Claudia Cipolla, Head of Italy Wellhub
Il benessere dei dipendenti in azienda è il più potente moltiplicatore di produttività, resilienza e talent attraction. Ecco perché oggi per le aziende investire nel wellbeing dei propri lavoratori non è più un’opzione, ma un fattore competitivo vitale, che aumenta sensibilmente anche i ritorni economici. A scattare la “fotografia” del nuovo scenario del mondo aziendale e dei macro trend in tema di welfare sono i dati della ricerca del McKinsey Health Institute presentati alla 53esima edizione del World Economic Forum (WEF) di Davos, in Svizzera.
L’indagine di McKinsey rivela che l’investimento aziendale per il miglioramento della salute dei dipendenti potrebbe generare un valore economico globale fino a 11.700 miliardi di dollari e che il conseguente miglioramento della salute dei professionisti potrebbe incrementare il PIL mondiale di una percentuale compresa tra il 4 e il 12%, con i Paesi ad alto e medio reddito che contribuirebbero ciascuno per circa la metà del totale (dal 2 al 5%).
Va però ricordato che la salute è “più che l’assenza di malattia o infermità”, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Oggi, più di 3,5 miliardi di adulti che lavorano trascorrono circa 90.000 ore – pari a circa 45 anni della loro vita – al lavoro. Ecco perché è fondamentale per le aziende investire in percorsi per il benessere costruiti anche per tener conto dei macro trend emergenti: un numero crescente di lavoratori, con un invecchiamento della popolazione attiva e livelli di burnout sempre più impattanti.
PMI italiane sempre più sensibili al Wellbeing
In Italia, l’adozione di misure per il wellbeing dei dipendenti è in forte crescita, con molte aziende che stanno implementando iniziative mirate a migliorare la salute psico-fisica dei propri lavoratori. L’attenzione al benessere aziendale è alimentata da una maggiore consapevolezza dell’importanza di un ambiente di lavoro sano per aumentare la produttività e soddisfazione dei dipendenti e prevenire fenomeni come il Quiet quitting – insoddisfazione latente e produttività in modalità “sopravvivenza” – e le grandi dimissioni.
In base ai dati presenti nel Rapporto Randstad (2023) circa il 50% delle aziende italiane ha introdotto politiche di benessere per i propri dipendenti, soprattutto dopo la pandemia, quando molte aziende hanno preso coscienza della necessità di garantire un buon equilibrio tra vita lavorativa e personale. E ancora: il report di PwC Italia del 2023 ha rivelato che il 62% delle aziende italiane ha implementato iniziative specifiche per la salute mentale dei dipendenti. grazie a programmi di supporto psicologico, attività di prevenzione dello stress e iniziative per migliorare il clima aziendale.
Tutti i vantaggi del ROI del benessere (che piace agli investitori)
Riduzione dei costi sanitari e minor assenteismo, crescita della produttività e miglioramento dell’engagement dei dipendenti, miglior talent attraction e talent retention nel lungo periodo, aumento delle performance e dei KPI aziendali e della resilienza organizzativa. Sono solo alcuni dei molteplici vantaggi per le aziende che investono nel wellbeing dei loro dipendenti. Una scelta strategica che incontra, peraltro, anche il plauso degli investitori, che sottolineano come la salute e il benessere dei dipendenti siano fra le linee guida chiave anche per il rispetto dei criteri ESG, regolati da pressioni normative crescenti. I maggiori vantaggi potenziali deriveranno, inoltre, dal miglioramento della produttività e dalla riduzione dell’assenteismo in azienda, per un valore stimato tra i 2.000 e i 9.000 miliardi di dollari – una percentuale compresa tra il 54 e il 77% del totale delle opportunità individuate.
