comunicatori di Manageritalia Executive Professional, che ha appena lanciato una survey per fare il punto su prospettive, sfide e opportunità di questo ruolo strategico

All’interno delle iniziative volte a comprendere il futuro della comunicazione e dei comunicatori, l’Area Comunicatori di Manageritalia Executive Professional ha lanciato un’indagine realizzata da AstraRicerche, in collaborazione con COM&TEC e tekom Europe.

Per approfondire prospettive e sfide in questo ambito strategico, abbiamo raccolto il punto di vista di Monsignor Giulio Dellavite, segretario generale della Curia, addetto stampa e autore di diverse pubblicazioni.

Cosa è cambiato e/o sta cambiando di determinante nella comunicazione oggi e in ottica futura?

«C’è in atto un cambiamento letteralmente copernicano, secondo me: non è più la terra-notizia ciò a cui tutto gira intorno, ma c’è un’energia “solare” che determina una galassia di corpi, interrelazioni, influenze che dà nuove prospettive, nuove percezioni, nuovi punti di vista, nuove frontiere, molte delle quali sconosciute e tutte da scoprire. Nel mio orizzonte tutto questo ha una valenza rivoluzionaria. La Chiesa – mi sia concesso uno sguardo alternativo insolito – può essere secondo me definita come la più antica holding al mondo, ramificata endemicamente attraverso la cura delle diramazioni capillari delle sedi sparse in ogni angolo di ogni continente».

 

Una visione senz’altro alternativa. 

«Mi riferisco a una società che resiste da 2.000 anni persino allo stress di quadri dirigenziali sbagliati e di scelte di marketing a volte alquanto dubbie, basando la sua forza sull’essere un’agenzia di comunicazione. Una società che per secoli ha venduto a miliardi di persone ciò che non ha mai prodotto e ciò che non è impacchettabile o oggettivabile».

Dunque qual è il “segreto”?

«Il segreto di ciò sta secondo me nella forza di “contagio” di chi coglie un ideale, appunto il “fedele”. Questa fidelizzazione paradossalmente è la sfida del futuro della Chiesa ma della stessa comunicazione. La Chiesa l’ha avuta alla sua origine e ce l’ha come ossatura, ma nei secoli si è persa a mettere al centro sé stessa e la sua struttura. Questo l’ha posta in concorrenza e resa minoranza, dando per scontato il gradimento delle masse. Di fatto, mi si permetta la provocazione, sono convinto che Gesù sia stato il primo grande “influencer” della storia. Tra l’altro, curiosamente, il Vangelo dice che quando chiama i suoi discepoli li invia a prendere “la rete” per “pescare uomini”, quindi follower».

Come cambia quindi il ruolo di chi comunica e lo fa come professione?

«Sono convinto che ci sia da passare dal lanciare la notizia al contagiare con l’idea. Il Covid si è insinuato silenzioso e ha ribaltato il mondo, cambiando persino il senso della parola più scontata e ricercata come “positivo”. Fino al 2020 tutti dicevano “l’importante è essere positivi, fondamentale è circondarsi di persone positive!”. Dopo il 2020 questo era esattamente il panico. Nessuno ha deciso il cambio di senso, solo una comunicazione martellante di un senso passato da una persona all’altra. La comunicazione di massa è diventata di contatto stretto».

Con quali conseguenze? 

«La massa è “solitaria” per usare l’immagine di alcuni grandi sociologi, mentre il “singolo” è nel villaggio globale. Quindi, ad esempio, un’idea passata per convinzione, amicizia, fiducia, legame corto a un amico, che lo rimanda per messaggio a un amico, che a sua volta lo rimanda a un amico, si stacca dalla fonte ma diventa virale, appunto contagiosa. Un comunicatore deve quindi curare la portata virale insita nel contenuto, non più la traiettoria o la strategia. Secondo me quindi, la professione del comunicatore passa dall’esterno all’interno della notizia, dalla forma al contenuto, dalla gettata alla potenza, dal lifting al Dna».

Quali sono i must oggi per un comunicatore di professione?

