“Io sono poco social”.
Mi capita spesso di sentirmi dire queste parole a margine di convegni, lezioni, progetti e workshop nelle aziende che coinvolgono il paradigma del Personal Branding.
Talvolta con un tono colpevole, talvolta con un malcelato orgoglio. L’esperienza mi ha insegnato a dedurre il loro significato sulla base di chi ho davanti:
- “Non so usare i social, sono incapace di utilizzare il digital”;
- “Temo di avere poco da dire, non saprei come spiccare online, come emergere”;
- “La gente sui social condivide banalità, c’è un sacco di rumore, non ho alcuna intenzione di contribuire ad aumentarlo”;
- “I social servono solo ad autopromuoversi, vendersi e rendersi ridicoli”;
- “Su LinkedIn ricevo messaggi solo da fastidiosi recruiter e addetti al social selling”;
- “Non sto cercando un lavoro, a cosa mi serve LinkedIn?”;
- “Ciò che conta è la qualità del lavoro che faccio”;
- “Il mio impegno parla da sé, alla fine contano solo i risultati, l’importante è dare il massimo”.
L’idea dietro a queste affermazioni spesso è la seguente: fare Personal Branding significa vendersi sui social network. Chi ha questi pensieri in realtà è rimasto nel 2009. Breaking Bad e Mad Men erano le serie più in voga. LinkedIn non era neppure stato tradotto in italiano ed era uno strumento emergente per trovare lavoro nei settori dei servizi.
Ma il mondo nel frattempo è notevolmente cambiato. Non solo le serie televisive. Globalizzazione, crisi economiche, nuovi contratti, remotizzazione, pandemia ecc. Non è più possibile parlare solo di social network o social media, ma di digitale. Pervasivo, ostico, invadente digitale. E tramite il digitale i lavoratori, volenti o nolenti, sono sempre più costretti a interagire. Per farsi conoscere, valorizzarsi, per operare e trasferire valore.
La sfida è quella di imparare a trasferire con coerenza, autenticità ed efficacia il sé reale in un sé digitale. Occorre essere capaci di farsi percepire in modalità 3D (cioè la nostra persona reale) in un mondo 2D (dietro lo schermo).
IL PERSONAL BRANDING OGGI
Fare Personal Branding oggi significa gestire in maniera strategica la propria immagine professionale e presidiare con efficacia questo nuovo ecosistema. Significa saper passare con efficienza dal Real You al Digital You.
Ma per farlo bene occorre tenere presente i seguenti aspetti:
- Rilevanza: non basta più essere costantemente presenti online per spiccare e connotarsi come “innovativi”. È sempre più necessario diventare un segnale significativo nel grande rumore digitale. Occorre avere una progettualità e una strategia per differenziarsi, fare rete e non diventare rumore di fondo;
- Personalizzazione: il Personal Branding è figlio soprattutto della “strategia professionale” di ciascun lavoratore, del suo “modello di business” personale, come affermava Tim Clark nel suo noto bestseller Business Model You (edito da Hoepli). Le esigenze di Personal Branding di un impiegato sono differenti da quelle del suo Ceo o da quelle di un professionista. Senza parlare dell’enorme evoluzione del mondo del lavoro e del fiorire di professioni, carriere e inquadramenti. Fare Personal Branding non significa semplicemente scimmiottare il comportamento di influencer, motivatori e guru di turno (che spesso sono gli autori dei suddetti libri). Anzi, la maggior parte delle volte è dannoso e controproducente, soprattutto per chi lavora in azienda;
- Disintermediazione: l’enorme diffusione di LinkedIn e dei social in generale: con la versione in italiano il social è diventato una grande opportunità per i lavoratori che si sono ritrovati con un cacciatore di teste elettronico, un ufficio marketing e formazione completamente in outsourcing e in digitale. LinkedIn non va considerato un cv. Appare tra i primi risultati del nostro vero cv: Google. È un robot e come tale va programmato per lavorare per noi, per procuraci opportunità di business e/o carriera;
