Dalle parole ai fatti

Il divario in azienda tra uomini e donne si può colmare. In che modo? Lo abbiamo chiesto a tre HR manager: Loretta Chiusoli (Gruppo Crif), Daniela Paliotta (Mercedes-Benz Italia) e Lucia Simonato (Würth Italia)

Oggi, nella sua azienda, donne e uomini sono pari a livello di selezione, assunzione, retribuzione, sviluppo, carriera…?

Chiusoli «In Crif il personale è composto al 50% da uomini e al 50% da donne; stiamo ora lavorando per garantire equità anche in termini di retribuzione e presenza femminile nei diversi livelli manageriali dell’azienda. Posso dire che siamo molto vicini alla parità in tutti questi aspetti!».
Paliotta «In Mercedes-Benz Italia abbiamo lavorato moltissimo negli ultimi anni, non solo sulle politiche attive di valorizzazione di genere, ma anche e soprattutto sull’avanzamento culturale. Oggi le donne e gli uomini hanno pari possibilità di entrare a far parte della squadra, nonché di accedere alla formazione e allo sviluppo personale e professionale».
Simonato «In Würth Italia ci stiamo impegnando molto per creare sensibilità e attenzione sul tema dell’inclusione: provenendo da un’area più declinata su un target maschile, era necessario accompagnare le nostre persone in un cambio culturale, garantendo alle nuove generazioni un’esperienza personale e professionale equa. Ci stiamo quindi prefissando degli obiettivi per misurare e monitorare che i diversi processi garantiscano le stesse opportunità e sia sempre il merito a prevalere».

E nel mondo del lavoro in generale?

Chiusoli «Credo occorra lavorare sia sugli uomini sia sulle donne, su un piano culturale ma anche concreto, legato ai numeri».
Paliotta «Il mondo del lavoro si compone di situazioni assai diversificate: aziende di forte ispirazione, realtà dove evidentemente la strada da fare è ancora molta. Non credo abbia molto senso esprimere un parere “in generale”».
Simonato «Da mamma e manager posso dire che ancora oggi se sei donna senti il dovere di dimostrare di essere in grado di poter gestire carriera e famiglia, fattori che difficilmente possono diventare elementi di valutazione per un collega uomo che si apre all’esperienza della paternità».

Cosa serve per far sì che donne e uomini partano e siano davvero alla pari?

Chiusoli «Mi vengono subito in mente due attività molto specifiche: incentivare le donne nello studio e nelle carriere Stem e aiutarle a mantenere ruoli di responsabilità anche quando decidono di crearsi una famiglia».
Paliotta «C’è bisogno di politiche attive che mettano in campo azioni consapevoli e mirate, come la definizione di strumenti e processi che agiscano sulla valorizzazione di componenti “altre” da quelle che oggi hanno portato a definire il concetto lavoro e risultato. Non basta definire target e standard minimi per le organizzazioni. Questi, pur rappresentando dei trigger importanti, da soli non possono indirizzare il cambiamento, dato da tanti progressi convergenti».
Simonato «Studi ci dimostrano che il gender gap trova il suo apice con la maternità: per colmare questa “materhood penalty” sarebbe utile per aziende e famiglie poter disporre di ulteriori risorse dalle istituzioni, necessarie per superare il bias che il lavoro di cura sia soltanto femminile».

Cosa fate e cosa fare per avere parità a livello di sviluppo professionale, di retribuzione e carriera?

