Con “Uno Spritz con il Manager” il Gruppo4Giovani di Manageritalia Lombardia vuole avvicinare ulteriormente alla vita associativa i giovani manager dell’area lombarda. Un momento di condivisione, divertimento e relax, un laboratorio per osservare, conoscere e capire il presente, i trend del futuro e l’evoluzione della professione manageriale, generando stimoli costruttivi e di engagement della community.
«Tra le varie attività sviluppate, sono particolarmente orgogliosa» dice Mariolina Brovelli, coordinatrice del Gruppo «del successo del format Uno Spritz con il Manager, un appuntamento ormai abituale con cadenza mensile che ospita e intervista un manager che racconta il suo percorso professionale, ma anche tanti aneddoti di vita personale per rendere lo storytelling autentico e inclusivo».
«L’interazione con i partecipanti, sia in presenza che in collegamento da remoto, rende» dice Brovelli «vivo il dibattito e offre spunti di riflessione su temi di frontiera per costruire insieme alle generazioni più giovani una nuova cultura del management. Lo Spritz finale è un’ulteriore e piacevole occasione di networking dove il valore umano diventa protagonista».
Allora, godiamoci oggi l’aperitivo e stimolo professionale con Giampaolo Grossi, Ceo Giacomo Milano Group (qui il video dell’incontro).
Cosa ti intriga di più oggi managerialmente parlando nel tuo ruolo in Giacomo Milano?
«È una bellissima realtà piena di storia e passione. Tanti sono i talenti al suo interno e ciò che mi intriga di più è impegnarmi al massimo per far sì che ognuna delle persone con cui collaboro possa crescere professionalmente e umanamente. Automaticamente saranno loro a portare l’azienda dove è destinata a posizionarsi sempre più in alto».
Che business è Giacomo Milano?
«Giacomo Milano è una catena di ristoranti e botteghe unici nel suo genere. Ha un grande heritage e una brand position molto forte sia sul territorio italiano che su quello internazionale. Il mio obiettivo è quello di rendere questo gruppo un corporate capace di arrivare oltre oceano con grande consapevolezza, struttura ed equilibrio. E comunque è un business stupendo proprio perché hai la possibilità di supportare le persone ogni giorno al fine di metterle in condizione di essere la migliore versione di se stesse».
Quali sono state le chiavi del tuo successo manageriale sino ad oggi?
«L’umiltà e la capacità di affrontare le sfide senza troppo timore. Per raggiungere questa consapevolezza ho percorso mille strade, durante le quali ho conosciuto l’ambiente intorno a me, le persone e ogni diversa sfumatura culturale e caratteriale. È stato, ed è tutt’oggi, un lavoro 7 su 7, 24 ore su 24. Se vuoi essere un buon manager devi stare al fianco degli altri e questo è ciò che ho sempre fatto ogni giorno».
La leadership è un po’ il tuo mantra: perché e cos’è?
«Fin da piccolo, correndo sui campi da calcio dove mi sono forgiato, ho sempre provato stima per le figure con grande personalità e carisma. Credo che la leadership non sia un titolo riconosciuto, ma un sentimento che devi nutrire ogni giorno anche fuori dalle ore “lavorative”. Per me la leadership è responsabilità, è integrità, è onestà e rispetto verso gli altri, come allo stesso modo è saper dire di no alle persone quando necessario, scegliendo le giuste parole. La leadership è una scelta di vita che richiede molta analisi su stessi».
Chi è il manager oggi e quale deve essere il suo purpose?
«Una persona che conosce non tanto tutti gli aspetti tecnici, certamente importanti, ma che abbraccia la cultura del saper stare con gli altri. È colui che osserva, ascolta e quindi conosce l’altrui persona con le diverse prospettive. Un manager oggi deve essere capace di girare le spalle al pubblico e far sì che il proprio team sia il “primo attore” dei successi».
Quali consigli daresti a un giovane manager?
«Partire dal basso, avere pazienza, perché in essa risiede la forza dell’attesa, qualità sempre più rara che però crea grandi leader. Fare un percorso di coaching potrebbe essere molto utile, serve ad analizzare se stessi, a imparare a curare la nostra comunicazione e le nostre capacità di relazionarci con gli altri. E poi fare uno step alla volta; da piccolo salivo le scale due gradini alla volta per fare prima, beh, quante volte sono caduto facendomi male!».
Sei un ambassador della gentilezza, perché?
«Non conosco altri metodi per relazionarmi con gli altri. Credo che della gentilezza non si debba essere degli ambassador promuovendola sui palchi. Piuttosto, dobbiamo esserne l’esempio nella quotidianità, nei semplici momenti, c’è differenza tra chiedere “come stai?” e “stai bene?” a un’altra persona, non trovate? Chiudo così: si è gentili davvero quando gli altri non ti vedono».