- Valorizzazione: negli ultimi anni, per i nostri progetti, ho frequentato migliaia di persone che lavorano in aziende di tutta Europa e non ho potuto fare a meno di notare quanto sia ancora grande il bisogno di valorizzarsi, in particolare tramite il digitale. No, non basta più essere bravi e lavorare bene! Il digitale oggi permette di dimostrare il nostro valore in anticipo, ancora prima di avere a che fare con noi;
- Condivisione: le nostre vite sono state catapultate dal mondo reale al mondo virtuale e viceversa. Ora dobbiamo essere doppiamente umani per poter preservare l’umanità e riusciamo a connetterci a un livello più profondo con gli altri. Abbiamo il permesso di essere realmente umani e noi stessi. Abbiamo conosciuto i partner, gli animali domestici, i bambini, i corrieri espresso che consegnavano a casa dei nostri colleghi o clienti e questa esperienza può solo arricchire il nostro modo di portare valore all’organizzazione perché siamo più umani. Le organizzazioni iniziano a capire che consentire a ciascun individuo di essere la migliore versione di se stesso, senza necessariamente conformarsi a degli standard, permetterà loro di svilupparsi e rendere molto meglio. Il Personal Branding è prima di tutto autenticità e ci offre il paradigma per selezionare cosa è importante condividere della nostra identità;
- Ibridazione: le riunioni o gli incontri sono sempre stati le occasioni per sviluppare il brand o conoscere nuovi potenziali stakeholder, farsi notare e/o influenzare altre persone. Nel mondo ibrido sono completamente diversi: bisogna essere in grado di catturare l’attenzione sia online che di persona, molto di più se si sta conducendo l’incontro, ma anche quando si partecipa soltanto. Bisogna essere doppiamente attenti a farsi vedere, lasciare veramente il segno in modo che alla fine ognuno si ricordi di noi. Ed è un intero set di competenze che dobbiamo acquisire, partendo da come si usano gli strumenti di videoconferenza (introversi, parliamo anche con voi, capiamo la vostra sfida!) fino alla scelta di ciò che diciamo e facciamo;
- Youcasting: da tempo è chiaro che il video sarà fondamentale nel futuro del Personal Branding. Il video permette di comunicare in maniera più completa e connettersi in maniera più profonda ed emozionale con coloro che si vuole influenzare. Sta diventando uno strumento di comunicazione rilevante e alla fine sostituirà le email in quanto più potente e con più valore. Le competenze per produrlo sono essenziali tanto quanto, se non di più, la capacità di scrivere o il public speaking. I professionisti che si troveranno a loro agio con questo mezzo resteranno rilevanti e coinvolgenti. Quelli che preferiscono le 26 lettere dell’alfabeto resteranno indietro;
- Agilità: l’aspetto più importante di tutti. Il contesto complesso di oggi esige un approccio alla propria carriera più simile al modo con cui si evolvono le startup: “The startup of you” come già scrivevano Reid Hoffman (co-fondatore di LinkedIn) e Ben Casnocha nell’omonimo volume del 2012. Il futuro di ciascuno è costantemente da progettare e per farlo occorre cambiare la propria strategia di Personal Branding in continuazione.
COME FARE PERSONAL BRANDING OGGI
Il primo strumento che abbiamo è la possibilità di farci delle domande. Chi sono? Cosa è importante per me? Dove voglio arrivare? Cosa mi rende diverso da tutti gli altri che fanno lo stesso lavoro? Chi sono le persone da cui devo farmi conoscere? Quali sono i miei valori?
Per semplificare questo processo ho sviluppato il Digital You Canvas, uno strumento di pensiero visuale che permette di avere una visione di insieme della propria strategia di Personal Branding nel contesto che ho descritto. Il Digital You Canvas è anche contenuto nel libro Digital You, scritto a quattro mani da me e William Arruda, il massimo esperto mondiale di Personal Branding.
Il libro di fatto è un vero e proprio corso personalizzato di Personal Branding nel nuovo mondo digitale. Grazie alla versione completa in pdf del Canvas e al metodo descritto nel libro potrai progettare, sviluppare e sostenere il tuo Personal Brand anche nella costante fluidità delle carriere odierne, dove nulla va più dato per scontato.