Chiusoli «In Crif portiamo avanti attività di orientamento, coinvolgendo colleghe laureate in materie Stem per promuovere questi percorsi di studio tra le studentesse di scuole medie e superiori. Inoltre, mettiamo a disposizione dei neogenitori più servizi di aiuto possibile, come asilo nido convenzionato, supporto economico per la baby sitter, full smart working prolungato, counselling per gestire il rientro dalla maternità… Infine, lavoriamo per garantire equità di presenza e retributiva tra donne e uomini, in ogni livello organizzativo e manageriale».
Paliotta «In Mercedes-Benz Italia abbiamo cercato di rimuovere ogni ostacolo che potesse essere di intralcio alla fiducia delle donne nella possibilità di una carriera anche “funzionalmente” diversa da quella cui, in passato, la società ci ha destinato. Si tratta di rivoluzionare il concetto di performance: non solo delivery di un risultato, ma contributo più ampio alla crescita dell’organizzazione e della sua leadership. Se questo paradigma si scompone e ricompone intorno a nuove dimensioni, tendenzialmente decadono quegli ostacoli “di genere” che difficilmente rendono la carriera tradizionale fruibile da una donna».
Simonato «In Würth Italia abbiamo iniziato un percorso di sensibilizzazione e in-formazione per i nostri collaboratori e collaboratrici: programmi specifici dedicati ai manager e risorse in percorsi di sviluppo in chiave leadership. Anche la nostra casa madre tedesca è molto attenta a questo tema e promuove programmi di mentorship che coinvolgono il top management: per fare davvero la differenza e generare un impatto concreto occorre sensibilizzare tutti i livelli manageriali».

Più di una ricerca dice che le aziende con più donne performano meglio di quelle troppo maschili. Lei ne è convinta e perché?

Chiusoli «Non credo in queste generalizzazioni. Anzi, considero questo aspetto più una conseguenza della mancanza di equità che un tratto di genere: è evidente, infatti, che le donne debbano ancora faticare più degli uomini per crescere professionalmente e ricoprire ruoli di responsabilità e di vertice nelle organizzazioni. Questo stato di cose può indubbiamente spingere le donne a impegnarsi di più e a offrire prestazioni più performanti».
Paliotta «Io credo piuttosto che le aziende dove si performa meglio siano quelle nelle quali ogni forma di differenza venga valorizzata come un’opportunità. Il genere è solo uno degli ingredienti della diversità, a cui aggiungerei quella anagrafica, di orientamento sessuale, razziale e quella delle individualità. Nessuna differenza andrebbe mai “sprecata”».
Simonato «Tra le componenti che portano le donne a performare meglio rispetto agli uomini troviamo anche gli altissimi livelli di competenza e determinazione necessari a dimostrare il proprio valore. Anche garantire un contesto con eterogeneità di pensiero, cultura, mindset ed esperienze aiuta a performare meglio: è responsabilità di noi dirigenti creare team di lavoro che possano contare sulle diversità, non solo di genere… permettiamo ad ognuno di liberare il proprio potenziale esprimendo la propria unicità!».

Da decenni Manageritalia si impegna per fare informazione, cultura e azioni verso una vera parità di genere e, più in generale, della valorizzazione della diversity. Cosa pensa della nostra azione e cosa possiamo fare, anche insieme ai manager, per migliorare le cose a vantaggio di tutti?

Chiusoli «Penso che tutti gli sforzi fatti per creare una cultura di parità di genere siano importanti e vadano mantenuti e incrementati. Credo anche che raccogliere e pubblicare dei dati, dei Kpi su questi temi (ovvero, quante donne in azienda, quante donne nei livelli manageriali dell’azienda, qual è il salary gender gap…) possa accelerare molto il processo che stiamo gestendo, finalizzato a raggiungere una vera parità di genere sia nella mentalità sia nei numeri».
Paliotta «La valorizzazione dell’azione avviene attraverso la comunicazione e la promozione di eventi di diffusione e condivisione nonché attraverso il potenziamento dei network e delle partnership di valore. Di questo c’è bisogno: fare di più».
Simonato «I professionisti che oggi ricoprono un ruolo manageriale hanno il dovere di abilitare e favorire una cultura di inclusione nelle organizzazioni. Il cambiamento può fare paura perché spesso porta con sé incertezza, ma in Würth diciamo che il futuro appartiene ai coraggiosi. Grazie, quindi, se anche con il supporto delle attività di Manageritalia possiamo aumentare la consapevolezza e trasmettere fiducia nel prendere decisioni che a volte possono sembrare coraggiose».


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