Hey Bot, mi ascolti?

La comunicazione tra esseri umani e le “relazioni” con i sistemi di intelligenza artificiale: dubbi e bisogni profondi a cui dare risposte
robot che ascolta

Quando si parla di intelligenza artificiale, si pensa a tecnologie all’avanguardia in cui le macchine hanno la stessa capacità cerebrale degli uomini. Pensiamo a scenari futuristici con tecnologie evolute, sistemi autonomi e interazione tra macchine ed esseri umani.

IA: interagisce già con noi

In realtà, l’intelligenza artificiale è molto più reale di quanto si possa immaginare e fa già parte della nostra vita quotidiana. Gli stessi assistenti vocali come Siri o Alexa sono il preludio a sistemi “intelligenti” e molteplici applicazioni sono già in grado di apprendere autonomamente, ci supportano per prendere delle decisioni e sanno rispondere a domande dei clienti via chat, filtrano i curriculum per agevolare il lavoro dei recruiter e assistono i medici nella lettura dei referti.

L’IA è già stata introdotta nei processi di diverse aziende, anche in Italia. Esistono numerosi esempi di come l’adozione dell’AI abbia portato un impatto positivo, automatizzando procedure ripetitive a basso valore aggiunto, prevalentemente svolte dall’uomo. Questo permette ai collaboratori di concentrarsi su attività più creative e stimolanti, migliorando così la produttività complessiva del team e dell’azienda.

Inoltre, l’utilizzo dell’IA può aumentare l’efficienza dei flussi di lavoro, ridurre gli errori e accelerare i tempi di realizzazione e consegna. Ma l’IA mira a raggiungere altri traguardi: uno degli obiettivi di sviluppo futuro è quello di simulare sempre meglio i processi cognitivi per assumere un ruolo di interlocutore virtuale. Le cosiddette chatbot, sistemi di messaggistica basati su software progettati per simulare il comportamento e le conversazioni umane (scritte o parlate), consentono agli utenti di interagire con dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale in maniera istantanea.

Le loro funzioni non si limitano solo all’assistenza online e recentemente il loro utilizzo è cresciuto per creare vere e proprie interazioni. Stiamo andando sempre più verso una tecnicizzazione della nostra esperienza relazionale e in futuro l’IA potrebbe farci compagnia, creare surrogati di relazioni per chi non riesce a comunicare con altre persone, simulare un legame amicale o instaurare rapporti configurabili per personalizzare il partner digitale e sceglierne anche l’immagine del profilo.

Conversazione digitale e umana

La comunicazione “tra persone” potrebbe quindi essere sostituita, anche solo in parte, da compagnie virtuali? In futuro, preferiremo scegliere “a cosa parlare” e non più “con chi parlare”? L’intelligenza artificiale può sostituire l’amicizia umana? Si tratta di un’eventualità ancora lontana, ma che ci deve far riflettere sulle conseguenze alle quali possiamo andare incontro.
Anche se l’umanizzazione della tecnologia ha i suoi vantaggi ed è già in grado di catturare il nostro interesse, soprattutto degli individui più vulnerabili e socialmente isolati, non ha raggiunto livelli adeguati di applicazione e presenta ancora dei limiti. Limiti che per ora rendono questi sistemi scarsamente proattivi, non riuscendo a stimolare il dialogo in modo naturale, a causa anche delle ridotte capacità nella comprensione del linguaggio (anche non verbale) e dell’incapacità di memorizzare e collegare tra loro gli argomenti all’interno di una conversazione.

Inoltre, l’interlocutore virtuale, privo di una coscienza propria, non è dotato di intenzionalità e non è in grado di instaurare rapporti autentici, come quelli faccia a faccia: si basa su interazioni troppo superficiali per trasformarle in veri legami e non è capace di arricchire le relazioni attraverso la condivisione reciproca delle emozioni. Un divario che probabilmente è ancora lontano dall’essere colmato e un obiettivo che al momento non sembra essere indispensabile.

Recenti ricerche hanno infatti confermato la nostra tendenza a utilizzare la “conversazione digitale” solo per una fase informativa iniziale o per scambi veloci di messaggi in chat, preferendo la “conversazione umana” quando vogliamo elaborare concetti a livelli più complessi e condividere i contenuti con un coinvolgimento emotivo di tipo naturale: sicuramente non raccontiamo a Siri o ad Alexa la nostra giornata lavorativa o cosa abbiamo fatto nel fine settimana! Scenario confermato dai servizi di ascolto, come Camera d’ascolto e 7cups, che nascono per l’appunto con lo scopo di offrire un ambiente dove trovare un contatto umano e delle persone disponibili ad ascoltare, che ci consentano di parlare con serenità dei nostri pensieri o delle difficoltà che viviamo, senza timore di essere giudicati e, ancora più importante, ogni volta che ne abbiamo bisogno.