Produttività in crescita fino al 21%
Mentre l’ipotesi di investimento globale per il miglioramento della produttività e la riduzione dell’assenteismo genera un valore facilmente quantificabile, il calcolo del ROI per un programma specifico all’interno di una singola organizzazione può essere più complesso. La letteratura dimostra, tuttavia, una correlazione tra gli interventi per il benessere dei dipendenti e i miglioramenti della produttività compresa tra il 10 e il 21%. Una ricerca dell’Università di Warwick ha riscontrato che i dipendenti più felici sono più produttivi – dati confermati anche da un altro recente studio dell’Università di Oxford che ha rilevato che i dipendenti più felici di un call center erano più produttivi del 13%.
“Cultura della salute”: attira i talenti e piace alla GenZ
Investire nella “Cultura della salute” dei dipendenti può aumentare la loro fidelizzazione in azienda, riducendo ad esempio i tassi di turnover dei dipendenti (-11%) rispetto alle imprese che non lo fanno. Inoltre, investire nella salute e nel benessere dei dipendenti è sempre più importante per attrarre talenti. Una ricerca della Saïd Business School rileva che per molti dipendenti i fattori che contribuiscono al loro benessere – come la salute fisica e mentale, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la soddisfazione sul lavoro – sono cruciali quanto gli incentivi tradizionali, come lo stipendio. Questo aspetto è particolarmente importante per i giovani talenti della Generazione Z – nati fra il 1996 ed il 2010 – che sceglie il datore di lavoro dando particolare importanza ai benefici per la salute mentale.
Forza lavoro multi-generazionale: la carica degli “Over 50”
L’aumento dell’aspettativa di vita e i progressi nell’assistenza sanitaria allungheranno la vita lavorativa: entro il 2050, circa il 30% della forza lavoro mondiale avrà più di 50 anni. I governi potrebbero aumentare l’età pensionabile o ripensare le strutture pensionistiche. Di conseguenza, le organizzazioni del settore pubblico e privato dovrebbero aspettarsi una forza lavoro sempre più multigenerazionale e adattare di conseguenza i loro programmi di salute e benessere.
Poco più di un dipendente su due si sente “in salute”
Nel sondaggio del McKinsey Health Institute condotto su oltre 30.000 dipendenti in tutto il mondo, solo il 57% ha dichiarato di godere di una buona salute olistica – intesa come visione integrata del funzionamento mentale, fisico, spirituale e sociale di un individuo. E non mancano interessanti curiosità. Ad esempio, i dipendenti di sesso femminile, LGBTQI+, più giovani o neurodivergenti, o che riferiscono livelli di istruzione più bassi o con difficoltà finanziarie, tendono a soffrire maggiormente di burn-out.
L’emergenza delle malattie non trasmissibili
L’evoluzione della durata della vita, delle malattie legate all’età, delle attività lavorative e delle modalità di lavoro richiederà alle persone una migliore salute fisica e mentale più a lungo e una maggiore resilienza e adattabilità ai cambiamenti. Oggi le malattie non trasmissibili (MNT), come le malattie cardiometaboliche, i tumori, l’uso di sostanze e le condizioni mentali e neurologiche, rappresentano il 69% dell’attuale carico di malattia globale. Nei prossimi 15 anni, la maggior parte delle categorie di malattie che si prevede aumenteranno saranno le MNT, con un incremento maggiore delle malattie legate all’età, come le malattie renali. Questi fattori accelerano le sfide aziendali di lunga data per la salute e il benessere dei dipendenti, in particolare la salute mentale dei dipendenti, con segnalazioni di burnout che sono salite a quasi una persona su quattro.
Più felici, più profittevoli, più virtuosi
Una ricerca dell’Università di Oxford mostra una correlazione diretta tra il benessere dei dipendenti e il successo finanziario di un’organizzazione. Le aziende con punteggi di benessere più elevati ottengono costantemente valutazioni più elevate, profitti più alti e rendimenti superiori sul patrimonio. Ad esempio, è stato dimostrato che un aumento di un punto nei punteggi di felicità dei dipendenti è associato a un aumento dei profitti annuali compreso tra 1,39 e 2,29 miliardi di dollari. Anche punteggi più elevati di benessere sono legati a performance azionarie migliori.
