Intervista alle competenze

Le competenze? Tutti ne parlano, tutti le abbiamo hard e soft, tutti ci dicono che dobbiamo coltivarle… ma chi sono davvero e a cosa servono? Insomma, per capirne di più noi le abbiamo intervistate

Chi siete?
Siamo due elementi interconnessi, ma indipendenti, come due facce della stessa medaglia.
Da un lato rappresentiamo un bagaglio di conoscenze che nasce durante l’infanzia, l’adolescenza e la gioventù con gli studi e si arricchisce negli anni con l’esperienza e l’approfondimento costante. Siamo composte di sapere organico e strutturato e per questo ci hanno definito: hard skills.
Dall’altro lato forniamo il supporto all’impiego del bagaglio di conoscenze accumulato per consentire loro di produrre risultati: una sorta di trolley in grado di muovere le conoscenze verso gli obiettivi necessari. Questo lato della medaglia, caratterizzato dai comportamenti necessari per raggiungere gli obiettivi, cioè dalle capacità, viene definito: soft skills.

Siete una coppia indissolubile?
Certo, siamo una coppia di risorse mentali che permette di agire produttivamente nelle più diverse realtà (scientifiche, tecnologiche, economiche, sociali, istituzionali, formative, sanitarie ecc.). Ci definiscono, sinteticamente, “professionalità”.
In termini generali e ormai diffusi, la nostra abbinata, conoscenze e capacità (hard skills + soft skills), forma la parte intangibile, ma sempre più importante, del patrimonio di qualsiasi impresa, che viene definita “capitale umano”. Da un’angolazione individuale siamo in grado di costituire il prezioso “capitale umano” che ogni persona possiede e che rappresenta la leva fondamentale del reddito che riesce a produrre (stipendio o parcella).

Che cosa fate (a cosa servite)?
Facciamo funzionare efficacemente qualsiasi tipo di organizzazione e di figura professionale. Correttezza e valore dei risultati prodotti da ogni organizzazione o professionista sono direttamente correlati al valore delle conoscenze e delle capacità necessarie per fornire risposta alle esigenze dei clienti o degli utenti.
Se non c’è un’adeguata “copertura” professionale (cioè rispondenza tra conoscenze e capacità richieste e possedute) qualsiasi lavoratore (tecnico, professional, knowledge worker, manager) non è in grado di svolgere correttamente la sua attività.

Una bella sfida?
Certo, e sia chiaro, il presidio completo delle conoscenze e delle capacità richieste non esiste, ancor più in un contesto economico, sociale, tecnologico e scientifico come quello attuale che è in continua e, spesso, turbolenta trasformazione.
Chiunque svolga un’attività deve “consultarci” sistematicamente per verificare necessità di aggiornamento dei contenuti (hard skills), di miglioramento dell’espressione delle capacità o di utilizzo di nuove capacità (soft skills). Solo così evita di cadere preda di devastanti processi di obsolescenza.
E questo aggiornamento, definito formazione continua, consente anche con maggiore facilità di uscire dai settori d’impresa che entrano in crisi e di passare rapidamente nei settori che dimostrano maggiori potenzialità.

Dove agite e come?
Il nostro contributo si svolge, come detto, su due binari paralleli.
Il primo è quello del sapere stratificato nella mente di ciascuno (hard skills). Infatti, le conoscenze distillate in assoluto esistono solo in forma artificiale e descrittiva (trattati, manuali, dizionari, raccolte, testi divulgativi), nella realtà, nella mente degli applicatori, fanno parte di un corredo inestricabile e integrato con altre conoscenze e menti.
Le conoscenze vivono in un “continuum” privo di soluzione che può essere ben rappresentato in una mappa di complessità crescente. Ma tutte le conoscenze, e soprattutto quelle utilizzate in ogni tipo di organizzazione, possono essere definite e descritte. Questo è l’approccio, descritto e applicato dal knowledge management, che consente di stabilire il livello di profondità richiesto e posseduto in ogni specifico contesto.

E questo cosa comporta?
Non è necessario che il livello di profondità posseduto delle conoscenze sia il massimo, in termini di economia d’impiego. Questo aspetto è rappresentato dalla formula che mette a confronto il livello delle conoscenze che devono essere possedute con quelle realmente possedute (tipico dell’applicazione del “modello delle competenze”). Come ci ricordano Steven Sloman e Philip Fernbach nel loro libro L’illusione della conoscenza, il sapere è intrinsecamente collettivo e buona parte delle conoscenze che ogni individuo impiega sono tributarie della “comunità della conoscenza”, che offre il vantaggio basato sul saper sfruttare le conoscenze altrui (vantaggio che diviene massimo se vengono impiegati alcuni comportamenti che ne facilitano la diffusione e l’applicazione).