Non ascoltiamo più?

Abbiamo decisamente ampliato le forme di risposta al nostro bisogno di esprimerci e di essere ascoltati grazie ai nuovi ambienti di interazione online, tramite i quali possiamo ricevere l’attenzione desiderata nella forma che meglio si adatta a noi (virtuale o umana, scritta o video ecc.) e a volte possiamo persino configurarli a nostro piacimento. È una sorta di comfort zone della socializzazione. Nel mondo digitale, l’individuo può sentirsi protetto e quindi allacciare rapporti senza timore di mostrare le proprie fragilità. È un luogo ideale per avviare nuove relazioni senza l’ansia di fallire o sentirsi eccessivamente coinvolto.

Sono segnali inequivocabili di un cambiamento delle nostre abitudini comunicative, che dimostrano il progressivo distacco dalla conversazione dal vivo e un’involuzione relazionale in diversi ambiti della nostra vita sociale. È un quadro piuttosto preoccupante che ci deve far riflettere sulla stretta correlazione tra la ridotta disponibilità di ascolto e l’attuale scenario socio comunicativo. È ormai evidente che alla richiesta di attenzione e al conseguente bisogno di essere ascoltati non corrisponde una risposta adeguata da parte dell’ambiente sociale che ci circonda. Questo lascia spazio alle alternative, anche virtuali, che la rete ci offre. L’origine di questa nuova tendenza va attribuita a fattori comportamentali e associata alla necessità dell’essere umano di trovare soluzioni “pronte all’uso” per colmare i vuoti della vita “offline”, oltre a cercare un rifugio, anche temporaneo, per la sua difficoltà nell’instaurare relazioni.

Distrazione dal contatto umano

La comunicazione è sempre stata un processo in continua evoluzione e quella attuale è una delle sue fasi di trasformazione: la decrescente predisposizione alla socializzazione di persona genera inevitabilmente degli effetti sulle relazioni, come l’eccessivo isolamento e l’incapacità di instaurare legami. L’ascolto non può che subirne le conseguenze. Secondo alcune ricerche, ascoltiamo ancora molto, ma ciò che si sta riducendo è il tempo medio dedicato all’ascolto reciproco. Stiamo subendo una sorta di distrazione dal contatto umano e quanto è accaduto con la pandemia Covid-19 ha di certo esasperato questa tendenza a rinchiuderci nelle nostre grotte.

Inoltre, facciamo attenzione a non confondere la “capacità di ascolto”, intesa come l’abilità di eseguire un’azione, con la nostra disponibilità quotidiana a interagire con le persone. Non ci troviamo di fronte alla definitiva incapacità dell’individuo moderno di dedicarsi agli altri. Non stiamo abbandonando l’ascolto e non vogliamo che venga meno uno dei bisogni di relazione dell’essere umano, tuttavia stiamo perdendo l’allenamento a un certo tipo di ascolto e alla nostra propensione a socializzare in pubblico. Ci stiamo distraendo dal naturale istinto di creare un rapporto interpersonale, ma siamo ben lontani dal perdere definitivamente la capacità di allacciare rapporti e, quindi, di ascoltare.

La rieducazione all’ascolto

Il principale problema da affrontare è la conseguenza negativa che potremmo subire dal passaggio del testimone generazionale. Tendiamo ad ascoltare nella stessa misura in cui siamo stati ascoltati da bambini e dall’esempio che ci è stato fornito. Qui si evidenzia come il problema possa aggravarsi in proiezione futura se non avviamo un processo di rieducazione all’ascolto. L’attuale generazione, decisamente più sensibile ai benefici del mondo digitale, potrebbe avere maggiori difficoltà a interagire e a dare l’esempio adeguato a quelle future.

Tutto ciò non basta per farci accettare la fine della comunicazione tra individui. Non abbandoneremo mai il dialogo faccia a faccia e non mancherà la predisposizione all’ascolto: è molto più difficile di quanto si voglia riconoscere. In una società confusa, disordinata e disorientata dal punto di vista comunicativo, dobbiamo semplicemente impegnarci a riallenare la nostra più o meno atrofizzata capacità d’ascolto e a coinvolgere bravi ascoltatori, nella piena consapevolezza che, per ognuno che ha qualcosa da dire, c’è almeno una persona pronta a prestare attenzione.

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