«Il primo è l’Allergia alla mediocrità nel contenuto. Peggio della falsità c’è la mezza verità. È più pericolosa e dannosa. Una menzogna può essere smascherata. Una mezza verità invece condiziona la percezione, inganna la formazione di idee. Il secondo. Allergia alla mediocrità nella forma. La cura delle parole, dello stile lessicale e grammaticale, della finezza della proposta allarga gli orizzonti. Più in una società si restringe il numero delle parole usate, più diminuisce la libertà, perché si perde la capacità di elaborazione del pensiero, di confronto, di giudizio. Sono convinto che il detto americano “good leader is a good reader” valga anche e soprattutto per un manager della comunicazione. Chi non legge, chi non cura una formazione culturale non si dà il diritto di avere gli strumenti necessari per comprendere una realtà sempre in accelerazione».

 

Esiste un problema di aggiornamento? 

«Nessuno oggi riesce più ad aggiustare un’automobile con gli strumenti dell’officina più all’avanguardia di dieci anni fa. Figuriamoci con le idee. La grossolanità del pensiero e dello stile letterario è come voler aggiuntare un cip con una chiave inglese. La forma – secondo me – è parte del contenuto e ne determina la qualità, come chi vuole mettere dello champagne in una lattina: forse è comodo, forse è innovativo, ma lo champagne si rovina. Infine, è fondamentale un’Allergia alla mediocrità nella prospettiva».

A cosa si riferisce, in questo caso? 

«In una situazione così mutevole chi non pensa in modo interdisciplinare si autodistrugge. Nessuno può bastare più a sé stesso. Le competenze sono sempre più talmente specifiche e specializzate che è necessario costruire una rete verificata e alimentata di esperti che aiutino ad assumere il criterio profondo che la poetessa Alda Merini dipingeva così: “Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire”».

Cosa serve per valorizzare il ruolo dei comunicatori?

«È necessario che si comprenda che è un ruolo manageriale determinante per il prodotto e che la comunicazione è parte del processo di formazione e non solo un packaging, cioè dovrebbe essere il punto di partenza quando si definisce un progetto e non la ciliegina da mettere sulla torta per renderla più vendibile».

La certificazione delle competenze potrebbe essere la soluzione alle “incomprensioni” sull’importanza del Comunicatore nei processi di crescita?

«Condivido pienamente, perché vedo un doppio salto necessario: il ripensarsi del comunicatore come manager e come responsabile del contenuto è un cammino di identificazione e di plasmazione di sé che deve però cambiare la percezione di un lavoro che non è compreso nella sua fondamentale portata».

Che cosa potrebbe far avviare un processo di valorizzazione della professione del Comunicatore?

«Una strutturazione di categoria che non lasci il singolo da solo in questo sforzo di identificazione di sé e di riplasmazione della percezione della figura da parte degli altri».

Si può parlare di etica e sostenibilità nella comunicazione?

«Sono convinto che l’etica sia essenziale. È il passaggio dal do well (far bene) non solo al do good (fare il bene), ma fino al be good, un essere che non è solo una questione religiosa o morale (be well), ma una realizzazione di Sé nelle proprie competenze e nelle proprie relazioni, considerando il proprio “personal brand”. L’etica è il primo passo per un nuovo umanesimo che solo può portare a un nuovo rinascimento, partendo dal “to cure” (offrire servizi) per giungere al traguardo di un “I care” (avere a cuore, mettersi in gioco). A Barbiana, dove è esiliato, don Milani mette sulla porta dove insegna a leggere e scrivere ai bambini il cartello “I care” contro la mentalità fascista del tempo del “me ne frego”. Lo mette però all’interno così che lo vedano quando escono: non è l’entrare a scuola per imparare l’inglese, ma è l’uscire con uno stile alto».

Siamo quindi su un livello molto più profondo?

«Etica è spostare le energie dallo strumento (abilità tecnica) al contenuto (piano di comunicazione). La caricatura dell’etica è “estetica” (ex-ethos), letteralmente la cura dell’esterno della casa. La pura facciata. Etica è cercare la verità, estetica è cercare consensi. Etica è scegliere il vero, estetica è scegliere il “like”, il “mi piace”. Una cosa non diventa vera aumentando i like, eppure spesso è così. L’anti-etica oggi è ridurre la comunicazione a informazione».