Burnout al top: contabilità, commercio, agricoltura, spedizioni, arte e media
I dipendenti hanno riportato tassi più elevati di sintomi di burnout e tassi più bassi di salute olistica in cinque settori: contabilità, commercio al dettaglio, agricoltura/foresteria/pesca/allevamento, spedizioni/distribuzione e arte/media/intrattenimento/ricreazione. Al contrario, i settori che hanno riportato una buona salute olistica e bassi sintomi di burnout includono risorse umane, edilizia, servizi amministrativi e di supporto, istruzione e ingegneria/architettura.
Salute olistica in calo per LGBTQI+, Donne, giovani e dipendenti a basso reddito
L’indagine evidenzia come donne, LGBTQI+, dipendenti senza un diploma di scuola superiore, neurodivergenti, o a basso reddito siano quelli con una salute olistica inferiore e sintomi di burnout più elevati rispetto agli altri intervistati.
In particolare, le donne avevano otto punti percentuali in più di probabilità di riferire sintomi di esaurimento rispetto agli uomini (46% contro 38% per gli uomini), nonostante punteggi simili per quanto riguarda la salute olistica (55% contro 58% per gli uomini) e i sintomi di burnout (23% contro 21% per gli uomini). E ancora: le persone LGBTQI+ avevano nove punti percentuali in meno di probabilità di dichiarare una buona salute olistica rispetto agli eterosessuali (46% contro 55% per gli eterosessuali). Inoltre, più della metà dei dipendenti gay, lesbiche e non binari si sentiva “unica” (unica persona o una delle uniche persone con il proprio orientamento sessuale o identità di genere) sul posto di lavoro rispetto agli altri dipendenti. Il sentimento di isolamento può esacerbare l’esclusione e può avere un impatto negativo sul benessere. Infine, i lavoratori più giovani – tra i 18 e i 28 anni – avevano 18 punti percentuali in più di probabilità di riportare sintomi di burnout rispetto ai lavoratori più anziani (oltre i 60 anni) (27% contro il 9% dei lavoratori più anziani).
Wellhub: passaparola, il vero “booster” del benessere olistico in azienda (+70%)
In base ai recenti dati raccolti da Wellhub – piattaforma per il benessere olistico dei dipendenti – il tasso di adozione medio dei servizi per il Wellbeing è stato compreso fra il 15 ed il 25%, con una crescita media annua del 42%. Ma il vero booster del benessere olistico in azienda è il passaparola, insieme alla comunicazione interna per la promozione della “Cultura della salute”, che porterebbe ad un aumento nelle adesioni fino al 70%.
L’effetto domino a quota 25%
L’indagine condotta da Wellhub rivela, inoltre, che i programmi per il benessere dei dipendenti tendono a generare un effetto domino – favorendo un ulteriore aumento delle adesioni – una volta che almeno il 20-25% dei lavoratori partecipano e sono coinvolti. Questo fenomeno nasce dal fatto che si crea una micro-community che condivide la cultura della salute e che si auto-motiva. Infine, le aziende che utilizzano i servizi Wellhub hanno in media un aumento del 42% su base annua nella partecipazione ai programmi.
Per il 97% dei dipendenti il benessere conta quanto lo stipendio
Il benessere in azienda non è più negoziabile: in base ad un recente sondaggio globale su oltre 5.000 lavoratori condotto da Wellhub per il 97% dei dipendenti è importante quanto lo stipendio. Ecco perché ogni organizzazione deve diventare un abilitatore di politiche di Wellbeing e benessere fisico e mentale, fattori determinanti per la produttività. La strategia per il Welbeing dovrebbe essere articolata in progetti inclusivi sul territorio e in grado di creare servizi di prossimità di facile accesso ai dipendenti.
Ci ritroviamo in questi dati e iniziative e ci teniamo a sottolineare che il contratto di Manageritalia ha un welfare che è da sempre un esempio e stimolo per il welfare contrattuale e aziendale.