E il secondo binario?
Il secondo binario è rappresentato dai comportamenti necessari per svolgere ogni tipo di attività, quindi dalle capacità (soft skills). Le capacità sintetizzano descrizioni di specifici comportamenti che possono essere riconosciuti da chi li osserva e apprezzati nel livello di espressione quando una persona li attua. Nascono da risorse mentali di cui ogni persona dispone per agire nel proprio ambiente e raggiungere gli scopi che si prefigge. In questo senso le capacità sono definibili come comportamenti in grado di consentire alle singole persone e a un gruppo di realizzare quanto desiderato. Un modo suggestivo di rappresentarle è di considerare la forza motrice del sapere posseduto.

In che senso?
In tempi recenti, considerando gli spunti provenienti dalle neuroscienze circa l’origine dei comportamenti umani, si è individuata una ripartizione in quattro aree del funzionamento del cervello che si basa su quattro processi mentali chiave: cognitivo, dei processi operativi, relazionale ed emozionale, gestionale e innovativo.
Aree che danno luogo a un elenco essenziale di capacità con le quali è possibile costruire un numero molto ampio di profilo di capacità per i ruoli più diversi.

Le capacità rappresentano i mattoni esterni dell’edificio della professionalità, quelli che appaiono verso l’esterno, e possono essere più facilmente osservati e rilevati. In questa configurazione plastica, le conoscenze rappresentano i mattoni interni.

Perché siete un must have?
Perché se non veniamo prese nella giusta considerazione o se veniamo trascurate si rischia di compromettere tutta la costruzione sulla quale poggia la vita professionale di ogni lavoratore d’impresa (manager, professional, tecnico ecc.) e di ogni professionista che fornisce contributo direttamente ai propri clienti o utenti.
Tutti coloro che utilizzano i contributi di un’impresa o di un professionista valutano gli output che ricevono in termini di efficacia, ma questa è direttamente correlata al valore professionale del fornitore (sia organizzazione intesa come sommatoria organica di conoscenze e capacità, sia professionista inteso come possessore di specifiche conoscenze e capacità). La buona volontà e l’impegno non basato sulle necessarie conoscenze e capacità è sterile e può rivelarsi un pericoloso boomerang all’atto pratico.

Quando entrate in gioco?
Più i contesti d’azione sono complessi e imprevedibili, come quelli nei quali oggi vivete, e più noi entriamo in gioco anche in termini strategici. Lo aveva già anticipato Adam Smith nel suo trattato sulla Ricchezza delle nazioni. La ricchezza di una nazione, di un’organizzazione o di una persona è caratterizzata preliminarmente dalla sua competenza (cioè dalla sommatoria delle conoscenze e delle capacità necessarie e adeguatamente possedute).

Come valutarvi, svilupparvi…?
La verifica del livello di possesso delle conoscenze è tradizionalmente impiegata nelle istituzioni formative scolastiche e universitarie tramite gli esami. La modalità di verifica nei contesti operativi come le imprese è basata su due criteri fondamentali: per le risorse da acquisire, tramite la valutazione dei curricula e dei risultati prodotti, abbinata a colloqui e prove tecniche; per le risorse che fanno parte delle organizzazioni, tramite il coinvolgimento responsabile degli attori in gioco in relazione a progetti in grado di produrre la cosiddetta “gap analysis” che consenta di evidenziare le carenze strategiche di conoscenze.
Invece, per quanto riguarda l’espressione delle capacità, il metodo che appare più semplice e diretto è quello di riferirsi a quanto si manifesta nella realtà. In termini generali, si tratta di osservare e valutare una persona che sta svolgendo una determinata attività: negoziare, gestire una riunione, parlare in pubblico, cercare di convincere uno o più interlocutori ecc. Questa valutazione, quella che avviene superficialmente e affrettatamente sul campo o si affida alla memoria dei capi, soffre di un approccio grossolano, ma purtroppo estremamente diffuso dalla spinta ad emettere giudizi superficiali che tutti voi esseri umani avete.

