Comunicazione e comunicatori: a tu per tu con Manuela Ronchi

La ceo di Action Agency si confronta con noi sulle linee guida per chi fa della comunicazione la sua professione. Un approfondimento che si inserisce nell’attività dell’Area Comunicatori di Manageritalia Executive Professional, che ha appena lanciato una survey per fare il punto su prospettive, sfide e opportunità di questo ruolo strategico

All’interno delle iniziative volte a comprendere il futuro della comunicazione e dei comunicatori, l’Area Comunicatori di Manageritalia Executive professional ha lanciato un’indagine realizzata da AstraRicerche, in collaborazione con COM&TEC e tekom Europe. Per approfondire prospettive e sfide in questo ambito strategico, abbiamo raccolto il punto di vista di Manuela Ronchi, ceo di Action Agency ed esperta di Unconventional Marketing.

Quando tutti comunicano, comunicare è sempre più una cosa da far fare ai professionisti?

«In questo momento assistiamo a un sovraffollamento della comunicazione perché ormai con i mezzi digitali a disposizione siamo diventati noi stessi comunicatori e registi dei nostri contenuti. Sia come esseri umani e sia come azienda siamo diventati ormai una vera e propria media company produttrice di contenuti. Il tema oggi qual è? Che la comunicazione è ancora più complicata ed è necessario avere una panoramica generale su tutto il mondo della comunicazione e dei nuovi linguaggi che quotidianamente si affacciano sul mercato per comunicare, soprattutto alle nuove generazioni e non solo. Perché quindi, affidarsi ad un comunicatore? Esso innanzitutto vede l’azienda con un occhio esterno, più incontaminato e può, osservando il mercato, contaminare e quindi osservare cosa funziona anche in altri settori o nello stesso settore merceologico in cui comunica l’azienda, e avere quindi una visione più nitida e più strategica. Il comunicatore ha il grande compito di avere la lucidità nel capire l’elemento differenziante dell’azienda che spesso l’azienda stessa non vede, poiché spesso e giustamente ritiene di avere il meglio nel mercato di riferimento. Magari però sul mercato esiste qualcosa, non di uguale ma di simile, e per poter fare emergere il suo valore ha bisogno della costruzione di una strategia di comunicazione».

Cosa è cambiato e/o sta cambiando di determinante nella comunicazione oggi e in ottica futura?

«Quello che è cambiato di determinante nella comunicazione è proprio la pluralità dei canali di comunicazione e il fatto che ci perdiamo se non abbiamo una guida. La comunicazione adesso sta cercando di essere non più generalista ma sceglie di andare verso l’iper-posizionamento. Mentre prima era importante raccontare tutto, fare estensione di linea, adesso è importante scegliere un argomento, iper-posizionarsi su quell’argomento e poi fare eventualmente, una volta catturata l’attenzione del pubblico di riferimento, estensione di linea. Questo è un trend che arriva dagli Stati Uniti, e qui lo vediamo già su alcuni social media come Whatsapp, dove si iniziano a creare delle community verticali. I social network verteranno – e non saranno più così determinanti – non più sulla caccia al follower, quindi sulla quantità, ma sulla qualità e la conversione degli stessi follower, e per convertire bisogna iper-posizionarsi sul target di riferimento. Questo sarà il cambiamento epocale».

Come cambia il ruolo di chi comunica e lo fa come professione?

«Il ruolo di chi comunica, e lo fa con professionalità, è delicatissimo. Una delle prime regole è essere sempre curiosi, osservare i comportamenti delle persone e attivare quei meccanismi che garantiscano ai propri clienti e alle aziende che si seguono, la conversione comportamentale. Vuol dire che oggi non basta fare una bella creatività fine a sé stessa, ma bisogna avere una visione strategica della comunicazione e valutare e misurare la conversione comportamentale. Per fare questo ci vuole molto coraggio e molto impegno nello sviluppo del contenuto. Il ruolo del comunicatore oggi non si riduce a suggerire spazi e pianificazione, ma agisce sul contenuto e sul suo sviluppo, e lo spazio ne diventa poi una conseguenza di amplificazione. E sugli spazi bisogna lavorare per forza sul total audio, totalvideo e sul multipiattaforma. Il compito principale del comunicatore oggi è essere sempre un passo avanti e avere il coraggio di suggerire ai propri clienti che si deve avere il coraggio di innovare, perché innovare vuol dire essere i primi a dettare il grande cambiamento e non limitarsi ad andare in coda al cambiamento già attuato da altri».

Quali i tre must che un comunicatore di professione deve avere oggi?

«La passione e luce negli occhi per il proprio lavoro, che ti porta a sviluppare quella curiosità che è vitale per questo lavoro; la competenza</b>; e le relazioni. La somma di questi tre must determina la leadership del comunicatore».

Cosa serve per valorizzare il ruolo dei comunicatori?

«Cercare di sdoganare il detto che il comunicatore “vende aria fritta”. Perché il comunicatore si occupa di contenuti e spesso la forma ne diventa la conseguenza, e se si dà valore al contenuto si dà valore al comunicatore. Il comunicatore ha bisogno come categoria di essere assolutamente valorizzato perché senza la comunicazione, che è parte del marketing, non c’è nessuna strategia di posizionamento e di successo, e tutti gli investimenti che vengono fatti negli altri ambiti mancheranno di coerenza. E aggiungo che il comunicatore dovrebbe essere al tavolo strategico a monte e non a valle delle decisioni aziendali».

Cosa serve a un comunicatore per gestire attivamente ruolo e sviluppo professionale?

«Al comunicatore oggi serve essere super informato: questo non vuol dire leggere solo la rassegna stampa alla mattina, ma è necessario studiare la grammatica narrativa dei linguaggi, studiare come mai alcuni linguaggi di comunicazione hanno efficacia e fanno conversione. Faccio degli esempi: se uno osserva i gamer, poco importa se poi il gaming non è il nostro contenuto portante, ma dobbiamo capire perché la gamification ha incollato a YouTube miliardi di persone, e di ragazzi. Perché accade? Perché mentre si impara c’è anche intrattenimento, quindi edutainment, cioè mentre ti faccio divertire ti insegno qualcosa, una lettura della grammatica narrativa che ha funzionato con la gamification. Quindi basta sostituire il contenuto e applicarlo ad altre sfere: questo è lo studio che il comunicatore deve fare. Non basta solo imparare sui libri, ma bisogna saper osservare, ascoltare e farsi contaminare. Io personalmente ho attivato nella mia società un reparto di Talent management che non è la gestione dell’immagine dei personaggi, come si faceva negli anni 80, ma è stare vicino a persone illuminate. Ne cito uno su tutti, il professor Luciano Floridi per tutto ciò che si deve sapere sul fronte dell’AI: stando con lui è come se ogni mattina aprissi Wikipedia e immagazzinassi delle informazioni. Queste personalità, essendo delle vedette sul mercato, mi aprono la mente e fanno sì che poi vada a fare degli approfondimenti mirati su quello che mi serve per continuare a imparare».

Basta che ne parlino o…?

«Basta che se ne parli o… io aggiungerei basta che se ne parli in maniera efficace. Oggi l’efficacia della comunicazione sta tutta nella trasparenza e nella verità. Oggi quello che conta è raccontare la verità, anche se non è perfetta, perché sappiamo benissimo che la perfezione non esiste ed è anche terribilmente noiosa. Quindi oggi non basta parlare, bisogna parlare con schiettezza e trasparenza».


PARTECIPA ALL’INDAGINE SUI COMUNICATORI di Manageritalia Executive Professional – Area Comunicatori

 

 

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