Quali sono le responsabilità del web e dei social? 

«Siamo passati dalla società dell’informazione a quella della conversazione (community). Il social sembra spontaneo e libero ma il diverso da te non lo consideri. E l’algoritmo te lo censura e non te lo fa vedere. Succede così che si salta il confronto e si cade subito nello scontro social. La realtà è virtuale ma con effetti reali (pensiamo alle offese – Spettro dell’hate speech – livello d’odio eccessivo). Questa è l’ecologia e la sostenibilità di cui c’è bisogno: una ecologia umana e integrale».

Di che cosa ha bisogno la community dei Comunicatori per far valere diritti e rappresentanza?

«Di maggiore coscienza del proprio valore, non solo della propria abilità. Faccio un esempio che riguarda la storia della Chiesa. All’inizio del Novecento si intuisce che il cinema è uno strumento enorme di formazione delle menti e delle coscienze. La Chiesa investe quindi molto sulla costruzione di sale cinematografiche in tantissime comunità anche nei sobborghi. La gente esce di casa e va al cinema in parrocchia, così la massa è controllata, si scelgono le proposte e si ha grande adesione alla proposta. Al medesimo tempo – mi si conceda una semplificazione spannometrica solo per far comprendere l’esempio – la sinistra laica investe sul cinema, fa cinema, produce cinema».

Tutto ciò cosa ha prodotto? 

«Il risultato è che le sale cinematografiche della Chiesa sono ora dinosauri fatiscenti, abbandonati, vuoti, decrepiti. Le idee del cinema hanno formato persone che hanno aperto orizzonti e si sono messe in cammino su altre strade. Ora sono da rincorrere per cercare di contagiare con quel messaggio che esige per avere qualcuno che ci crede che chi propone sia credibile per qualità della proposta e sia creduto per qualità di umanità».

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Mons. Giulio Dellavite, sacerdote bergamasco, dopo aver svolto alcuni anni di ministero parrocchiale, nel 2000 è inviato a Roma per completare gli studi con un dottorato in diritto canonico, applicando le teorie della leadership al governo della Chiesa nel rapporto tra autorità e autorevolezza. Nel 2002 è chiamato al servizio in Santa Sede, presso la Congregazione per i vescovi. Nel 2012 torna a Bergamo per assumere il ruolo di segretario generale della Curia e addetto stampa, incarichi che ricopre tuttora, insieme ad essere delegato vescovile per le relazioni istituzionali e per gli eventi diocesani.

È autore di pubblicazioni di diritto canonico, come Munus Pascendi: autorità e autorevolezza. Leadership e tutela dei diritti dei fedeli nel procedimento di preparazione di un atto amministrativo (Ed. Pontificia Università Gregoriana 2007 e Treves 2011); e All’angelo della Chiesa scrivi… Autorità e autorevolezza nella Chiesa (Avagliano Ed. 2008).

A livello pastorale e narrativo ha edito con Mondadori Benvenuti al ballo della vita (2011), commento laico culturale al Vangelo. Nel 2019, con Mondadori, ha pubblicato il saggio romanzato: Se ne ride chi abita i cieli – L’abate e il manager: lezioni di leadership tra le mura di un monastero, a cui è seguito nel 2021 Ribellarsi: la sfida di un’ecologia umana e, nel 2023, Elogio della normalità: riscoprire il divino nella vita di tutti i giorni.

Tiene un seminario di Etica del business presso il master della School of economics della Luiss a Roma e collabora con la school of business Cuoa di Vicenza e con la Scuola di Management ed Economia dell’Università degli studi di Torino. Inoltre, insegna Diplomazia vaticana al master di geopolitica della Lum di Milano. Tiene corsi di formazione e motivazione.

È autore di vari articoli per riviste e giornali. Dal 2012 conduce sull’emittente locale Seilatv una trasmissione settimanale di commento al vangelo, riproposto poi su LinkedIn e altri social. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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