Cosa servirebbe?
Non c’è dubbio che la modalità di gran lunga più efficace è quella che consente la rilevazione dei comportamenti con situazioni ricostruite artificialmente: è la metodologia di assessment. L’impiego corretto di questa metodologia deve fare riferimento a specifici ruoli organizzativi, partendo dalla definizione delle job description e passando alla successiva individuazione dei job requirement, cioè delle competenze necessarie per ricoprire una posizione organizzativa. In questo caso limitatamente alle capacità (soft skill).
Va ricordato che la metodologia di assessment è uno strumento insuperabile in termini di concretezza e di rispondenza con le realtà organizzative che nessun criterio di indagine della personalità può ottenere (essendo le analisi di personalità basate solo su inferenze statistiche. Una domanda provocatoria è: chi ha dimostrato di avere una personalità introversa può essere un buon venditore?).

E come possiamo svilupparvi?
Per sviluppare la nostra faccia definita “conoscenze”, la modalità è quella dell’investimento progressivo, che consente una crescita esponenziale di carattere lineare: più studiate, più vi applicate, più fate esperienza e maggiormente si consoliderà il possesso di ogni genere di conoscenza.
Per incrementare, invece, l’espressione delle capacità dovete pensare che le stesse migliorano come le abilità motorie (necessarie per ottenere risultati in qualsiasi sport): insistere a lungo senza alcun apparente risultato finché non si manifesta il “piccolo miracolo” del successo ripetutamente ottenuto. In sostanza, il miglioramento si manifesta a “gradoni” dopo tentativi reiterati, e non in una crescita esponenziale continua (come per le conoscenze).

Certo, ma come allenarvi se le gare si susseguono?
Le modalità e gli accorgimenti per incrementare l’espressione delle capacità sono stati, secondo la tradizione, di natura sostanzialmente esperienziale. Nelle organizzazioni moderne avete fatto ricorso ad attività preparatorie o rinforzanti mirate come la formazione al comportamento organizzativo e il coaching. La possibilità di auto-miglioramento è stata inizialmente sperimentata in ambito sportivo, dove la preparazione atletica rappresenta il momento preliminare per affrontare la futura gara, temporalmente definita. Nell’ambito lavorativo non è possibile separare il momento preparatorio da quello della prestazione (se non sacrificando tempo e risorse distaccandosi dal lavoro). Ma vi ricordiamo che nell’attività lavorativa possono essere recuperati innumerevoli “tempi morti”, preziosissimi per impostare e svolgere processi di auto-miglioramento. Questa modalità rappresenta la nuova frontiera della valorizzazione delle vostre competenze.

Quali progetti avete per il futuro?
Dobbiamo trovare una risposta efficace all’interconnessione virtuosa tra sviluppo delle conoscenze e incremento delle capacità rapportata alla necessità di contrarre i tempi di realizzazione (necessità imprescindibile quando vi trovate in contesti, come quelli attuali, caratterizzati da rapide trasformazioni e sviluppi del sapere tumultuoso).
La risposta deve essere definita e ricercata nel “time to mind”, in analogia con l’affermata e consolidata formula del “time to market”.
La progressiva riduzione del time to mind rappresenta una vera e propria leva strategica, soprattutto per le persone che operano per organizzazioni inserite in mercati altamente competitivi o che in termini professionali servono direttamente, ma in competizione con concorrenti, i loro clienti o utenti. Si tratta, in questo caso, di acquisire una sorta di vantaggio competitivo di natura professionale basato sulla riduzione dei tempi e sull’aumento dell’efficacia.

Insomma, torniamo al concetto di società della conoscenza?
Non proprio, anzi, forse voi oggi siete nella società delle competenze, soprattutto delle capacità. Infatti, superata la società della produzione, siete ormai nella società basata sulla competenza, nella quale state assistendo a una continua obsolescenza delle competenze stesse. Per rispondere a questa pressione dovete rendere sempre più rapide ed efficaci le attività di apprendimento e miglioramento, sia delle conoscenze, ma soprattutto delle capacità.
La sfida del futuro, per tutti voi, sta nel concentrare gli investimenti organizzativi, ma anche e soprattutto personali, oltre che nelle competenze tecnico-professionali, in modo particolare sulle soft skill (cioè nell’incrementare il più efficacemente e rapidamente possibile i comportamenti organizzativi chiave che divengono indispensabili).


Ha risposto per le Competenze un super competente, che lavora con loro e per loro da una vita, il professor Gian Carlo Cocco www.giancarlococco.com
I suoi ultimi libri sul tema sono: Governare l’impresa con il capitale umano. Una nuova contabilità per la gestione e lo sviluppo delle competenze, Franco Angeli, Milano 2018; Time to mind. Velocità ed efficacia dell’apprendimento nell’era cibernetica: il nuovo vantaggio competitivo di imprese e individui, in pubblicazione presso Franco Angeli, Milano.

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